A Hebron, un ristorante che sfida i virus.

Grano bollito
Zuppa del profeta Abramo شوربة سيدنا ابراهيم, è un semplice grano bollito che si mangia aggiungendo dello zucchero e ad alcuni piace anche con un pochino di burro chiarificato. 
Un piatto di grano dalla tkieh 

La leggenda dice che di notte gli angeli vengono a mescolare il grano sulle grandi pentole piene di grano messo a bagno prima della cottura che comincia al mattino e termina a mezzogiorno  Tra i molti piatti che si preparano in questo posto storico, ma non ha 100, 200, o 300 anni. Nel 1279 il sultano Qal’un Alsalhi ha costruito questo posto per offrire cibo agli ospiti che arrivavano nella città di Hebron, così avevano un luogo per riposarci e per mangiare dopo un lungo viaggio, dopo anni e anni nonostante il cambiamento dei mezzi di trasporto, viaggiare è diventato più più facile e veloce, la cucina è rimasta aperta come un ristorante d’asporto che accoglie tutti, anche se il suo nome che viene dal persiano e vuol dire un luogo di accoglimento dei  poveri in arabo تكية, che appena aperta si chiamava “alribat” poi fu chiamata anche “altabalania” perché i lavoratori quando finivano la preparazione dei pasti suonavano i tamburi. 

la distribuzione dei pasti non è riservata ai poveri o agli abitanti della città vecchia, il grano piace a tutti, e molti sono convinti che abbia un sapore  diverso da quello che si possa preparare nella proprie case credendo alla leggenda degli angeli. Ovviamente il lavoro vero è quello fatto con le mani degli umani che tutt’ora mantengono la tradizione da generazioni, malgrado le restrizioni e le difficoltà provocate dai coloni che vivono nel centro della città, e che continuano a rendere la vita degli abitanti sempre più difficile, al punto che era impossibile per numerose famiglie hebronesi che sono stati costretti a lasciare le loro case. 
Abituata a resistere e a sfidare gli ostacoli che mette l’uomo occupante, resiste anche davanti all’emergenza sanitaria che colpisce tutti e apre con l’obbiettivo di offrire più di 6000 pasti alle famiglie al giorno durante  il mese del Ramadan. 
   
Ho molti ricordi in quella parte della città, belli e brutti, scarto i brutti e parlo dei momenti che preferisco ricordare, da ragazzina con i miei amici del quartiere Abusneneh, che è sulla collina che si affaccia alla moschea, dal tetto di casa ho sempre guardato quella struttura bella della moschea, ero orgogliosa e mi sentivo vantaggiata e fortunata di poter vedere la moschea sempre e di poter andarci ogni tanto (mamma permettendo). 
Molte cose sono cambiate, sempre a causa dei coloni che vogliono appropriarsi di tutta la città vecchia, anche l’ingresso della tkieh che una volta era proprio davanti alla moschea, adesso bisogna fare un giro lungo per arrivarci che una volta erano due passi.
  
Mio padre andava sempre alla moschea, anche quando stava male, il suo era un atto di resistenza, diceva: “non possiamo lasciare la moschea vuota, ce la sequestrano, quello che ci è rimasto dopo il massacro del 94″. 
Ho cercato anch’io a copiare mio padre, ci sono riuscita anche numerose volta, nonostante la la lontananza geografica, il legame è sempre forte con i miei luoghi dell’infanzia, mi dispiace molto di non aver mai fatto un selfie nei luoghi che adesso non posso più visitare, ma non c’era l’idea dei selfie a quei tempi, ma non ho nemmeno una foto, allora il mio progetto dopo la mia ultima vacanza in Italia  (chissà quando terminerà) era i selfie nei luoghi che ancora un palestinese può accedere, perché forse un giorno non potrò più andarci visto i progetti di colonizzazione che vanno avanti anche in piena crisi sanitaria. 

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