Il miccone, la lunga fetta di pane piegata e farcita tipica della tradizione pavese, arriva per la prima volta a Milano con l’inaugurazione dell’omonimo ristorante, seconda apertura dopo quella di Pavia del 2014. Miccone prenderà casa in Via del Torchio 1 e si presenterà ai milanesi con un evento inaugurale ad ingresso libero venerdì 26 luglio a partire dalle 19.30. Per l’occasione, verranno offerti assaggi del miccone con le farciture più classiche del territorio pavese, come la coppa al Bonarda, il salame di Varzi, la confettura di zucca bertagnina di Dorno, le cipolle di Breme e le bevande dell’Oltrepò, dai vini, che confluiscono anche in una particolare ricetta di spritz, alle birre artigianali del birrificio Stüvenagh ai piedi del castello di Stefanago.
Storia del miccone
Il miccone è un pane bianco di grandi dimensioni dall’impasto duro e asciutto composto da acqua (meno del 50%), farina di grano tenero, lievito madre e sale. Sono tanto semplici gli ingredienti quanto è articolata la lavorazione per ottenere il suo tradizionale sapore e la corretta consistenza, ovvero con una crosta dorata e robusta e un bianco ripieno morbido ed elastico: la preparazione dura oltre 48 ore e prevede due lievitazioni intervallate da più reimpasti e da una fase di modellatura manuale. Una volta sfornato, si suggerisce di farlo riposare altre 48 ore prima del consumo, complice la sua capacità di mantenere fragranza e morbidezza per diversi giorni, anche settimane, se conservato in luogo fresco e asciutto. Questa resistenza, così come la sua dimensione, affonda le radici nei secoli passati, quando il miccone veniva prodotto dai contadini perché potesse durare almeno due settimane e potesse sfamare corposi nuclei famigliari. Ciascuna forma pesa dai 500 grammi al chilo. Il miccone oggi più famoso è quello prodotto a Stradella (PV).
Storie tramandate prevalentemente per via orale vogliono che le origini del miccone risalgano al Medioevo, quando pellegrini e mercanti in viaggio sulla antica via del sale che collega l’Oltrepò a Genova si alimentavano di pane a lunga conservazione e farciture di prodotti reperiti lungo il cammino. Ancora oggi il companatico più diffuso è rappresentato da salumi e formaggi dei medesimi territori e delle zone limitrofe, come la raspadura lodigiana, il gorgonzola o la crescenza.
La leggenda più nota lega questo pane al Natale, quando, nei monasteri prima e nelle case dei pavesi poi, si metteva in tavola un enorme miccone sul quale era incisa in fase di pre-levitazione la caratteristica croce, in omaggio a Gesù bambino: secondo la storia, il piccolo fu salvato da una situazione di pericolo grazie alla prontezza di mercanti ebrei che lo nascosero in un contenitore contenente l’impasto per il pane, che lievitò – pur in assenza di lievito, sconosciuto alla tradizione ebraica – nascondendo così il bambino.
Storia di Miccone
Il ristorante Miccone, un “fast food” della tradizione territoriale nasce in via dei Mille a Pavia nel 2014 per mano del giovane imprenditore Giuseppe Dabbene che dà nuova vita al bar di famiglia, attivo da tre generazioni, con l’obiettivo di riscoprire e salvare l’antica ricetta dell’iconico pane e proporre come farciture i prodotti del territorio. Dopo un anno passato a Londra con un food truck che ha portato i sapori pavesi oltremanica, Dabbene ha deciso di dare una seconda casa al ristorante aprendo a Milano, città ricettiva e attenta anche alle tradizioni “esotiche”. Nel nuovo locale in via del Torchio, a metà strada tra S. Ambrogio e Missori e ad un passo da via Torino, verranno serviti tutti i micconi più classici e alcune ricette contaminate, unitamente a taglieri di salumi e formaggi per ulteriori farciture. Il nuovo Miccone eredita dal fratello pavese anche la caffetteria, attiva soprattutto a colazione, con specialty coffee tostati internamente e abbinati a dolci pavesi, come la “Torta di Miccone 1978” fatta con i resti del pane per ridurre gli sprechi, latte e gocce di cioccolato.
“Il Miccone di Milano è il punto di approdo di anni di sperimentazione a Pavia e all’estero, dove abbiamo esportato il format come street food – spiega Dabbene – con lo scopo di valorizzare storia e sapori di un territorio, spesso sconosciuto, che non ha niente da invidiare a altre zone d’Italia più blasonate”.