Riso e scariola


L’Italia nel Piatto, 2 Marzo: Riso e tradizione


Il piatto scelto per questo apuntamento è un piatto della tradizione gastronomica calabrese, semplice e genuino, ideale per le fredde giornate invernali. In verità il riso non piace molto a noi calabresi, lo consideriamo ancora oggi un piatto “di magro” da consumare nelle minestre o “per pulire lo stomaco” dopo una grande abbuffata. E un vecchio proverbio recità così” Nu piattu ‘e risu, pe’ na ura ti teni tisu”, il che vuol dire che il riso ti sazia per un’ora e poi sei costretto a mangiare nuovamente. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. 
Eppure anche in Calabria il riso si produce ed è pure di ottima qualità. Non tutti sanno che nella piana di Sibari il riso fu introdotto dai Greci nel III° secolo a. C., ma sembra che ai ricchi e goderecci sibaritidi questo cereale non piacesse molto, tanto che lo davano da mangiare ai loro schiavi. Oggi circa 600 ettari sono destinati a tale coltivazione, resa possibile perchè la Piana, di origine alluvionale, fu bonificata prima e dopo la seconda guerra mondiale. Il riso di Sibari oltre ad essere coltivato in questo territorio fin dagli anni 50, viene anche lavorato qui artigianalmente, mediante una sbramatura leggera e poco invasiva, capace di garantire un apporto nutrizionale migliore, un sapore più deciso e soprattutto una migliore tenuta alla cottura. Da una decina di anni l’intera fase produttiva, dalla semina al confezionamente, viene pure gestita in loco al contrario di quanto avveniva in precedenza quando il risone grezzo veniva venduto ai produttori del Nord. Diverse sono le varietà coltivate: Karnak, Arborio, Aromatico, Roma, ma è il Carnaroli che più di tutti si identifica con la Piana di Sibari. Ma nella Piana la coltivazione del riso è importante anche  per motivi sociali ed ecologici. La bonifica dei terreni salmastri  ne ha evitato la desertificazione ed ha creato nuovi posti di lavoro, una manna dal cielo per i tanti disoccupati. E in quella zona sono pure tornate le cicogne e tante altre varietà di uccelli.
Stiamo parlando di riso ed è giusto ricordare che in  Calabria non ci sono state le mondine, però  le nostre donne hanno da sempre svolto i lavori più umili e più duri: raccoglitrici di olive, di agrumi, contadine, manovali nelle costruzioni, per non parlare poi delle gelsominaie. Un lavoro, questo, svolto di notte in zone paludose lungo quella fantastica costa che oggi prende il nome di Riviera dei gelsomini. Un lavoro sottopagato, pensate che per ogni kg di gelsomini, circa 8000 fiori, percepivano 25 lire. Però la dignità del lavoro e del loro essere cittadine le portò a ribellarsi e a scioperare per ottenere i loro diritti. Correva l’anno 1959 e quelle donne, coraggiosamente, vinsero. Sono trascarsi oltre 60 ani da quei fatti, le gelsominae sono scomparse, ma il capolarato e lo sfruttamento restano ancora piaghe di una società…moderna.


Ingredienti
un cespo di scarola liscia
200 gr di riso, io Carnaroli di Sibari
1 spicchio d’aglio
1 peperoncino piccante 
sale q.b.
olio evo
caciocavallo


Preparazione
Pulite la scarola accuratamente e fatela cuocere in abbondante acqua salata. Scolatela, ma corservate l’acqua di cottura.
Cuocete il riso e scolatelo al dente.
 Mettete sul fuoco un tegame con l’olio evo, lo spicchio d’aglio e il peperoncino, fateli soffriggere appena e poi aggiungete la scarola tritata grossolanamente. Mescolate e fatela insaporire aggiungendo qualche mestolo della sua acqua di cottura. Appena riprende il bollore versate il riso e completate la cottura aggiungendo l’acqua necessaria per avere una minestra più o meno brodosa.  Infine mantecate con del caciocavallo grattugiato. Servite il riso e scarola caldo.



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