Spätzle

Gli Spätzle o Spaetzle sono degli gnocchi tipici dell’Austria, della Germania meridionale e dell’Alto Adige. Il nome significa, letteralmente “passerotti”. Ne esistono numerosissime versioni; quelli che noi di solito chiamiamo con questo nome, e che presento qui, sono propriamente gli Knöpfle (“bottoncini”).

Qui si possono trovare facilmente già precotti, ma la loro preparazione è di una velocità e semplicità imbarazzante, specie se si dispone dell’apposita grattuggia (Spätzlehobel), che io ho trovato in un supermercato ma che si può anche ordinare in rete per una decina di euro. Giusto per dire quant’è rapido, mi è capitato di fare gli spaetzle da zero solo perché non avevo voglia di aspettare che cuocesse la pasta. Così rapido.

Spätzlehobel

  • Uova medie: una per persona
  • Farina bianca di frumento, possibilmente di tipo 1 o 0, ma anche la 00 può andar bene: 100 g a persona
  • Acqua o latte: 50 mL a persona
  • Yogurt bianco non zuccherato: un cucchiaio a persona (facoltativo)
  • Sale: un bel pizzico per ogni persona.

La ricetta si può fare con acqua o con latte e, volendo, yogurt. La seconda versione è meno diversa nel gusto di quanto ci si aspetterebbe, ma è un po’ più sostanziosa ed è quella che preferisco, considerando anche che una porzione di spaetzle fatta con un uovo medio non è poi così abbondante, come piatto unico.

Con una frusta, mescolate tutti gli ingredienti in una terrina fino a ottenere un impiastro colloso e senza grumi. Conviene aggiungere un po’ di farina per volta agli ingredienti liquidi. Mettete sul fuoco l’acqua in una pentola abbastanza alta e profonda, badando a lasciare almeno 10–15 cm di spazio tra l’acqua e il bordo della pentola. Se questa fosse troppo bassa, gli spaetzle si attaccherebbero tra loro prima di cuocere. Se la riempiste fino in cima, il vapore caldo cuocerebbe del tutto l’impasto che si accumula sotto alla grattuggia, rendendo la pulizia un incubo. Quando bolle, salate come fareste per la pasta.

Con una paletta, versate l’impasto nell’apposito spazio della grattuggia (se l’avete) e muovetelo lentamente avanti e indietro, in modo che cada nell’acqua a gocce. Si possono preparare circa due porzioni alla volta. Quando gli spaetzle vengono a galla, dopo qualche decina di secondi, sono cotti. Toglieteli dall’acqua con un mestolo forato e trasferiteli su uno scolapasta ad asciugarsi un po’ meglio. Non si incollano facilmente, non vi preoccupate, ma se ne fate tantissimi li potete, per prudenza, ungere con un filo di olio di semi. Proseguite allo stesso modo fino a che non avete finito l’impasto.

Se non avete la grattuggia, potete schiacciare l’impasto con una paletta attraverso un mestolo forato o altro strumento. I buchi, idealmente, dovrebbero essere di circa mezzo centimetro di diametro. Il consiglio di usare uno schiacciapatate, che ho visto su un sito di cucina che, giustamente, termina in “ano”, è pessimo.

Per condirli, potete far soffriggere un paio di foglie di salvia nel burro, a fuoco lento, fino a che non diventano croccanti. Oppure, potete usare solo burro, oppure burro, cipolla e speck, oppure burro e formaggio o quel che volete. Quando il condimento sarà pronto, fateci soffriggere a fuoco medio gli spaetlzle fino a che quelli più in basso non hanno un accenno di crosticina. Servite subito.


Qualche parola sulla salvia, condimento forse più tipico per gli gnocchi, ma che si presta benissimo anche a questa ricetta. La pianta (Salvia officinalis) è parente stretta di molte comuni erbacce e cresce selvatica anche nel nostro Paese, in terreni pietrosi, specie del centro-sud. È comunissima in Dalmazia, dove si trova ovunque; la peluria che ricopre le foglie è una caratteristica che la protegge dal sole cocente dei pendii aridi che abita.

Il nome latino “salvia” condivide l’etimologia con termini come “salvo”, “salute”, “salutare” (cioè augurare la salute) e “salve”, per via delle strabilianti virtù medicinali che le furono attribuite nei secoli passati. La raccolta di precetti in rima Schola Salernitana, pubblicati dall’omonima accademia di medicina campana attorno al Mille, riporta:

Cur moriatur homo, cui salvia crescit in horto? / Contra vim mortis non est medicamen in hortis. / Salvia confortat nervos, manuumque tremorem / tollit, et ejus ope febris acuta fugit. / Salvia, castoreum, lavandula, primula veris, / nasturt., athanasa hæc sanant paralytica membra. / Salvia salvatrix, naturæ conciliatrix.

Perché l’uom morrà, cui fresca / nel giardin la salvia cresca? / Perché farmaco più forte / dello stral non v’è di morte. / Della salvia i nervi allena / l’uso il tremito raffrena / delle mani, ed anche ajuta / a scacciar la febbre acuta. / Chi castor, nasturcio, e vera / Atanasia, e primavera, / e lavanda e salvia unisce, / la paralisi guarisce. / Salvia, inver sei salvatrice / di natura emulatrice. (Traduzione, abbastanza libera, di Pio Magenta, 1833).

Di queste, pare reggere alle prove scientifiche solo un leggero effetto antisettico, che la rende un utile ingrediente, ad esempio, di dentifrici e collutori (sì, si scrive con due L e una T!).

Tra le sostanze che contiene la più interessante è il tujone. Questo è un terpenoide dall’odore mentolato, tossico a dosi alte, che può causare convulsioni e perfino la morte. La sua presenza nel assenzio (ne parlo qui), unita alle mai dimostrate proprietà allucinogene, fu la scusa usata per bandire la produzione del liquore alla fine della belle époque. Ma facciamo qualche calcolo! La normativa europea prevede oggi che un amaro non possa contenre più di 35 mg/kg della sostanza, sulla scorta del fatto che 50 mg per kilo di peso corporeo sono sufficienti ad uccidere la metà dei poveri topi di laborario usati per questo genere di prove. Usando lo stesso valore limite, per avere il 50% di probabilità di morire una persona di peso medio dovrebbe assumere 3,5 grammi di tujone in un sol colpo, cioè quello contenuto in circa 15 litri di assenzio che fosse proprio al limite massimo di concentrazione consentito. Ricordiamo che è un liquore che fa più o meno 70 gradi! Ma quanto tujone conteneva l’assenzio dell’Ottocento? Pare circa 20 mg/kg, ben poco. Venendo alla salvia, secondo questo studio le foglie contengono circa l’1% in peso di olio essenziale, composto per circa il 30% di tujone. Dividiamo 3,5 grammi per 0,01 (cioè 1%) e poi per 0,30 (30%) per ottenere 1167 grammi, cioè –a spanne– un kilo abbondante. Attenzione quindi a non mangiare per caso un kilo abbondante di salvia.

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