La zuppa di farro del Granduca per l’MTC n°53

La sfida dell’MTC ormai, è uno di quegli appuntamenti che cambiano qualcosa nelle nostre vite. Che sia perché la sfida ci costringe a fare, cose folli come il croissant sfogliato in un periodo di calura estiva, sia che ci costringa a disossare un pollo quando mai ti saresti sognata, è certo che partecipare a queste sfide ti cambia. Di sicuro ti migliora nella tecnica, ma a volte succede qualcosa di più.

Questa è proprio una di quelle volte.
Scegliere un piatto per l’MTC, non è mai facile. Il livello di questa gara è altissimo, le concorrenti (ops! scusate ragazzi!) i concorrenti, molto agguerriti e anche se non partecipo per vincere, voglio comunque dare il meglio. Pertanto nello scegliere la zuppa, che è il tema di questo mese lanciato da Vittoria Traversa del blog “La cucina piccolina”, ho pensato: “ma che non sia la solita zuppa! Vorrei una cosa un po’ più raffinata!” E la lampadina si è accesa!
Infatti presento una ricetta che è una libera interpretazione, filtrata dai miei ricordi giovanili, di un piatto che adoravo, cucinato in un bellissimo ristorante di San Gimignano, molto in voga negli anni ’80/90, “I cinque Gigli”.

Eh sì! Correvano gli anni ’80 ed io ero una studentessa universitaria, interessata al cibo quel tanto che basta per sfamarsi ai tre pasti principali. Non sapevo niente di questa materia e sicuramente non consideravo la cucina uno dei piaceri della vita. In quegli anni vivevo in provincia ed avevo una incredibile “fame” di mondo: sognavo l’arte, la musica, la letteratura, l’architettura, la moda, il design, ma tutto il bello mi affascinava e ne ero attratta in un modo incredibile.
Durante il periodo universitario, neanche vivere a Firenze mi aiutava granché, perché a parte tutta l’arte che respiravo e che mi dava vita, c’era tutto un mondo che mi era negato dalla mancanza di soldi. Essere studentessa nei dorati anni ’80 era un grave handicap, ed io bramavo una vita diversa: lontano! Minimo Milano, meglio ancora Londra. Viaggiavo con la smania di chi il viaggio lo deve compiere dentro di se, ma non capendo, cerca fuori e ne ricava solo frustrazioni. Cercavo in tutti i modi il bello, l’arte, la storia, in ogni istante, e pensavo che se non me ne fossi andata, non sarei mai vissuta come desideravo.

Ma la mia vita per motivi vari mi riportava sempre qui. Questa strettissima provincia riusciva sempre a farmi tornare a sé.
I “ritorni” erano spesso legati a feste familiari e questo mi era ancora più penoso, perché per certi versi capivo la forza di questi legami, d’altra parte, io volevo essere “altro”. La mia è una famiglia semplice, fatta di gente vera, concreta: da dove sbucavo io, così piena di sogni, di ambizioni e di voglia di essere così diversa da loro?
Durante uno di questi “ritorni”, non ricordo per quale motivo, mi sono trovata in questo posto “magico”, nella campagna sangimignanese. Un ristorante assolutamente fuori dal comune: intanto di classe per lo standard dell’epoca dalle mie parti, gran cibo, molta cura dei dettagli, dalla location, alla divisa del personale, ma fortemente legato al territorio, gestito da ristoratori storici della zona.
Riflettendoci oggi, credo di aver ricevuto proprio lì, alcuni degli input fondamentali che hanno portato la mia vita su questi binari rispetto ad altri.
Ho molto amato quel luogo, ci andavo spesso nonostante le mie esigue finanze, perché mi sentivo in equilibrio: c’era il bello, il gusto, classe, eleganza ed era proprio lì da dove stavo fuggendo. Forse alcune domande sulla mia vita sono scaturite proprio a “I cinque Gigli”.
Il piatto che più amavo di questo ristorante era la zuppa del Granduca, non ricordo perché si chiamava così, ma c’entrano qualcosa i Medici o forse i Lorena (il Granduca Leopoldo)? Ho provato a ricordare, ad intervistare parenti ed amici, ma trent’anni sono davvero troppi per avere notizie certe.
Comunque da Samuele Gigli, nipote  dello chef sono risalita più o meno agli ingredienti principali della ricetta, ed il risultato è stato assolutamente commovente: un catartico tuffo nel passato, una full immersion nei miei sogni di ragazza. Un ringraziamento immenso a Giancarlo Gigli, chef patron de “I cinque Gigli”,e all’MTC per questa bella esperienza.

Ingredienti per 4 persone

per il brodo:
  • 1 galletto livornese o un pollo ruspante piccolino
  • 5 l di acqua
  • 1 cipolla
  • 1 carota
  • 1 sedano
  • 1 mazzettino di prezzemolo
  • 1 foglia di alloro
  • una decina di grani di pepe
  • 4 chiodi di garofano
  • una manciata di sale grosso
per la zuppa:
  • 1 cipolla
  • 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva
  • 15 g di funghi secchi (quando è stagione freschi)
  • 180 g di farro perlato
  • sale
  • pepe macinato
  • tartufo fresco di stagione  
per la presentazione:
  • 1 rotolo di pasta sfoglia da 230 g. (io la mia: la ricetta la trovate qui)
  • 1 uovo
Nota sui tartufi: a seconda della stagione, i tartufi migliori sono di diverse tipologie. Dalla metà di settembre fino a dicembre il migliore è il tartufo bianco, da utilizzarsi prevalentemente crudo.
Dal mese di dicembre, il tartufo nero, che si può usare anche cotto. Nei mesi estivi, da maggio ad agosto c’è lo “scorzone” estivo, tartufo nero con una scorza ruvida e verrucosa e da ottobre a gennaio lo “scorzone” invernale.

Preparazione:

per il brodo
In una grossa pentola inserire il galletto eviscerato, fiammeggiato e lavato. Pulire la carota, il sedano, il prezzemolo, l’alloro e legarli a formare il mazzetto aromatico, sarà così più facile eliminarli, dopo la cottura.
Pulire la cipolla, tagliarla in 2 metà e steccarla con i chiodi di garofano. Porre le 2 metà, dalla parte del taglio steccato su una padella antiaderente e farle bruciare. Questa operazione di bruciatura della cipolla, serve a rendere il brodo meno torbido e non andrà chiarificato per la zuppa. E’ un buon consiglio che ho adottato da Carlo Cracco “Se vuoi fare il figo, usa lo scalogno”.
Una volta bruciate aggiungere le 2 metà di cipolla, nella pentola del galletto insieme al mazzetto aromatico, al sale, ai grani di pepe e a 5 l di acqua. Lasciar cuocere per un paio d’ore, schiumando la superficie se necessario. Far raffreddare il brodo, togliere il galletto (o il pollo) e le verdure (che possono essere mangiati così oppure usati per altre preparazioni), filtrarlo con un colino rivestito di garza e metterlo in frigo per alcune ore. Toglierlo dal frigo e togliere il grasso in eccesso che si riesce a raccogliere in superficie.

per la zuppa:

In una pentola più piccola, tritare finemente la cipolla e lasciarla sudare nell’olio extra vergine di oliva a fiamma bassissima. Intanto, lavare accuratamente il farro perlato, tostarlo con la cipolla e poi unire i funghi secchi ammollati per 15/20 minuti in acqua e tritati. Lasciar insaporire alcuni minuti, poi aggiungere il brodo freddo almeno 1 litro e lasciar cuocere per circa 20 minuti da quando inizia a bollire. E’ necessario comunque assaggiare il farro, per trovare il giusto grado di cottura. Se in cottura asciuga molto aggiungere brodo bollente. Quando il farro è cotto, spegnere la zuppa, aggiungere brodo bollente fino ad ottenere la consistenza che si vede in foto, aggiustare di sale e pepe.

per la presentazione:

La zuppa si serve in cocottine da forno individuali con lamelle di tartufo tagliate sottili.
Per la presentazione: ritagliare un disco di pasta sfoglia di diametro 2 m più largo della cocottina, sigillando l’apertura ad effetto coperchio, ritagliare delle formine di pasta sfoglia con un taglia biscotti della forma desiderata per decorare la superficie. Sbattere l’uovo e con un pennello spennellare la sfoglia con l’uovo per lucidarla. Infornare a 220° in forno preriscaldato per 10 minuti o finché la sfoglia non è dorata. Servire immediatamente.

Nota: E’ un modo un po’ vintage di presentare, ma è un piatto legato ai miei ricordi e l’ho voluto presentare esattamente come lo ricordavo.

Con questa ricetta partecipo all’MTC N° 53 di gennaio 


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