Tanti anni fa, quand’ero ragazza, con degli amici decidemmo di passare la sera di Halloween in un casale abbandonato nelle campagne di Gorgonzola.
Eravamo in sei, armati di torce, sigarette e Ceres e partimmo con due macchine: la mia e quella di Alice.
Arrivammo davanti a questa cascina diroccata intorno alle nove. L’atmosfera era lugubre e l’aria gelida e nebbiosa.
All’ingresso del casale, prima di entrare, sentii scricchiolare qualcosa sotto la scarpa. Feci luce con la torcia e vidi che era lo scheletro di un passero. Irrazionalmente e quasi senza accorgermene mi chinai, raccolsi un ossicino e lo misi nella tasca del bomber.
Entrammo nel casale e ci sistemammo in cerchio, l’idea era che ognuno di noi raccontasse una storia spaventosa.
Marco aveva precedentemente proposto una seduta spiritica ma io, la fifona del gruppo, mi ero opposta fermamente.
Il primo a raccontare fu Davide ma a metà della sua storia, che non faceva paura per niente, sentimmo dei rumori provenire dal piano di sopra. Alzammo all’unisono la testa verso l’alto, come sei gattini che seguono una mosca con lo sguardo.
E, sempre all’unisono, scoppiammo a ridere.
Ma dopo poco lo sentimmo di nuovo, stavolta più chiaramente. Erano passi. Lenti, pesanti, inquietanti. Stom. Stom. Stom.
“Ragazzi, via dalle palle” consigliai subito. Marco invece suggerì di fare, a mio avviso, la cosa più stupida: salire a vedere. Ovviamente tutti a parte me furono d’accordo.
Facendomi luce con la torcia li seguii contro voglia sulla scala cigolante.
Arrivammo in una grande stanza che, nonostante l’evidente stato di abbandono della casa, sembrava più vissuta rispetto a quella del piano di sotto, su di una finestra c’era addirittura la tenda.
Non riuscimmo a capire la provenienza del rumore, ma siccome quell’ambiente era ancora più inquietante di quello di sotto, i miei coraggiosi amici decisero di trasferire qui la nostra allegra riunione.
Ci sedemmo di nuovo in cerchio, ognuno con la sua torcia accesa in mano. Davide aveva appena ripreso col suo noioso racconto quando con la coda dell’occhio vidi un fascio di luce verde uscire da dietro la tenda. Mi voltai di scatto in quella direzione e la luce sparì. Pensai che doveva trattarsi dei fari di una macchina passata lì fuori. In quello stesso momento sentii uno spiffero d’aria gelida soffiarmi dietro al collo. Davide continuava a raccontare ma per me la sua voce era diventata un suono indefinito e lontano.
Abbassai lo sguardo sulle mani e notai che mi tremavano. Mi sentivo a disagio, volevo andarmene. Appoggiai la torcia sul pavimento e quella subito si spense.
Improvvisamente la luce verde riapparve più luminosa e forte di prima, voltai la testa e mi alzai in piedi, la tenda era completamente illuminata e la luce mi colpì in pieno viso. Girai la testa verso i miei amici con un grido strozzato in gola ma sul pavimento vidi solo le loro torce accese. La stanza era vuota, c’ero solo io.
Scesi di corsa dalle scale scricchiolanti e uscii come un fulmine dalla cascina, saltando in macchina e partendo senza voltarmi. Schizzai a casa veloce come un ghepardo.
Mi chiusi in camera con il Walkman a palla nelle orecchie, fino a che non tornarono i miei, che quella sera erano usciti a cena.
Mi infilai sotto le coperte e finsi di dormire, ero ancora terrorizzata e non volevo farmi trovare in quello stato.
Il giorno dopo mi svegliai decisa a vederci chiaro. La notte porta consiglio e io mi ero alzata con l’ovvia consapevolezza che i miei simpatici “amici” mi avevano tirato un gran bello scherzetto di Halloween.
Chiamai Alice, che con mio grande stupore rispose subito urlandomi: “ma dove cavolo sei stata ieri? Ti ho cercata tutto il giorno! Non sai cosa ti sei persa ieri sera, siamo andati alla festa a casa di Andrea ed è successo un casino, vieni subito da me che ti devo raccontare” e mise giù.
Telefonai anche a Marco, ma disse che era stato a letto tutta la sera con la febbre. Davide era andato a ballare a Brescia e Barbara era anche lei stata alla festa di Andrea.
Possibile che si fossero messi tutti d’accordo per prendermi in giro?
Sentii Andrea che confermò la versione di Alice: lei e Barbara erano lì ieri sera e c’era stata una scazzottata tra due nostri amici a causa di una ragazza di Milano che sembrava averli presi in giro entrambi.
Riattaccai perplessa, cominciando a convincermi di aver sognato tutto.
Chiusi gli occhi e ripercorsi i fatti della sera prima, cercando di ricordare i gesti e le parole di ognuno di noi sei. Un momento. Io…Alice…Barbara…Marco…Davide… uno, due, tre, quattro, cinque… eppure mi sembrava proprio che fossimo in sei. Anzi, ne ero convinta. Ma chi era il sesto? Per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a ricordarlo. Eppure c’era una sesta persona, ne ero sicura.
Ma d’altra parte ero anche sicura di aver vissuto una serata che probabilmente avevo solo sognato, quindi decisi di non pensarci più.
Feci colazione in fretta, mi vestii, infilai il bomber, presi il pacchetto di Pall Mall sul mobile dell’ingresso e, salutati i miei, uscii per raggiungere Alice e farmi raccontare del casino successo alla festa.
Una volta in strada portai una sigaretta alla bocca e misi la mano in tasca per cercare l’accendino. Le mie dita toccarono un oggetto strano, rigido e sottile.
Lo estrassi dalla tasca lentamente.
Era un osso di passero.
Non ho mai capito cosa sia successo quella sera, né chi fosse la misteriosa sesta persona.
Né ho mai avuto il coraggio di tornare in quel casale, che nel frattempo è stato demolito.
Non saprò mai se quella stanza, la scala, la finestra e la tenda siano mai esistite così come penso di averle viste.
A ricordarmi che quella sera qualcosa di reale debba essere per forza successo è quel piccolo, sottile, fragile ossicino.
*Linda*