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Conosciamo meglio la pasta madre
(fonti del presente documento: Wikipedia, Gruppo La Pasta Madre, Panificando; Giorilli,
Il Montersino, Montersino, dispensa sulle farine, Raffaele Pignataro,
http://sweetjournal.com/it/02/#/Farina/Farina_sotto_torchio
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/01/28/la-forza-della-farina/
https://ladispensa.wordpress.com/la-dispensa-di-monica/farine-quanti-tipi-diversi/)
D: che cos’è la pasta madre?
R: Il lievito naturale, chiamato anche lievito acido, pasta acida, lievito madre o pasta madre, è un impasto di farina e acqua acidificato da un complesso di lieviti e batteri lattici che sono in grado di avviare la fermentazione. A differenza del cosiddetto lievito di birra, il lievito naturale comprende, tra i lieviti, diverse specie di batteri lattici eterofermentanti ed omofermentanti del genere Lactobacillus.
La fermentazione dei batteri lattici produce acidi organici e consente inoltre una maggiore crescita del prodotto e una maggiore digeribilità e conservabilità
D: che differenza c’è fra pasta madre e lievito di birra?
R: Il lievito di birra è una coltura omogenea di un solo ceppo di lievito, il saccaromyces cerevisiae. I saccaromyces cerevisiae si nutrono del glucosio e lo trasformano in alcool e anidride carbonica dando il via alla cosiddetta fermentazione alcoolica; ciò consente una lievitazione in tempi brevi, ma con il grande svantaggio di minore digeribilità.
Nel lievito madre invece, oltre ai saccaromyces cerevisiae, pur presenti, abbiamo altri ceppi di lieviti e soprattutto i lactobacilli, microorganismi  omofermentanti, in grado cioè di trasformare il glucosio in acido lattico, ed eterofermentanti, ovvero capaci di produrre anche l’acido acetico, l’etanolo e l’anidride carbonica; avremo perciò tre tipi di fermentazione: alcoolica, acetica e lattica.
La coesistenza tra lieviti e lactobacilli è tale che non si ha concorrenza tra le specie diverse, ma anzi simbiosi e “collaborazione” e un equilibrio perfetto tra acido acetico e acido lattico in rapporto di 1:3 (riscontrabile soprattutto in lieviti maturi quali sono quelli donati durante il pasta madre day). C’è poi da dire che l’ambiente acido protegge il lievito stesso da microrganismi patogeni, che potrebbero ucciderlo o essere nocivi all’uomo.
I vantaggi di digeribilità e leggerezza del prodotto finale sono dovuti proprio a questa convivenza, che, dando vita a tutti quei processi enzimatici che permettono la formazione di molecole più semplici (mono e disaccaridi) e un maggior contenuto di aminoacidi, non hanno bisogno di ulteriori passaggi per essere assorbiti dal nostro organismo e quindi risultano più facili da digerire. Inoltre la semplificazione degli zuccheri abbassa l’indice glicemico dei prodotti
D: in sostanza, quali sono le caratteristiche del prodotto che otteniamo usando la pasta madre?
R: all’assaggio un preparato con pasta madre risulterà più aromatico e saporito, sarà più ricco di nutrienti e vitamine ed avrà un sapore e un profumo caratteristici dovuti anche ai prodotti aromatici che si formano tra gli aminoacidi e gli zuccheri durante la cottura.
Alla vista avremo un’alveolatura più fine e regolare dovuta alla lenta e graduale produzione di anidride carbonica durante la lievitazione.
La maggiore acidità inoltre, impedisce la formazione delle muffe nel prodotto finale e ne garantisce una migliore conservabilità. 
D: come si mantiene la pasta madre?
R. va subito detto che, perché il lievito rimanga in buona salute, vanno seguite alcune regole e cautele, che possono sembrare perfino eccessive, ma faranno in modo che la pasta madre si mantenga stabile e ci regali soddisfazioni. In poco tempo il tutto diventerà routine.
Igiene
Va rispettata una scrupolosa pulizia degli utensili, contenitori e qualunque cosa venga a contatto con il Lm.
- Contenitori, ciotole, spatole, fruste e piano di lavoro non andrebbero lavati con detersivi, ma igienizzati con acqua bollente. Se si è costretti ad usare detergenti, bisognerebbe sciacquare con acqua e bicarbonato.
- Deodoranti, profumi, saponi, smalti da unghie ecc.: ne andrebbe evitato il contatto.
- Il lievito di birra non deve mai venire a contatto con il Lm, attenzione a mani e utensili sporchi di impasti che lo contengono.
Se sono entrambi in frigo, il lievito di birra dovrebbe essere ben sigillato con pellicola (tra l’altro si conserva meglio).
Farina
Per una conservazione in frigo di 4/5 giorni, la farina ideale è una 00 con un W  compreso tra 300 e 350 (una buona manitoba)
Acqua
Dovrebbe avere una durezza compresa tra 20 e 25°f. Le acque imbottigliate sono quasi tutte troppo dolci e la scarsa presenza di sali minerali rischia di indebolire rapidamente il Lm, che non trova una quantità sufficiente di fattori di crescita.
Si dovrebbe sincerarsi della durezza dell’acqua di rete (sul sito dell’acquedotto) e se troppo dura tagliarla con un’acqua dolce.
Se si avverte la presenza del cloro, è sufficiente versarla in un recipiente largo ed agitarla di tanto in tanto. Il cloro evapora in 3 – 4 ore.
Temperature
Il lievito naturale artigianale è un sistema complesso, composto da lieviti e batteri (prevalentemente lattici), alcuni in competizione nutrizionale ed altri tra i quali si determina una sorta di ‘collaborazione’, in pratica si scambiano i prodotti metabolici. La pasta acida diviene stabile quando al suo interno viene raggiunto un equilibrio tra i vari gruppi microbici e mantiene la stabilità se tali gruppi permangono in numero più o meno costante di individui. Il pH ideale, a lievito maturo, è compreso tra 4.2 e 4.4, ma in casa difficilmente potremo misurarlo, dovremo affidarci ai nostri sensi.
Acidità (pH), terreno e temperatura, sono i fattori (ma non gli unici) che maggiormente regolano l’attività metabolica dei singoli ceppi.
L’acidità la verificheremo annusando ed assaggiando; il terreno cercheremo di mantenerlo costante rispettando proporzioni di acqua e farina, evitando di cambiare di colpo la tipologia di quest’ultima.
La temperatura che “fa contenti” tutti, cioè consente un’attività metabolica equilibrata di lieviti e batteri (questi ultimi molto esigenti dal punto di vista termico e nutrizionale), si assesta intorno ai 23 – 24°, per cui sarebbe importante che temperatura di fine impasto e di fermentazione del Lm da conservare, non si discosti drasticamente da questi valori, tranne che per la preparazione ai grandi lievitati.
Contenitori
Quello per la conservazione in frigo dovrebbe essere in vetro o materiale vetrificato per uso alimentare (ceramica – porcellana) ed essere dotato di tappo ermetico, possibilmente ad incastro.
Il contenitore per la fermentazione va meglio in plastica alimentare, anche senza tappo.
Entrambi dovrebbero avere 2 caratteristiche:
1 – Essere di forma cilindrica o al massimo leggermente svasata
2 – Contenere di misura la sfera di LM lateralmente
Il primo dovrebbe avere un’altezza doppia rispetto alla sfera, l’altro tripla.
Evitiamo di lasciare il lievito in contenitori larghi, se non trova le pareti rischia di indebolirsi gradualmente.
Gestione dei rinfreschi
Con il procedimento che andiamo ad illustrare, il Lm può rimanere fino ad un massimo di 4/5 gg. ad una temperatura di 5 – 6°, nel suo contenitore in vetro (frigorifero).
Passati i 4 giorni, tiriamo fuori il barattolo e lasciamolo ad una temperatura di 23 – 24°, fino a che il cuore abbia raggiunto i 20°, al tatto dovremo sentirlo appena fresco.
Con un coltello seghettato, eliminiamo circa un dito di strati periferici (sono quelli che più risentono del brusco cambio di temperatura, quindi meno sani.
Pesiamo ciò che rimane e calcoliamo lo stesso peso di farina. L’acqua, in condizioni normali di rinfresco, dovrà essere sempre metà della farina.
Es.: 100gr LM – 100gr farina – 50gr acqua
Il lievito va sciolto completamente e debitamente ossigenato; in questo modo il pH (piuttosto basso) si riequilibra leggermente e l’ossigeno farà partire la prima via metabolica dei lieviti (respirazione)
Usiamo quindi una planetaria o, in mancanza, impastiamo a mano.
Spezzettiamo il lievito nella ciotola dell’impastatrice, evitando di compattarlo con le mani (si scioglierà più facilmente), montiamo la foglia e lasciamo girare a velocità media fino a completo scioglimento. Il glutine sarà quasi completamente idrolizzato, per cui dopo 5 – 6’ non dovrebbero rimanere più grumi. Uniamo la farina setacciata e lasciamo andare al minimo fino a completa idratazione.
D: che cos’è l’esubero di pasta madre?
R: l’esubero per sua stessa definizione è l’eccesso di lievito madre rispetto a quello che ci occorre, perciò possiamo trovarci in accordo nel definirlo
“pasta madre di avanzo che non abbia subito un rinfresco recente”
La pasta madre, come ben sappiamo, è un impasto di acqua e farina colonizzato da particolari microrganismi che le conferiscono potere fermentante; si può pertanto asserire che è viva e segue un ciclo che parte dal rinfresco, passa attraverso la lievitazione e la fermentazione per terminare con il collasso e l’inacidimento, quindi riparte col rinfresco… I tempi di questo ciclo vitale cambiano a seconda delle temperature, del quantitativo di farina aggiunta e della sua forza. Normalmente per impastare si utilizza pasta madre ben in forza che abbia subìto almeno un rinfresco da poche ore e sia dunque popolata da molti microrganismi ben attivi.
Talvolta tuttavia è necessario un rinfresco alla pasta madre, ma non si ha alcuna voglia/tempo di panificare in occasione del rinfresco… allora cosa si fa? In questo caso si rinfresca solo una piccola parte di lievito, sufficiente da conservare come pasta madre, lasciando il resto senza rinfresco:  ecco qua il nostro ESUBERO.
Ma nella medesima occasione si può anche decidere di rinfrescare tutta la pasta madre conservandone poi solo una parte che raddoppierà nelle 4 ore; il resto rimane comunque inutilizzato e può essere immediatamente utilizzato per una preparazione che non necessita di lievitazione, o ancora si potrà riporre in frigorifero dove con il trascorrere del tempo inizierà la propria fase decrescente e si inacidirà.
D: cosa si può fare con l’esubero?
R: l’esubero può essere trattato come un semplice impasto di acqua e farina. Lo si può utilizzare in ricette che non prevedano lievitazione (crackers, grissini, taralli, piadine, )
oppure
siccome in un impasto ci sono acqua e farina, anche usando l’esubero si “rinfresca” cioè si nutrono i lieviti e si fa ripartire il ciclo di fermentazione; in questo caso i tempi di lievitazione e il quantitativo di pasta madre di esubero utilizzato dovrebbe tener conto del fatto che esso ha un minor potere lievitante (meno microorganismi) rispetto ad una pasta madre rinfrescata che abbia raggiunto il raddoppio. Una pasta madre rinfrescata da un lasso di tempo superiore a 3/4 ore che mostra comunque segnali di gran attività NON è ESUBERO
D: Cosa sono i cereali?
R: Per cereali si intendono le piante che fanno parte della famiglia delle graminacee. In Italia il più utilizzato è il grano o frumento, tenero (triticum aestivum) che è originario del medio oriente, ed il grano duro.
Nell’uso comune, con il termine farina, si intende quella ottenuta dal grano tenero, mentre la farina ottenuta dal grano duro (normalmente utilizzata per la pasta) viene chiamata semola.
La farina è la povere che deriva dalla macinazione del cereale. La spiga contiene il chicco di grano, la cariosside, ed ha tre costituenti principali: il germe, la parte più esterna, detta crusca, che è ricca in sali minerali e fibre e l’endosperma, formato da granuli di amido e proteine, principalmente glutenina, che dona elasticità e tenacità all’impasto, e gliadina che lo rende estensibile. Glutenina e gliadina, a contatto con l’acqua e per azione meccanica, si legano fra loro formando un complesso proteico chiamato glutine, che durante la lievitazione trattiene l’anidride carbonica sviluppata dal lievito ed è responsabile della forza e dell’elasticità dell’impasto.
Il germe di grano viene quasi sempre scartato perché ricco di grassi, pertanto rende difficile la conservazione della farina.
D: come sono classificate le farine?
R: In base alla normativa italiana (Legge n. 580/67, modificata dal DPR n. 187/2001) le farine di grano tenero destinate al commercio vengono classificate a seconda del loro contenuto di proteine, ceneri e umidità. Ovviamente le percentuali di materiali che rimangono nella farina finale dipendono dal grado di raffinazione della farina stessa. La farina integrale, non essendo setacciata, contiene integralmente la cariosside macinata e presenta un maggiore contenuto in crusca e fibra, inoltre al contrario di quanto si possa pensare, l’integrale risulterà meno digeribile della 00 per la grande quantità di cellulosa che il corpo umano non può digerire. Tale contenuto diminuisce gradualmente (abburattamento). nelle farine di tipo 2 (è molto simile all’integrale, viene però macinata fine, mentre l’integrale contiene ancora i pezzi di crusca), 1 e 0, fino alla più raffinata, la farina 00, ricca in carboidrati – soprattutto amido (endosperma) e povera di proteine, e minerali, con un maggiore carico glicemico rispetto alla integrale, e senza crusca.
Le farine vengono poi ulteriormente suddivise in base alla consistenza dell’impasto ottenibile, chiamata anche forza e indicata con la lettera W.
Abbiamo così farine deboli, di media forza, forti o rinforzate.
La variabilità di carboidrati e proteine nella farina è importantissima e ci consente di capire come usare la farina e come poter ottenere determinati risultati.
La presenza dell’amido consente l’assorbimento dei liquidi durante l’impastamento.
Durante la lievitazione avviene la saccarificazione dell’amido (reazione chimica che trasforma l’amido negli zuccheri con l’aiuto degli enzimi) che viene scomposto in glucosio dagli enzimi presenti nella farina e dagli enzimi aggiunti ad esempio attraverso il malto. L’amido durante l’infornamento si gelatinizza sopra i 56 gradi, assorbendo l’acqua e premette di formare la struttura della mollica del pane. Durante la conservazione, invecchia perdendo l’acqua assorbita precedentemente seccando il prodotto. Si potrebbe ipotizzare che, se si usa per un pane una farina ricca di amido, questo avrà un grande sviluppo, un maggiore assorbimento di acqua, una bellissima mollica, ma dopo poco sarà secco e immangiabile.
La presenza delle proteine è importante per la formazione del glutine, ovvero l’unione di due proteine composte da aminoacidi legati tra loro, nella farina sono presenti diverse proteine, classificate in base alla loro solubilità, le proprietà che hanno di formare il glutine dipendono dal cereale originario. Nel frumento ce ne sono molte, nel farro ce ne sono meno, nella segale ancora meno.  le più importanti ai fini della panificazione sono la gliadina e gluteina, che tramite l’aggiunta di acqua si uniscono a formare una rete complessa e porosa. Cambia anche il tipo di glutine che possono formare: il glutine formato da una farina di frumento tenero sarà differente da quello del frumento duro.
Ecco perché il pane di grano duro è molto più compatto di un pane fatto con grano tenero. Anche le
proteine influiscono sull’assorbimento dell’acqua e in questo caso determinano l’estensibilità e la tenuta dell’impasto.
Importante è anche la funzione degli zuccheri semplici, contenuti nella farina. Sono le fonti alimentari delle cellule del lievito nel periodo iniziale della lievitazione, e producono la cosiddetta lievitazione alcolica che produce anche rigonfiamento dell’impasto. Quando è terminata la fermentazione, vengono intaccati gli amidi. Di conseguenza, se si usa tanto lievito, non essendoci il tempo giusto per la saccarificazione degli amidi, il prodotto sarà lievitato ma difficilmente digeribile, proprio perché avrà al suo interno ancora parte dell’amido da scomporre.
D: che cosa si intende per “forza” della farina?
R: Nel 1921 venne inventato da Marcel Chopin un indice (W), che ancora oggi si utilizza.
Tramite lo strumento dell’alveografo viene soffiata dell’aria nel centro di un disco di pasta di peso e idratazione standard per produrre una bolla, in modo da simulare l’effetto della lievitazione, e misurare la capacità dell’impasto di trattenere il gas. Sotto l’effetto della pressione dell’aria insufflata la bolla si espande sino a rompersi.
Il risultato di questa prova è un Alveogramma, che riporta un grafico della pressione (P) in funzione dell’estensione (L) della bolla di impasto.
Dall’area sottesa alla curva si può calcolare l’energia totale spesa per rompere l’impasto. Questa energia viene indicata con W (è il simbolo del lavoro, per questo dicevo che è un po’ improprio chiamarla “forza”) e rappresenta un indice globale di comportamento della farina. Qui sotto vedete due alveogrammi tipici. ll massimo della curva identifica P, che rappresenta la tenacità del glutine, mentre L rappresenta l’estensibilità: più è elevata e più l’impasto è estensibile. Ai fini pratici questi due parametri vengono combinati, dividendoli tra loro, per calcolare l’indice P/L. Il valore di riferimento è di 0.5. (Dario Bressanini)
Una farina per biscotti avrà un valore di W e di P/L bassi (ad esempio W=100 e P/L = 0.4) mentre una farina per prodotti lievitati avrà W e P/L alti (ad esempio W=350 e P/L=0.6). Un valore di P/L troppo alto indica una farina troppo resistente e poco estendibile, di difficile lavorazione. Al contrario, un P/L troppo basso indica una farina poco resistente e troppo estendibile
Le farine deboli (W compreso tra 90 e 160) presentano un basso contenuto proteico, solitamente al 9%. Sono utilizzate per produrre biscotti secchi, cialde, gallette e dolci friabili
Le farine con forza media (W compreso tra 160 e 250), sono usate per produrre pane, pizza, tartine, impasti diretti o lievitazioni brevi.
Le farine di forza (W compreso tra 280 e 370) sono utilizzate quando il prodotto finale richiede lievitazioni lunghe, come pandori, panettoni, colombe pasquali e brioches.
Le farine rinforzate (W superiori a 400) hanno un alto contenuto proteico e sono utilizzate in miscela con farine più deboli per riequilibrarne la forza.
Invece farine con valori P/L compresi tra 0,45 e 0,50 sono adatte per pan di spagna, pasta frolla, bignè e croissant; farine con valori superiori a 0,55 e inferiori a 0,60 sono impiegate per panettoni e pandori. Per aiutare il consumatore a orientarsi in una così ampia scelta, le aziende molitorie indicano in genere sulle confezioni i consigli di utilizzo per ogni tipologia di farina.
D: Che tipi di cereali conosciamo?
R: eccoli elencati in ordine alfabetico
Amaranto
Non è un vero e proprio cereale perché non appartiene alla famiglia delle graminacee, ma a quella delle amarantacee, molto simile alla quinoa, è originario del centro America, era uno degli alimenti base delle popolazioni Azteche e veniva chiamato il cibo degli Dei.
Ha un sapore particolare, ricorda la nocciola, è ricco di proteine ed un aminoacido essenziale la lisina.
Va bollito per 30 minuti in acqua pari a 3 volte il suo peso, siccome tende ad aggregarsi in una massa gelatinosa, si consiglia di associarlo al 15% di farro o orzo.
Ha un costo molto elevato perché la sua coltivazione è complessa ma non contiene glutine.
Utilizzato per prodotti dolci e salati, anche in India per la produzione del Chapati.
Avena
Cereale antico dalle diverse proprietà benefiche, è il cereale che contiene più proteine in assoluto, contiene anche carboidrati, fibre,molti grassi, minerali e vitamine soprattutto la B1.
Non ha glutine ma contiene l’avenina, una proteina molto simile alla gliadina del frumento, pertanto è sconsigliato in caso di celiachia.
E’ indicato anche per abbassare il colesterolo, e come diuretico.
Si trova in forma di fiocchi di avena (sono i chicchi essiccati e pestati) o di farina, è importantissimo nelle diete anche per i vegani e nella crescita.
Generalmente si utilizza in aggiunta alla farina per dolci e biscotti, e per il porridge.
Mescolata con altre farine ricche di glutine se ne utilizza il 30% sul totale delle farine.
Boulgour
E’ una farina integrale di granoduro germogliato che viene cotto al vapore, seccato e ridotto in piccoli pezzi che a seconda della grandezza ne definiscono l’utilizzo e il tipo.
Viene utilizzato anche nelle minestre in brodo, è ricco di vitamina b e fibre, e induce sazietà.
Non ha bisogno di cottura, basta reidratarlo in acqua bollente per 20-30 minuti nel doppio del suo peso in acqua e lasciarlo ulteriormente 10-15 minuti.
Farro
E’ un tipo antico di frumento, ne esistono tre varietà
-          il Dicoccum è molto simile al grano duro e quindi si utilizza per la pasta e cibi che non richiedano una grande lievitazione (crostate, biscotti);
-          Spelta e Monococcum sono molto simili al grano tenero e quindi adatte a prodotti da forno dolci e salate (pane).
La produzione di farro rispetto al frumento ha una resa minore perché quando viene colto è ancora rivestito da una cuticola che deve essere eliminata per poter essere consumato.
E’ il cereale meno calorico in assoluto e quello che assorbe di più l’acqua, fino a 2,5 volte il suo peso, inducendo quindi grande sazietà.
Ricco di proteine si accompagna ai legumi per ottenere piatti completi ma poco calorici.
Il chicco intero si cuoce in 45 minuti ma prima deve essere ammollato, si cucina come il riso risottato o bollito in acqua 2,5 volte il suo peso.
Il farro può essere integrale, decorticato, e perlato.
La farina di farro integrale è povera di grassi ma ricca di vitamine e Sali minerali.
Adatta per la realizzazione di dolci, pasta e pane.
E’ sconsigliata per gli individui affetti da celiachia.
Frumento
E’ il cereale più consumato e coltivato in Italia può essere di grano duro o grano tenero.
Ha un alto contenuto di carboidrati e proteine che variano tra il 7% e il 18%, la sua macinazione ha una granulometria diversa.
Dal glutine estratto dalla farina di frumento si ricava il setain chiamato anche carne vegetale, un concentrato di proteine ottenuto facendo cuocere il glutine estratto in un brodo insaporito con alga  kombu, zenzero e sale.
Purtroppo questo piatto è carente dell’aminoacido lisina e quindi necessita di essere integrato.
Grano Saraceno
Non è classificato come vero e proprio cereale perché non appartenente alle graminacee ma alle poligonacee (alle quali appartiene anche il rabarbaro).
E’ usato principalmente macinato in farina e tagliato in altre farine (10-30% sul totale delle farine).
Tra i piatti più conosciuti con questa farina ricordiamo i pizzoccheri e la polenta taragna (20% grano saraceno 80% mais).
Induce sazietà e non contiene glutine inoltre contiene è presente l’aminoacido essenziale la Lisina.
Grano Korasan
E’ un tipo di grano duro, più comunemente conosciuto come Kamut, che in realtà è il nome dell’azienda che lo produce, creato in America, è stato presentato dalla leggenda infondata che lo tramanda  come grano antico trovato in una tomba egizia di un faraone e rinvenuto dall’omonima società del Montana, il grano risulta mai modificato geneticamente ma originariamente coltivato in Iran.
E’ un grano molto grande il doppio o triplo del comune grano.
Ha un contenuto tra il 20% e il 40% in più di proteine del grano, ma ha anche maggiori concentrazioni di lipidi, aminoacidi, vitamine e minerali.
E’ una farina adatta alla produzione di pasta e prodotti da forno dolci e salati.
Contiene glutine.
Mais
Originario delle americhe importato da Cristoforo Colombo in Europa.
Macinato si utilizza per la polenta.
A seconda della raffinazione si trova il mais bramato ossia macinato grossolanamente, il fioretto l’equivalente della macinazione per la farina tipo 0 di grano tenero, e il fumetto, l’equivalente della farina 00 di grano tenero, utilizzato per dolci e biscotti.
Esiste anche una farina di mais bianco, tipica del veneto, che deriva dalla coltivazione di un tipo di mais quasi privo di pigmenti carotenoidi, ottima per la polenta. Esiste un tipo di farina di mais bianco che si chiama Masa Harina che è realizzata proprio per la preparazione delle tortillas, è molto fine e ha subito un processo di cottura. Esiste anche una farina di mais molto pregiata che si chiama otto file (numero delle file di semi sulla pannocchia) e può essere di diversi colori: rossa, bianca, giallo o nera. Quella rossa è conosciuta anche con il nome di “mais del Re“, ottima per polenta.
Il germe del mais è utilizzato per la produzione dell’olio.
L’amido di mais si utilizza come addensante.
Con il chicco essiccato si può fare il pop corn e i corn flakes, inoltre l’estrazione dell’olio.
Non contiene glutine.
Miglio
E’ un antico cereale, molto resistente alla siccità. Ha proteine molto complete, e facilmente assimilabili.
Si trova in commercio in varie forme: decorticato, in semi, in farina, in fiocchi.
Oltre alle proteine contiene carboidrati, grassi, minerali e vitamine (B, E, K) e aminoacidi.
E’ un alimento con proprietà diuretiche energizzanti, antistress, antidepressive e antispossatezza.
E’ utile per la pelle e si digerisce con facilità.
Si utilizza anche nella quantità del 10-30% sul peso totale delle farine mescolata con farina di fumento.
Si cucina senza difficoltà, cuocendo per 20 minuti in una quantità di acqua calda del doppio del suo peso, oppure con pari quantità di peso di acqua si può utilizzare per farcire verdure con tofu al vapore.
Il miglio è alcalinizzante, adatto a chi soffre di acidità, e non contiene glutine.
Orzo
E’ un cereale rinfrescante, nutriente, molto digeribile e depurativo per l’intestino.
Esiste anche la versione orzo perlato come per il riso ovvero decorticato, biancato e lucidato, da utilizzare per minestre, zuppe e insalate.
Prima della cottura deve essere lavato e lessato per 40 minuti, ammollato per una notte se non decorticato.
L’orzo integrale è più scuro, con maggiori proprietà nutritive.
Per l’utilizzo in brodo va cotto con liquidi del triplo del suo peso.
E’ un ingrediente fondamentale per la produzione di birra.
Quinoa
La quinoa non è un vero e proprio cereale perché non appartiene alla famiglia delle graminacee, bensì chenopodiacee, piante erbacee arbustive, della stessa famiglia sono per esempio la barbabietola, gli spinaci e la bieta.
E’ ricca di fibre, Sali minerali e proteine vegetali.
Richiede una cottura di 15 minuti, ma prima deve essere lavato per eliminare la saponina una sostanza naturale che produce la pianta per allontanare gli insetti, dal sapore molto amaro.
Non contiene glutine.
Si utilizza anche nella quantità del 20-30% sul peso totale delle farine mescolata con farina di fumento.
Riso
E’ uno dei cereali più diffusi nel mondo.
Le sottospecie più note sono: Japonica (chicco tondeggiante, coltivazioni in Europa, Giappone, Cina del nord), Javanica (chicco lungo e largo, coltivazioni in Indonesia), Indica (chicco stretto ed affusolato, coltivazioni in India e Sud-est asiatico) a sua volta comprende il basmati, il long thai e il long grain. A livello internazionale il riso si suddivide in long grain (grano lungo) e round grain (grano rotondo).
In Italia viene classificato in 4 tipi a seconda della resistenza durante la cottura, il primo è quello che tende a sfaldarsi, adatto per il brodo, per salire a quello più tenace che si utilizza per insalate e risotti.
Inoltre può essere comune o originario (Balilla e Raffaello), semifino (Maratelli e vialone nano), fino (razza 77, Roma, rizzotto e ringo), superfino (arborio, carnaroli, baldo).
L’arborio è nato a Vercelli nel 1946, per derivazione dal vialone, questa varietà di riso è particolare perché durante la cottura, il calore penetra nella parte esterna lasciando al dente il nucleo centrale, tanto da non sembrare mai cotto.
Per i risotti il migliore è il carnaroli, tiene bene la cottura.
Anche il baldo è tra i migliori e tiene la cottura.
Il Roma è piuttosto instabile e varia in base all’annata.
Esistono inoltre dei tipi di riso straniero come il parboiled, che non scuoce perché precotto, ricco di vitamine,  ma assorbe meno i condimenti; il basmati, tipico indiano, estremamente profumato, fragrante e delicato; il venere dal chicco nero ed allungato, saporito e profumato ed infine il riso rosso, con chicchi a forma di bastoncini di colore bruno.
Il riso non contiene glutine, l’amido di riso viene utilizzato come addensante.
Segale
E’ un cereale diffuso nelle zone temperate, utilizzato per pane e prodotti da forno dolci e salati, il suo glutine ha una bassa attitudine alla panificazione.
Il pane con questa farina ha una mollica fitta, meno alveolata.
La segale è anche utilizzata nella produzione della vodka.
E’ ricca di minerali, e vitamine, anche di fibra.
Miscelato con la farina di grano permette di ottenere pane e dolci di ottima qualità.
Farine speciali**
Farina Bona – Farina ottenuta dal mais tostato e poi macinato. È una specialità della valle Onsernone nel Ticino (Svizzera). Adatta per preparare dolci, gelati e creme. Per saperne di più:  www.farinabona.ch
Farina di canapa – si ottiene dalla macinazione dei semi di canapa, è molto ricca di proteine e grassi insaturi. Per l’utilizzo, essendo senza glutine, va miscelata con altre farine unendo solo il 15 per cento di quella di canapa rispetto al totale.
Farina di carruba – esistono due tipi : una ottenuta, dalla polpa dei bacelli della carruba, utilizzata al posto del cacao per preparare dolci e creme; l’altra, ottenuta dai semi della carruba, viene utilizzata come addensante per creme, gelati (molto indicata perchè non fa formare i cristalli di ghiaccio), salse, budini, ecc.
Farina di castagne – è ottenuta dalla macinazione di castagne secche pelate. Oltre alla preparazione della torta “castagnaccio”, si utilizza nella preparazione di pane, dolci, gnocchi e tagliatelle. È priva di glutine, quindi per le torte bisogna miscelarla con farine tipo frumento, kamut e farro (70 per cento).
Farina di ceci – si ottiene macinando a pietra i ceci, perfetta per preparare la “farinata” (specialità di Pisa e Ligure) e la “panissa” (tipica della Liguria).
Farina di cocco – si realizza dal cocco essiccato. Senza glutine.
Farina di fagioli – proviene dalla macinazione di fagioli borlotti crudi ed essiccati. Si utilizza nella preparazione dei prodotti da forno, è ricca di proteine, priva di glutine (quindi va miscelata con frumento, kamut, farro), migliora il sapore e la sofficità. Se cotta può essere un ingrediente per cucinare zuppe.
Farina di fave – la fava contiene meno carboidrati rispetto ad altri legumi e quindi ha un apporto calorico ridotto. La farina di fave non può essere consumata da chi soffre di favismo (sono persone che hanno carenza di un enzima necessario per digerire le fave). Viene utilizzata unita ad altre farine (consigliata la Manitoba) per aumentare il contenuto proteico del prodotto da forno che si vuole preparare; la percentuale di farina di fave da utilizzare, rispetto all’altra, è tra il 15 ed il 30 per cento. Se si unisce, nella misura dell’1 per cento, a farine che contengono glutine, come il frumento, il farro, il Kamut, migliora le loro prestazioni di panificazione come la lievitazione, la stabilità, la colorazione della crosta,  ….
Farina di grano arso – è ottenuta dalla macinazione di grano duro che ha subito precedentemente la tostatura, ha una colorazione ed un profumo molto intenso. È il prodotto di una antica usanza pugliese che era quella di recuperare il grano dopo la bruciatura delle stoppie per poi essere trasformato in farina. Viene utilizzata per la preparazione dei prodotti da forno sia dolci che salati, dopo essere stata miscelata con farine con glutine come quelle di frumento, farro, kamut. E’ famosa la ricetta degli “strascinati” (orecchiette scure preparate con farina metà arso e metà grano).
Farina di lenticchie – dalle lenticchie verdi, non decorticate, viene ricavata la farina che può essere utilizzata per realizzare prodotti da forno dolci e salati miscelandola, nella misura del 10 – 30 per cento, con quella di frumento. Migliora la morbidezza ed il sapore. Essendo molto proteica, se aggiunta nella misura dell’1 per cento alle farine adatte alla lievitazione (frumento, kamut, farro), migliora la forza.
Farina di lino – quella ottenuta dal “pannello di lino” (residuo della lavorazione effettuata per ottenere l’olio di lino dalla spremitura meccanica, senza uso di solventi)  è molto proteica e quindi viene utilizzata per tutti i prodotti da forno nella percentuale dal 20 al 30 per cento, miscelandola con la farina di frumento.
Farina di mandorle – la mandorla (famose quelle siciliane) è il seme (non il frutto) del mandorlo (Prunus dulcisdella famiglia delle rosacee); per ottenere la farina vengono utilizzate le mandorle dolci, queste devono essere decorticate e separate dalla pelle. La farina si utilizza per preparare prodotti da forno o, con l’aggiunta dello zucchero, per realizzare la pasta di mandorle che risulta essere malleabile e duttile per decorare torte e prodotti di pasticceria (marzapane). Esiste anche la farina di mandorle amare (le mandorle amare sono il seme del Prunus amygdalus, contengono amigdalina, sostanza velenosa) che,  in piccola quantità, viene usata nella preparazione degli amaretti.
Farina di manitoba – è ottenuta dalla macinazione di un tipo di frumento che veniva coltivato in Canada, il nome Manitoba deriva dal nome della tribù indiana che abitava il territorio dove avveniva la coltivazione di questo grano. E’ un grano semi-duro e la sua caratteristica è quella di avere un alto contenuto di proteine (attivate dall’acqua originano il glutine) che conferisce a questo prodotto la caratteristica di essere adatta alla preparazione di prodotti dove necessita una buona  lievitazione, come per la realizzazione di panettoni, pandori, colombe, croissants, …. Attualmente si definiscono Manitoba le farine che hanno le caratteristiche sopradescritte, pur non provenendo dal Canada.
Farina di nocciole – si ottiene dalla macinazione delle nocciole ed è adatta per la preparazioni di dolci, gelati e creme.
Farina di patate – viene prodotta dalle patate essiccate e macinate, è ideale per migliorare la lievitazione del pane (soprattutto di segale, farro,…) e torte.
Farina di piselli – si ottiene dalla macinazione dei piselli essiccati; può essere utilizzata nella preparazione dei prodotti da forno sia dolci che salati, nella misura del 10-30 per cento abbinandola alla farina di grano; migliora la morbidezza, il profumo e abbassa l’indice glicemico essendo molto proteica.
Farina di soia – la soia prima di essere macinata viene tostata; si utilizza al 20 per cento con la farina di frumento per aumentare la morbidezza e i tempi di conservazione dei prodotti da forno.
Farina di spinaci – si ottiene dalla essiccazione di spinaci freschi e conseguente macinazione. Si utilizza principalmente per dare sapore e colore ai prodotti da forno. E’ un ottimo colorante naturale, sono sufficienti 20/30 gr. di farina di spinaci per la colorazione di un chilo di farina.
Farina di tapioca – si ottiene dalla macinazione della manioca, un tubero, come la patata, originaria dell’America latina; si utilizza principalmente per addensare creme e salse.
Farina di teff – il teff è un cereale proveniente dall’Eritrea e dall’Etiopia, ha semi molto piccoli e ne esistono di due varietà una rossa (la più popolare, con un sapore più deciso) ed una bianca (la più pregiata, con un sapore più delicato); è utilizzata principalmente per la produzione del pane Injera e anche altri tipi di prodotti da forno.
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Per qualsiasi informazione successiva alla ricezione della pasta madre, potrete rivolgervi agli amici blogger che hanno partecipato al Pasta Madre Day 2016:
Stefy
Chiara
Alessandra
Carlo
Alessia
Per corsi di cucina e pasta madre vi rimandiamo al blog della Chef Rita Monatero
 SCHEDA RAPIDA RINFRESCO PASTA MADRE
(ogni quattro giorni)
1.     togliere dal frigorifero il barattolo con la pasta madre
2.     attendere che la pasta madre sia tornata a temperatura ambiente (dipende dalle temperature esterne)
3.     separare il “cuore” della pasta madre dalla parte esterna
4.     pesare il “cuore”
5.     aggiungere lo stesso peso in farina (si consiglia l’uso di una buona farina  di tipo 0 e con almeno il 13% di proteine – si chiama farina di forza e consente una prolungata conservazione della pasta madre) e circa metà di acqua (esempio: 100 grammi di pasta madre, 100 grammi di farina, 50 grammi di acqua)
6.     impastare bene il composto fino a quando si otterrà un panetto liscio ed elastico
7.     dare al panetto la forma di una palla e praticare un taglio a croce nella parte superiore
8.     inserire la pasta madre nel suo barattolo di vetro, lavato con acqua calda ed asciugato, con la croce rivolta verso l’alto
9.     coprire il barattolo con pellicola su cui praticherete dei forellini
10.                       attendere che parta la fermentazione (un’ora) e riporre il barattolo in frigo (ripiano più basso, con temperatura a +4° circa)
N.B.: nel caso si voglia panificare, il quantitativo di pasta madre da rinfrescare dovrà essere tale da consentire sia l’utilizzo di quella che andrà nell’impasto, che la conservazione della dose da riporre in frigo.
Dopo un’ora dal rinfresco la pasta madre da conservare tornerà in frigo, come descritto dal punto 7) al punto 10) mentre il quantitativo da usare nell’impasto sarà pronto dopo circa 4 ore dal rinfresco, cioè, quando il panetto sarà raddoppiato di volume.

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