Pescado encocado

O anche encocado de pescado; ricetta ecuadoriana, suggerita da un’amica di quel Paese, che ringrazio moltissimo. La realizzazione è semplice e molto meno laboriosa di quanto non sembri dalla lista degli ingredienti, che si trovano tutti abbastanza facilmente nei supermercati forniti.

Immagine in via eccezionale non rubata, con riso bollito, manioca fritta e impiattamento altamente professionale.

Il nome si potrebbe tradurre con “pesce al cocco” o, proprio letteralmente, “pesce incoccato”. In italiano non suona molto bene, suggerendo l’uso del pesce come proiettile, impiego che evoca immagini deliziosamente ridicole e che mi sentirei di sconsigliare. Per soddisfare intenti omicidi con mezzi ittici, suggerirei piuttosto di adibire ad arma bianca amatoriale le teste di pesce spada che fanno bella mostra di sé sui banchi del pesce kitsch quanto basta, mentre per atti di violenza più dozzinale si può sempre schiaffeggiare un po’ qualcuno con una grossa trota.

  • Filetti di pesce bianco: mezzo kilo. Qualsiasi pesce fresco o surgelato andrà bene, ma evitate quelli dalle carni molto tenere, come orate o branzini.

Per la marinatura

  • Il succo di un limone
  • Il succo di un’arancia
  • Aglio: due spicchi schiacciati o tritati finissimamente
  • Cumino di malta macinato: mezzo cucchiaino (se l’avete)
  • Semi di coriandolo macinati: mezzo cucchiaino (se l’avete)
  • Semi di achiote (o annatto) macinati finemente: mezzo cucchiaino, facoltativo. Vedi nota dopo la ricetta.

Per la salsa

  • Latte di cocco: una confezione da 200 mL (ma vedi nota all’inizio della ricetta)
  • Peperone: uno medio
  • Pomodori da sugo: un paio
  • Cipolla bianca: mezza
  • Coriandolo fresco tritato: un cucchiaio, se lo trovate e se piace
  • Olio (di cocco, volendo!), sale

La ricetta viene per due–quattro persone, a seconda di quanto riccamente si accompagna.

In Ecuador lo si può preparare con il latte di cocco fresco, che si ottiene frullando solo la parte bianca della noce di cocco nell’acqua che si trova al suo interno e filtrando il risultato con uno straccio. Il procedimento è lungo e molto, molto laborioso, ma secondo gli intenditori sudamericani così l’encocado viene parecchio migliore che con il prodotto industriale. Per averci provato un paio di volte, vi assicuro che non vale la pena lavorare tanto per ottenere il latte dal cocco che arriva da noi: è asprigno e poco saporito, probabilmente perché il frutto non può essere maturato come si deve. Il latte di cocco commerciale è più gustoso, più pratico, più economico e probabilmente anche più ecologico – conservandosi a lungo a temperatura ambiente e in poco spazio.

Preparate il liquido della marinatura mescolando tutti gli ingredienti, in una piccola terrina. Tagliate il pesce in grossi cubi e immergetelo nella marinata, dove lo lascerete riposare, al fresco, per un paio d’ore.

Tritate grossolanamente la cipolla, il pomodoro ed il peperone. In una larga padella o tegame versate dell’olio e fateci soffriggere le verdure per circa cinque minuti. Poi salate generosamente (dovrà bastare anche per il pesce) e aggiungete il latte di cocco. Mescolate bene e lasciate cuocere per una decina di minuti.

Adagiate nella padella i pezzi di pesce scolati dalla marinatura e lasciate cuocere coperto, a fuoco lento, per 20–25 minuti, voltandoli molto delicatamente una volta o due. Quand’è pronto, trasferite i tocchi di pesce nei piatti e, prima di metterci anche la salsa, mescolatela vigorosamente a fuoco spento in modo che si ricomponga, dato che l’olio sarà probabilmente separato. Se occorre aggiustare la consistenza, aggiungete un goccio d’acqua o fatela restringere a fuoco alto. Cogliete l’occasione per controllare il sale.

Si serve spolverizzato di coriandolo tritato (se lo volete) e tipicamente accompagnato con riso bianco e platano fritto.

 


L’achiote (si legge come in italiano si leggerebbe “aci-òte”) è un ingrediente molto comune nei piatti sudamericani. Si tratta del seme essiccato di una pianta brasiliana che i botanici chiamano Bixa orellana. Dato l’aroma molto tenue, più che una spezia va considerato un pigmento naturale, che si adopera con funzione quasi puramente estetica per il colore intensamente giallo. Lo si trova intero nei supermercati fornitissimi oppure in alcuni negozi specializzati in cibi esteri, o in rete. Per essere utilizzato direttamente va macinato finissimo, dato che i granelli sono duri quasi come un chicco di pop-corn. Sconsiglio di impazzire per procurarselo: non ne vale la pena; omettetelo o sostituitelo con un qualsiasi colorante alimentare insapore.

Il composto giallo si trova sotto forma di una specie di cera che ricopre i semi, che appaiono rossi solo per l’elevata concentrazione del colorante, un po’ come succede nel caso dello zafferano, che pure sembra rosso prima di essere diluito. Si tratta di un miscuglio di carotenoidi di struttura simile, che – isolati dal seme con un solvente – si vendono all’industria alimentare con il nome caraibico della pianta: annatto. Usato in particolare per tingere di giallo o arancione formaggi e altri latticini, l’annatto ha il codice E130b nella classificazione europea degli additivi alimentari ed è ritenuto perfettamente atossico. Come tutti i carotenoidi, non è solubile in acqua, ma solo nei grassi. Per semplificarne l’uso, in molti Paesi il colorante dell’achiote si estrae sotto forma di aceite de achiote o aceite de color, olio di achiote” o – letteralmente – “olio di colore”, con la seguente ricetta:

  • Semi di achiote
  • Un qualsiasi olio incolore o quasi: il doppio del volume dei semi

Versate i semi nell’olio e mettete a scaldare sul fuoco. Continuate a riscaldare fino a che non sarà molto caldo, ma non bollente. Mescolate fino a che la parte superficiale rossa si sarà disciolta nell’olio e i semi non saranno neri del tutto o quasi. Durante la preparazione, l’olio diventerà prima giallo, poi arancione, poi intensamente rosso. Filtrate e scartate i semi. L’olio così preparato si conserva molto a lungo al buio e si può usare in piccole dosi per colorare di giallo qualsiasi piatto.

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