Vi presento un piatto rapido di pasta al pomodoro, con un trucco che lo rende sia molto più saporito del solito, sia fusion, come si suol dire. In teoria, questo termine dovrebbe indicare una cucina che trae ispirazione da diverse tradizioni, ma se guardiamo ai locali di livello basso o medio/basso che si dichiarano fusion, non sono altro che i soliti ristoranti giapponesi gestiti da cinesi dove potete non solo riso appiccicato a cilindretto o pallina, ma anche riso saltato.
Perdonatemi per l’allitterazione nel titolo, che per qualcuno sarà difficile da pronunciare. Molti miei studenti non sanno dire “fosfofruttochinasi”, o “Feltre fu fatta forte” o “full forty furlongs from Faroe’s furthest frothy foreshore flew fifty-five flying fish fleeing fearfully for freedom from fifty-five famelic feathered fowls; fifty feet further: flop; fifty feet further: flop”.
- Fusilli: 250 grammi. Non è solo per ridere, è il formato migliore
- Pomodorini dolci, ad esempio datterini: 200 grammi
- Passata di pomodoro: 200 grammi (o meno, se è di un tipo molto concentrato)
- Miso chiaro: un cucchiaio. Lo potete trovare, nella sezione “etnica” dei supermercati più forniti, oppure in quelli che trattano cibarie orientali.
- Olio di oliva extravergine: tre cucchiai circa
- Aglio: un grosso spicchio
- Sale: niente sale
Ricetta per due, tre se mangiate anche il secondo.
Tagliate i pomodorini in quarti o metà. In una padella, che per la prima fase fareste bene a tenere inclinata, versate l’olio e fateci soffriggere l’aglio, finché non prende un po’ di colore. Versate i pomodorini tagliati nell’olio e dimenticatevene fino a che non vi sembra che rischino seriamente di bruciarsi sul fondo (circa cinque minuti a fuoco alto). Aggiungete la passata e il miso, mescolate finché questo non s’è sciolto e fate restringere per bene. Non salate. Togliete lo spicchio d’aglio. Facile facile!
Mentre il sugo si restringe, fate bollire la pasta per il tempo indicato sulla confezione, in piccolo e in un punto molto nascosto.
Il sapore del miso si sente, ma a meno che uno non abbia proprio un palato raffinato, non sarà per nulla facile da riconoscere.
Il miso è una pasta di soia e riso o orzo, fatti fermentare con il fungo kōji (Aspergillus oryzae e qualche specie molto affine), lo stesso con cui si preparano la salsa di soia e il sakè. Assieme al lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae e parenti), il kōji è il tipo di fungo che l’uomo alleva da più tempo: molti millenni. A differenza del lievito di birra, non è un microorganismo, ma è pluricellulare, cioè è semplicemente quella che chiameremmo una muffa e, in effetti, varie altre specie di Aspergillus sono proprio muffe, di quelle che crescono sul pane o sulla frutta. La varietà coltivata è stata involontariamente selezionata dall’uomo e ha perso la capacità di sintetizzare aflatossine: un gruppo di sostanze tossiche e molto cancerogene caratteristiche proprio del genere Aspergillus, il cui consumo è associato sia ad avvelenamenti, con conseguenze soprattutto sul fegato (necrosi, cirrosi), sia ad effetti cronici, con ritardo fisico e mentale nello sviluppo, e insorgenza di tumori, di nuovo soprattutto al fegato.
Come ingrediente, è molto salato e sapido, ricorda in un certo modo la salsa di soia, ma direi che ha un gusto ben più neutro, che si adatta bene anche a pietanze di gusto non esplicitamente orientale. È il principale ingrediente e la principale nota di sapore di una minestra che molti milioni di giapponesi consumano ogni giorno e che, certamente, molti avranno assaggiato in uno dei ristoranti fusion di cui parlavo. Può andare tranquillamente anche nel minestrone.