Cannelé

Questo pasticcino francese (di Bordeaux, a volte anche canelé con una N sola) è il tipo di ricetta che di solito non pubblicherei: è famosissima e si trova ovunque, e richiede strumentazioni particolari. Tuttavia, sono stati per due anni e mezzo la mia balena bianca (li avevo promessi qui), perciò mi pare almeno di dover festeggiare la loro riuscita parlandone ai miei venticinque lettori. È caratteristico per essere croccante e caramellato all’esterno e morbido, quasi una crema, all’interno. Non contiene lievito: cresce solo per l’evaporazione –direi sostanzialmente completa– della quantità vergognosa di alcol che contiene in forma di rhum. Se vi voleste cimentare, ve li consiglio assaissimo.


Foto mia. Questi OTTIMI cannelé sono cotti un po’ troppo, ma parliamo cinque minuti, non di più.

Nonostante il nome lo potrebbe suggerire, non contengono cannella: il termine è collegabile all’italiano “scanalato”, per via della forma. L’inverosimile stora delle loro origini che si racconta un po’ dappertutto è più o meno questa: durante la produzione di alcuni tipi di vino si usano le chiare d’uovo per far precipitare le impurità (è il cosiddetto collage del vino); i tuorli avanzati venivano regalati ai monasteri, dove le monache inventarono i cannelé in tempi remotissimi. In realtà, almeno nella sua forma moderna, il cannelé è certamente un’invenzione della prima metà del XX secolo.

La preparazione richiede almeno un giorno di riposo, tenetene conto. Vi dico da subito anche che è quasi fondamentale avere gli stampini appositi; ne parlo dopo la fine della ricetta.

  • Latte intero: 485 grammi. Va pesato, in pasticceria occorre essere precisi.
  • Burro: 50 grammi, più quello che serve per imburrare gli stampini
  • Farina bianca di frumento di tipo 00: 100 grammi
  • Zucchero: 200 grammi
  • Uova: due
  • Tuorli d’uovo: due
  • Rhum, molto meglio scuro: 50 grammi. Anche qui, va pesato, non andate a volume.
  • Vaniglia: una stecca (se siete ricchi…), oppure due cucchiaini di estratto
  • Sale: due pizzichi
  • Cera d’api: circa 20 grammi, facoltativissima
  • Burro chiarificato: circa 20 grammi, facoltativissimoissimo

Con queste dosi vengono una quindicina di cannelé di misura normale (stampo da 5,5×5 cm, esistono anche in versione mini ma per quelli non vi so aiutare!). Un set di stampini di solito ne ha dodici, vedete voi se buttare l’eccesso o se valga la pena di fare due infornate.

In un pentolino, versate il latte e il burro. Se usate la stecca di vaniglia, tagliatela per il lungo, grattate i semi con un coltello e aggiungete tutto nel pentolino, altrimenti aggiungete l’estratto di vaniglia. Mettete sul fuoco basso e fate scaldare mescolando fino a che il burro non è sciolto del tutto e il latte non sembra sul punto di bollire. Spegnete il fuoco e lasciate la vaniglia in infusione per almeno una ventina di minuti, mentre proseguite con la ricetta.

In una terrina, rompete le uova e aggiungete i due tuorli. Batteteli bene con la frusta cercando di non incorporare aria. In un secondo recipiente, setacciate assieme o mescolate benissimo la farina, lo zucchero, e il sale.

Se l’avete usata, togliete la stecca di vaniglia dal latte aromatizzato e versatelo poco per volta nelle uova, mescolando bene con la frusta, sempre senza incorporare aria, per quel che si può. Mi raccomando un po’ per volta, specie se è ancora caldo: se lo aggiungeste tutto assieme, il calore cuocerebbe le uova e non vogliamo frittate!

Sempre mescolando con la frusta, aggiungete al liquido le polveri, poco per volta. Se avete fatto i bravi, non avrete grumi, ma se ne aveste passate tutto per un colino sottile. Aggiungete il rhum, mescolando.

Mettete l’impasto, ben coperto, al fresco e lasciatelo riposare per un giorno o due. Su numerosi siti per cuochi somari (tra cui, neanche dirlo, G… Z…) scrivono che il rhum farebbe “fermentare” il composto. Questo non ha alcun senso: se ci fossero dei lieviti questi sarebbero caso mai uccisi dall’alcol, il riposo serve invece per fare idratare perfettamente la farina e far sfuggire tutte le bollicine d’aria. È vero che i cannelé crescono in forno per via dell’alcol, ma si tratta semplicemente della sua ebollizione, che avviene a soli 78°C.

Quando siete pronti per cucinare i cannelé, togliete la pastella dal frigorifero e accendete il forno ventilato a 230°C, con la piastra nella parte bassa. Preriscaldarlo è fondamentale! È ora il momento di imburrare gli stampini e le strade principali sono tre: quella normale, quella per pignoli, e quella per ossessionati.

→ Se seguite la strada normale, si tratta semplicemente di imburrare abbondantemente (senza infarinare!) tutto l’interno dello stampo. In Francia quasi tutti fanno così, al giorno d’oggi. Qualcuno consiglia addirittura quegli spray antiaderenti per dolci che si vendono in qualche negozio, ma io non l’ho mai provato e non vi so dire come vada. Questa strada non si può percorrere se avete gli stampini di rame stagnato.

→ Se seguite la strada per pignoli, userete la cera. In un mestolo, un minuscolo pentolino o uno stampino per muffin di alluminio usa-e-getta mettete cera d’api e burro in parti uguali, mettete sopra al fuoco basso e fate fondere il tutto. Riscaldate leggermente gli stampini, ad esempio mettendoli in forno qualche istante o, come faccio io, passandoli vicino alla fiamma. Con un pennello da cucina, pennellate l’interno dello stampo col miscuglio a base di cera e rovesciate lo stampino così preparato su una griglia o qualcosa di simile per svuotarlo da ogni eccesso di cera. Lo strato dovrà essere sottilissimo e al limite dell’impercettibile. Il miscuglio che vi resterà durerà in frigorifero il tempo che dura il burro, ma se adoperate burro chiarificato (o ghi) si può pure tenere a temperatura ambiente anche per molti mesi. Alla fine di tutto, alcuni consigli su come lavare l’attrezzatura sporca di cera.

→ Se seguite la strada per ossessionati, sciogliete assieme abbastanza cera e burro da riempire uno stampino del tutto. Riempite uno stampino e rovesciatelo immediatamente facendo cadere il miscuglio dentro allo stampino successivo. Mettete il primo stampino a scolare dall’eccesso di cera su un graticcio e ripetete l’operazione con tutti i successivi. Questo è il procedimento che usano i pasticceri professionisti e produce rapidamente uno strato di cera sottilissimo e perfettamente uniforme in ogni stampo. Occorre, però, molta cera e vale la pena provarlo solo se ne fate veramente tanti.

Tutte e tre sono valide, i risultati sono tutto sommato simili. Nessuno vieta, naturalmente, di usare soluzioni ibride: con un quarto di cera e tre quarti di burro, ad esempio, si ottiene un miscuglio facile da spalmare a temperatura ambiente. Potete anche pennellare gli stampini di cera, scaldarli per farla sciogliere e far scolare l’eccesso, lasciandone un velo sottilissimo. Un po’ di ingegno!

Una volta imburrati e/o incerati gli stampini, in un modo o nell’altro, mescolate l’impasto con un cucchiaio senza incorporare aria; durante il riposo il burro sarà risalito in superficie e la farina sarà sprofondata, è normale. Versate in ogni stampo tanto impasto quanto basta ad arrivare a poco più di mezzo centimetro dal bordo, cioè circa sette cucchiai.

Mettete i cannelé in forno, nella parte bassa, e chiudete. Lasciate cuocere a 230°C per circa venti minuti, fino a che non sembrano solidificati nella parte superiore. Alla fine di questa prima fase, avranno più o meno l’aspetto e il colore di un dolce qualsiasi quando ormai è ben cotto. Ma i cannelé vanno cotti ancora un bel po’! Abbassate la temperatura a 180°C e fate andare per altri venti minuti circa, fino a quando la parte superiore non ha un colore bruno cioccolata molto scuro; devono andare fino ad essere ad un paio di minuti da cominciare a bruciarsi. Siccome ogni forno è diverso e ogni stampino è diverso, probabilmente dovrete fare qualche prova e non vi verranno perfetti al primo tentativo, inutile nasconderlo.

Togliete i cannelé dal forno, aspettate mezzo minuto e rovesciateli fuori dagli stampini. Se tutto va bene, usciranno senza problemi. Vi consiglio di afferrarli mentre escono tenendo in mano un foglio di carta assorbente ed asciugare rapidamente l’eccesso di burro/cera, senza schiacciarli.

Si mangiano tiepidi o freddi, tenete conto che entro qualche ora dalla preparazione sono migliori, col tempo perdono di croccantezza e si fanno un po’ gommosi. C’è chi dice che si possono congelare in un sacchetto chiusto e che si mantengono benissimo, ma non ho mai provato. Servite col tè col caffè.

Alcuni appunti sulla cottura: i cannelé sono di color marrone scuro uniforme, appunto come il cioccolato o le castagne, giusto un filo più chiaro che nella foto. È il loro colore normale, sembrano bruciati ma non lo sono, abbiate fede. A meno che non siano bruciati davvero. In quel caso, li avete cotti troppo. Se sono troppo chiari, non sono cotti bene. Se una volta tolti dallo stampo fossero ancora chiari, rimetteteli nello stampo e cuoceteli di più di più. Se sono cotti sotto ma chiari nella parte superiore (quella che stava in basso durante la cottura) vuol dire che li state cuocendo troppo vicino alla resistenza superiore. Vi ho detto che vanno nella parte bassa, no? Può capitare che i cannelé crescano così tanto durante la cottura che escono dallo stampino. Se avete fatto le cose per bene, dovrebbero riempirlo quasi perfettamente, non uscirne. In ogni caso, se escono per più di un centimetro circa, verranno storti. Questo capita se c’è aria nell’impasto o se li avete messi troppo in basso nel forno. Vi consiglio di controllare la cottura continuamente fino a che non iniziano a sembrare cotti nella parte superiore; se durante questo periodo dovessero salire molto fuori dallo stampo, toglieteli dal forno e fateli raffreddare fino a che non si sgonfiano e rientrano da dove son venuti. La cottura, in questo caso, sarà abbastanza imprevedibile nei tempi e andrà terminata a occhio. Se non si staccano dallo stampo, non l’avete imburrato abbastanza bene: ritentate. Se l’interno è compatto e non a bolle, li avete cotti troppo in fretta o non avete lasciato riposare la pastella abbastanza: non imbrogliate e ritentate.


Veniamo alla discussione sugli stampini per i cannelé, che non ho mai visto in un negozio fisico e che probabilmente dovrete comprare in rete. Le misure sono: 5,5 cm di diametro × 5 cm di altezza. Mi sembra che ne esistano in vendita principalmente tre versioni: in silicone (a sinistra), in rame stagnato (a destra), in alluminio con rivestimento antiaderente (al centro). A detta un po’ di tutti, gli stampi di silicone non conducono abbastanza il calore e non portano ad un buon risultato. In effetti, io stesso consiglio stampi e fogli di silicone proprio per impedire che i dolci si scaldino troppo, ad esempio per la preparazione di biscotti. Gli stampini di rame stagnato sono i più tradizionali e, pare, quelli che danno un risultato migliore, in virtù del fatto che il rame conduce il calore molto meglio di tutti gli altri metalli (superato solo dall’argento, ma non esageriamo!). Il problema è il prezzo: circa 15–20 euro l’uno, che per un set di dodici fanno circa 200 euro. Se siete molto ricchi, siete di Bordeaux e vi sentite in obbligo morale, o siete dei patiti di cannelé, allora si può fare, altrimenti vi consiglio di ripiegare sull’ultimo tipo. Gli stampini di alluminio sono quelli che uso io, un set per un’infornata si può comprare per il prezzo che paghereste un solo stampino di rame. Non potendo osservare direttamente la differenza, non vi so dire quanto cambi il risultato rispetto al rame, ma non riesco a immaginare in che modo potrebbero migliorare i cannelé rispetto a come vengono a me. Quindi questi vanno certamente molto bene. Evitate gli stampi con molti “buchi” per i cannelé, preferite stampini singoli, che sono molto più semplici da gestire e prendono anche meno spazio, dato che si possono impilare comodamente. In Francia vendono anche stampi in alluminio senza copertura antiaderente; non so dire.

E se volessi solo provare i cannelé senza comperare gli stampi appositi? Si possono fare anche in stampini di alluminio o acciaio per muffin o altri dolcetti, i più simili possibile alla misura di quelli originali. Per esperienza personale, lunga e travagliata, vi dico già che non vi verranno perfetti e che probabilmente non li potrete presentare agli ospiti, ma è un esperimento che potrebbe darvi un’idea del risultato ed eventualmente convincervi a fare il passo di acquistare la strumentazione giusta. A me è successo così: mi venivano di solito bruciati nei bordi e molli all’interno, ma si capiva che potenzialmente sarebbero stati eccellenti. Gli ingredienti sono semplici, la preparazione non richiede tanto tempo… provate!

Due parole sulla cera. Tutti sanno che è il materiale che le api usano per costruire i favi. Non è digeribile, ma nemmeno è tossica e si può tranquillamente mangiare, nella sua forma grezza ha un profumo di miele gradevolissimo. In ogni caso, se non avete fatto qualche sbaglio madornale, nessuno riconoscerà questo ingrediente nel prodotto finito. Con gli stampini antiaderenti non è necessaria, ma usandola si ottiene un risultato leggermente migliore dal punto di vista del sapore e forse della consistenza, rispetto al solo burro. Leggermente migliore, non impazzite per trovarla! In compenso, l’aspetto è più bello se si usa solo burro: la cera lascia sulla superficie un sottilissimo velo bianchiccio, mentre col burro i cannelé vengono lucidi e brillanti. Il modo in cui me la sono procurata è abbastanza ridicolo: settembre 2017, ad una fiera ho chiesto ad un apicoltore professionista locale se ne avesse da vendere. Dopo avermi guardato col noto misto di stupore e commiserazione che hanno i commercianti quando sentono una richiesta da pazzi, mi ha risposto «no sai, quest’anno proprio no!». Il 2017 qui è stato un anno molto caldo e secco, ma con frequenti tempeste rovinose che hanno creato non poche difficoltà al settore, con notizie a riguardo riprese anche dalla stampa. Dispiaciuto della risposta, ho insistito chiedendo se non ne avessero nemmeno un po’, al che mi hanno risposto: «beh, forse ci è rimasto qualcosina dell’anno scorso, quanti kili te ne servono?» – «Mezzo etto? Un etto?». E me l’hanno regalata. Voi la potete pure comprare in rete.

Come pulire l’attrezzatura sporca di cera: vi consiglio di scaldare in qualche modo tutto quel che avete sporcato di cera fino a farla sciogliere e asciugare tutta quella che potete con della carta assorbente finché è ancora liquida. I residui si eliminano facilmente con acqua quasi bollente e sapone per i piatti. Se resta qualche traccia… non è una tragedia!

Questo dolcetto mi porta a fare qualche piccola riflessione. Da più parti mi è stato chiesto di segnalare bene in evidenza se le ricette siano facili, medie o difficili, magari con un sistema di “stelline”, come si vede in molti altri siti. Secondo me, però, è un tipo di semplificazione che lascia il tempo che trova. I cannelé, ad esempio, sono una banalità dopo che vi sono riusciti la prima volta: basterà usare esattamente gli stessi stampi, gli stessi ingredienti e le stesse impostazioni del forno. Ma sono delicatissimi: una piccola deviazione dalla perfezione e semplicemente non vengono. In questo senso, quindi, potrei dire che sono molto difficili. La difficoltà poi dipende tanto anche dai punti di forza di ciascuno: i tortellini sono semplici, se uno ha la manualità per piegarli velocemente, altrimenti è un incubo. Un sacco di confusione, poi, si fa tra difficile e laborioso. Un discorso molto simile si può fare per i tempi di preparazione: è inutile provare a quantificarli in modo preciso: quanto ci mette una persona ad affettare finemente due cipolle? Qualcuno mezzo minuto, qualcuno un quarto d’ora. I siti di ricette spesso si risolvono questo problema scrivendo “preparazione 5 minuti” e indicando tra gli ingredienti “due cipolle affettate finemente”. Capisco che le ricette apparentemente veloci piacciano di più, ma mi pare un sistema fuorviante, se non proprio disonesto. Peggio ancora sono quelli che danno tempi precisi per operazioni come, ad esempio, fare un soffritto. “Soffriggere la cipolla per tre minuti” è il tipo di indicazione che cercano i principianti e gli insicuri, ma chi ha un po’ di pratica sa che non vale nulla, perché il grado di cottura dipenderà dal tipo di cipolla, da com’è tagliata e dalla temperatura esatta. Diffidate dalle ricette scritte così, cercatene piuttosto una con scritto “soffriggete la cipolla fino a che non inizia a prendere colore”.

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