Barone di Villagrande: cantina, resort e osteria di qualità a Milo



Milo è un piccolo paese alle pendici dell’Etna e, coi suoi 750 metri, è uno dei paesi situati più in alto di tutto il vulcano. In una posizione che domina lo spettacolare anfiteatro della Valle del Bove, Milo è rinchiuso tra boschi e vigneti e qui, nonostante il caldo esagerato di questa estate 2017 che ricorderò a lungo, ho trovato un po’ di fresco e refrigerio. Oggi vi parlo di una azienda che qui a Milo è nata e cresciuta guardando l’Etna: le tenute “Barone di Villagrande“, antica azienda vitivinicola che coltiva vigneti dal 1727. Dieci generazioni di esperienza alle spalle, oggi l’azienda viene portata avanti da Marco Nicolosi, giovane enologo e direttore della cantina, erede di Carmelo Nicolosi che quasi trecento anni fa ottenne il titolo di Barone di Villagrande dall’imperatore Carlo VI d’Asburgo, allora Re di Napoli. Al suo fianco, c’è la moglie, l’instancabile Barbara Liuzzo, nel ruolo di responsabile marketing. Oggi Barone di Villagrande è una bella cantina in uno dei territori più vocati (e più famosi) della Sicilia, ma non solo: è anche wine resort e ristorante, tutto nato recuperando antiche strutture di famiglia, con uno sguardo al nuovo ma senza tradire il passato.

LA CANTINA – L’azienda Barone di Villagrande (Villagrande è il nome della contrada di Milo) si estende per 25 ettari complessivi, di cui 18 a vigneto. Questa impresa siciliana ha fatto la storia della Doc Etna. Nel 1968, Carlo Nicolosi Asmundo, padre di Marco, fu tra coloro che ne scrissero il disciplinare di produzione. La filosofia aziendale è quella di tutelare la biodiversità etnea (si conoscono circa cento varietà differenti di uve), attraverso la valorizzazione di vini da vitigni autoctoni, come il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Carricante, il Mantellato, la Minnella. Sette le etichette prodotte, due delle quali provengono dai vigneti sull’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie. Dal 1989 l’azienda è certificata in regime di conduzione biologico. La cantina attuale sorge sull’antico palmento.

La cantina, che sorge sull’antico palmento, è visitabile su prenotazione: all’interno ci sono ancora alcune maestose botti della capacità di 22 mila litri ciascuna, costruite duecento anni fa in legno di castagno etneo, particolarmente adatto alla conservazione del vino e capace di conferirgli dei sentori unici. Le botti sono state costruite sul posto prima della costruzione delle mura della cantina. Oggi Marco e Barbara hanno scelto di proseguire lungo questa strada e così anche le botti più recenti sono realizzate con lo stesso legno castagno dell’Etna da aziende siciliane (azienda Li Causi, Marsala). Il legno, prima di essere utilizzato per il vino, viene stagionato all’aria aperta per cinque anni in modo da eliminare il più possibile il tannino dai legni. Nel complesso, Barone di Villagrande produce in media tra 70 mila e 80 mila bottiglie ogni anno, di cui 4 mila prodotte nell’Isola di Salina. Dal 1850 ad oggi la produzione di vino di questa cantina non è mai stata interrotta, neanche durante le due guerre mondiali.

IL WINE RESORT – Barone di Villagrande è anche un “wine resort”. Quattro le camere (da 150 a 195 euro a notte per camera, aperto da aprile a ottobre), affacciate sui vigneti e ricavate nell’antica residenza nobiliare di famiglia, costruita con mattoni in pietra lavica. Eleganti e arredate in stile rustico, ricche di ceramiche siciliane, sono circondate da un giardino con al centro un cedro del Libano piantato nel 1904. Una piscina a sfioro in pietra lavica, completa il quadro. Immersi nell’acque di questa piscina panoramica si possono ammirare da un lato la cima dell’Etna e, dall’altro, il mare e il golfo di Catania con vista fino alla punta della Calabria. Avrei voluto tuffarmi e restare là almeno per una settimana. Sia il wine resort sia il ristorante chiudono i battenti da novembre a marzo, in modo da lasciare a Marco e Barbara il tempo di dedicarsi agli impegni della cantina, adeguandosi ai tempi del vino.

L’azienda dà lavoro a 22 dipendenti, impegnati anche a curare un orto biologico e un angolo dedicato alle erbe aromatiche (con 25 tipologie diverse) che consente all’azienda di essere praticamente autosufficiente. Anche l’olio viene prodotto in azienda, con la varietà Nocellara dell’Etna, così come il miele di castagno che arriva dalle api nei boschi attorno all’azienda. Le carni e i formaggi arrivano dagli allevamenti etnei. Tutti prodotti che vengono elaborati dalle mani creative di Giulia Carpino. La chef, 24 anni di Siracusa, si è formata all’Istituto alberghiero di Siracusa; in seguti, ha lavorato all’Antica masseria dell’Alta Murgia, in Puglia, poi all’Altro Vissani a Orvieto (Umbria) e, infine, a Modica al ristorante Torre d’Oriente. Giovanissima e molto legata alla tradizione culinaria siciliana, Giulia ha una mano già sicura e riesce a creare piatti leggeri ma saporiti con materie prime che sceglie (o che raccoglie) personalmente.

L’OSTERIA – Gettando il cuore oltre l’ostacolo, Marco e Barbara hanno deciso di dare vita anche a una osteria, che propone piatti creati per valorizzare i vini dell’azienda. Non aspettatevi le porzioni tipiche e abbondanti degli agriturismi siciliani: qui il menu degustazione (a 40 euro) è composto da quattro portate ed nasce in diretta connessione i sei vini che vengono serviti a tavola. L’ambiente, l’ex stalla del palazzo nobiliare, è piena di luce, con alte volte e bei tavoli, realizzati con i legni di alcune vecchie botti che si trovavano nella cantina storica, e che sono state eliminate per fare spazio a quelle più moderne.

Scenografico e ben costruito “il pomodoro sulla sciara” (la traccia della lava del vulcano), piatto dedicato all’Etna e ai suoi colori: bufala ragusana all’interno di un gustoso pomodoro a grappolo, terra di pane nero con carbone attivo, crema di peperoni e cipolle. Una ricetta ben riuscita, che reinterpreta la caprese di bufala, sia dal punto di vista cromatico, sia da quello gustativo. Leggero e semplice il primo piatto: gnocchetti al pesto su crema di formaggio ragusano, con pomodori canditi (fatti in casa) e pinoli tostati. La marcia in più arriva sicuramente dai pomodori canditi, dolci e succosi, che bilanciano insieme alla saporita crema di ragusano la lieve mancanza di sale degli gnocchetti. Il piatto migliore, quello da mangiare ancora e ancora, è stato il filetto di maiale farcito con pomodori secchi e caciocavallo: una ricetta tecnicamente senza pecche, equilibrata negli ingredienti, con un filetto di maiale di alta qualità e cotto alla perfezione. Dessert dedicato a una versione insolita del cannolo siciliano, scomposto nelle sue componenti: crema di ricotta, scorza di cannolo, cioccolato e arancia candita. Tra i vini, una nota di merito va all’Etna bianco Doc superiore (per il 90% da uve Carricante): un vino esuberante per profumi (fiori e frutta bianca) e per limpidezza gustativa, con una acidità in perfetto equilibrio con la componente alcolica. Se, poi, volete concedervi un momento emozionante, potete chiedere allo staff dell’Osteria di aprire una rarissima bottiglia di spumante metodo classico ottenuto con uve Nerello Mascalese. Il costo è di ben 480 euro a bottiglia, che viene aperta à la volée (con la apposita e famosa sciabola) direttamente da Marco Nicolosi. Questo vino, che può essere consumato solo in cantina, nasce da un esperimento. Ventidue anni fa, Carlo Nicolosi, papà di Marco, volle misurarsi con l’arte spumantistica, e imbottigliò questo Nerello Mascalese che Carlo custodisce gelosamente in pochi e costosissimi esemplari.

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