Recensioni: Trattoria Epiro, a Roma alta cucina a piccoli prezzi

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Quando di un ristorante si parla sempre troppo bene, io mi preoccupo. Per natura, diffido sempre delle recensioni entusiastiche delle guide e, forse per questo, ho aspettato tanto per provare la Trattoria Epiro, a Roma, nel quartiere di San Giovanni. A tre anni dall’apertura, e dopo il restyling del 2015, non ho resistito e ho prenotato un tavolo. L’unico rimasto libero in un sabato sera. Il locale si trova in una parte defilata e per niente felice dal punto di vista turistico del quartiere di San Giovanni, in piazza Epiro 25, proprio di fronte al mercato Latino, da cui la Trattoria Epiro si serve per carni, formaggi e ortofrutta, mentre il pesce arriva da uno dei più importanti fornitori della Capitale per il mondo della ristorazione (l’Ittica Urbano). In cucina ci sono due giovani chef, Matteo Baldi e Marco Mattana, che dopo aver frequentato assieme la scuola di cucina del Gambero Rosso hanno fatto diverse esperienze in ristoranti italiani ed esteri, per poi ritrovarsi in questa avventura nella quale hanno deciso du unire le forze e le idee. Assieme Marco e Matteo ci sono altre tre persone che fanno parte della brigata, tra cui una giovane chef dedicata interamente alla pasticceria. In sala, Alessandra Viscardi e il sommelier Francesco Romanazzi. Il menu prevede una carta con pochi piatti che seguono la stagione e l’estro del momento: cinque antipasti, quattro primi, quattro secondi e quattro dolci. Tra le proposte un menu degustazione elaborato dallo chef, di 5 portate più il dolce, al prezzo di 50 euro. Oppure, si può scegliere una degustazione a mano libera a 55 euro: in questo caso è il cliente a scegliere cinque portate più il dolce dal menu, che devono essere ordinate per l’intero tavolo, ma senza vincoli tra antipasti, primi o secondi. Ho scelto la formula a menu libero, provando tre antipasti, un primo, un secondo e il dolce.

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Il benvenuto dello chef è una mousse sifonata di caprino con polvere e crema di cime di rapa e cialde di mais: un appetizer fresco, con la leggera acidità del caprino e la piacevolissima amarezza della polvere di cime di rapa. Il locale è piccolo, appena 26 coperti, distribuiti in due mini salette con una cucina a vista, dietro al bancone della mescita. D’estate si può utilizzare anche il dehors. L’arredamento è contemporaneo-industriale sui toni del grigio, con lampade old style a luce gialla che, a mio avviso, non rendono giustizia ai bei colori di ciò che arriva a tavola. La mise en place è minimale, con sottopiatti e poggia posate in ardesia. Il pane è ovviamente fatto in casa, con una acidità pronunciata che denuncia la presenza del lievito madre: filoncino e focacce con farina semi integrale, cialde ai semi di papavero e grissini. A seguire, una tartare di aguglia imperiale con spuma di ostriche, brunoise di cetrioli e un gel di aceto di mele: un piatto molto centrato, dai sapori netti e intensi, a partire dall’acidità del gel di aceto, passando per il gusto salino e inconfondibile delle ostriche e quello rinfrescante dei cetrioli.

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Ancora, un sorprendente brodo di pere al profumo di zafferano, con ravioli di farina di riso ripieni di cacio e pepe e cotti al vapore, rape rosse, castagne, funghi pioppini e pinoli. Una divertente variazione sul tema dell’abbinamento cacio e pepe, con una chiara ispirazione orientale ma con sapori del tutto mediterranei, anzi romani. Altro piatto felice.

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Veniamo al primo piatto: tagliolini con polpa di granchio, sedano e castagne. Sapidi, al dente, ben mantecati, buona l’idea della brunoise di sedano crudo con il suo aroma fresco e persistente. Un piatto ben eseguito, convincente nella sua semplicità ma non sorprendente, alla luce di quanto assaggiato prima e di ciò che arriverà dopo.

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La coscia di quaglia ripiena di ‘nduja di Spilinga, accompagnata dal suo petto, crema di arachidi, cime di rapa, patate, uovo di quaglia in camicia e il suo sugo è stato il piatto che mi è piaciuto di più. Servito in carta come antipasto, è a mio parere un secondo completo e complesso, degno di chiudere un menù di alto livello con una grande forza espressiva. Fa centro l’idea di farcire la quaglia con la saporita e piccantissima ‘nduja (accostamento non casuale, visto che la madre di Matteo Baldi è calabrese), che dà forza alle carni di questo piccolo volatile, nobilitato da una cottura perfetta. Ottima l’idea della crema di arachidi, densa e greve, che smorza il piccante della ‘nduja, mentre l’uovo in camicia con il tuorlo liquido e grasso chiude il cerchio di un piatto di gran classe.

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Buono anche il piccione, petto e coscia, ben cotto, al sangue ma non sanguinolento, servito con crema di zucca, il suo fondo di cottura, un patè dei suoi fegatini, funghi pioppini e gallinacci e patate viola. Anche in questo caso gli chef dimostrano di districarsi perfettamente nella cottura delle carni ed è chiara la scelta di utilizzare la materia prima in ogni sua parte, con rispetto, valorizzandola interamente.

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Come pre dessert, un fresco gelato al tè verde con cialda di mela. Nonostante il menu degustazione sia servito per tutto il tavolo, la cucina dà a tutti la libertà di scegliere dolci diversi (bonus). Rinfrescante e vivace la tartelletta con cremoso e gel di limone, un azzeccatissimo gelato al pepe bianco e zucchero roccia: bella l’acidità del limone a contrasto con il burro della frolla, davvero buona la crema al lemon curd. Poi un riso latte alla vaniglia e alloro con gelato e crema di nocciole, nocciole intere e cioccolato amaro: un dolce per chi ama le creme e il cioccolato, ma con note leggere, non stucchevoli, adatto a un fine pasto per golosi gourmet. In chiusura, petit fours con una frolla al cioccolato e frutta secca, cremoso di caffè e nocciole pralinate.

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La carta vini è evidentemente frutto di una scelta molto personale del team della Trattoria Epiro e di Francesco, e privilegia esclusivamente le cantine che utilizzano il metodo naturale e biodinamico. Le etichette sono poche, e poco rappresentative della vasta gamma delle denominazioni italiane ed estere (anche all’interno dello stesso comparto dei vini naturali), concentrate su produttori di Italia e Francia. Una carta dei vini per intenditori del genere, che in futuro mi auguro si possa ampliare, perché sia nei prezzi sia nelle tipologie proposte rischia di non incontrare a pieno le attese di un consumatore medio, non abituato a vini non filtrati, con ossidazioni e note acetiche. E’ un rischio che la Trattoria Epiro sa benissimo di correre. I prezzi vanno da 18 a 60 euro, fino a oltre 100 euro per gli champagne. Considerando che la media dei vini costa quanto un menu degustazione, forse si potrebbero abbassare un po’ i ricarichi. Resta comunque la possibilità di una buona e variegata scelta di vini al calice, tra 4 e 8 euro (10 euro per lo champagne). In carta, anche birre belghe e artigianali italiane. Nota di merito per i caffè speciali: moka napoletana, caffè filtro vacuum pot e french press.

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IN CONCLUSIONE: Le mie preoccupazioni per le critiche troppo positive erano del tutto infondate: la Trattoria Epiro è sicuramente uno dei migliori ristoranti per rapporto qualità-prezzo di Roma, dove è possibile sperimentare una cucina creativa, assaggiare piatti divertenti, di alto livello, che stimolano il palato con una altalena di sapori concentrati ed equilibrati. Professionale poi il fatto che uno chef si presenti al tuo tavolo chiedendo se ti sia piaciuto tutto e accettando con il sorriso anche le opinioni critiche. Consigliatissimo.

(visitato il 22 ottobre 2016)

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