Per natura sono sospettosa nei confronti dei locali aperti a pioggia da grandi chef, soprattutto dopo che diventano personaggi pubblici grazie alla presenza in televisione: penso sempre che uno chef debba fare il proprio lavoro nel proprio locale, concentrandosi sulla sua cucina e che la tv, gli show cooking, le consulenze e la gestione di locali su e giù per l’Italia ne snaturino personalità, indebolendo la proposta culinaria. Quindi, capirete bene che non ero ottimista sul Bistrot aperto a Novara da Antonino Cannavacciuolo, patron bistellato di Villa Crespi a Orta San Giulio, che a febbraio 2017 aprirà anche un nuovo locale a Torino. Il bistrot, su tre piani, è in pieno centro e occupa gli spazi ricavati in un’ala del Teatro Coccia. All’ultimo piano, una bella terrazza panoramica che guarda la Piazza Martiri della Libertà. La formula è lunghissima: il locale praticamente è sempre aperto, si parte dalla colazione fino al dopo teatro, passando per il pranzo, sia nella formula veloce (bistrot), sia nella formula ristorante, gli aperitivi e ovviamente la cena. Al piano terra un grande bancone con caffetteria e una cucina a vista che prepara i piatti per il bistrot. Piatti veloci, in stile mediterraneo, porzioni abbondanti e ben presentate. A colazione un’offerta di cornetti, brioche, ma anche torte di stampo internazionale, biscotti e dolci napoletani (sfogliatelle, aragostelle, pastiera, torta tenerina, torta caprese, delizie al limone). Gli arredi sono contemporanei, in quello stile industriale che da un po’ di tempo va molto di moda, ma con piccoli tocchi personali come le caffettiere e gli utensili in alluminio. Il primo piano è multifunzionale: in settimana supporta i coperti del bistrot, mentre nella fine di settimana il ristorante. E’ sempre molto affollato e quindi vi consiglio di prenotare.
Dall’apertura a oggi, nel novembre 2015, il locale ha subito una decisa sterzata in sala con l’arrivo del nuovo direttore, il piemontese Ivan Famanni, maitre e sommelier, con un’esperienza decennale nel mondo della ristorazione: dall’Arquade di Villa del Quar al ristorante Marchesino alla Scala. Precisione, puntualità e un servizio solerte e non ingessato, curato nei minimi dettagli, sono uno dei punti di forza di questo locale. La squadra, sia in sala sia in cucina, è composta da giovanissimi, provenienti in gran parte da Villa Crespi, quartier generale di Antonino Cannavacciuolo. Una squadra che mi è sembrata molto affiatata e attenta alle esigenze degli ospiti. Nel piatto si vede subito che c’è Cannavaccuiuolo al 100%, dalla preparazione all’impiattamento. Tutto è coerente con la filosofia di uno chef che, forse per alcuni aspetti meglio di altri, ha saputo coniugare i sapori del nord e quelli del sud in un insieme equilibrato. Nella cucina, al terzo piano (quindi separata da quella del bistrot al piano terra), c’è lo chef Vincenzo Manicone, proveniente da Villa Crespi, e con lui altre otto persone, tra cui un pasticcere.
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Tre le proposte: un menu a la carte, la degustazione “Sipario” a 50 euro (5 portate) e il menu “A occhi chiusi” a mano libera dello chef, con 7 portate a 70 euro. Ho scelto il menu “Sipario”, con una degustazione di vini naturali, scelti dal sommelier. Sul tavolo, i pani sono ovviamente home made con lievito madre: farina doppio zero, farina di segale, semi misti, cialde di pomodoro e parmigiano, cialda al nero di seppia e alla cipolla. Il benvenuto dello chef è composto da pepatissimi taralli napoletani alle mandorle, focaccine calde e una cialda croccante di riso nero con spuma di gorgonzola Dop di Novara. Cannavacciuolo, che è l’ambasciatore del Consorzio del Gorgonzola Dop, ama valorizzare i prodotti locali sia nel piatto, sia nel bicchiere. E questo a me piace.
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L’antipasto racconta immediatamente la vita di Cannavacciuolo, tra nord e sud: alici fritte con crema di burrata, scarola alla partenopea (ripassata con pinoli e uvetta, inno alla napoletanità) e cialda di polenta. Un piatto dai sapori semplici che ha il suo punto di equilibrio nell’insieme degli abbinamenti, nel contempo stuzzicante e leggero.
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Eccellenti gli “gnocchetti di patata, bianco e nero di seppia”: morbidi gli gnocchetti, conditi con un ragù rosso di seppia (leggermente piccante), adagiati su una crema bianca di seppia, con nero di seppia essiccato (con una nota salina) e seppia soffiata. In pratica, una variazione di stile sul tema seppia, sia nelle consistenze, sia nei colori. Un piatto sofisticato nell’idea e nella tecnica di preparazione, che al palato risulta semplice, diretto e mediterraneo.
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Poi, il menu prevede uno strepitoso risotto (Carnaroli riserva, cottura 18 minuti) con pistilli di zafferano, ristretto di ossobuco e midollo di bue e gremolada di limone. Cottura del risotto perfetta, così come la mantecatura. Un piacere per il palato dal primo boccone all’ultimo. Ineccepibile la presentazione. Nonostante il piatto avesse una evidente tendenza alla grassezza, la sensazione è stata quella di volere ordinare un’altra porzione.
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Abbiamo provato due secondi, uno di pesce e uno di carne. Di grande impatto visivo e complessità gustativa, la “guancia di vitello, animelle e peperoni”: una tenera guancia di vitello, su crema di peperoni rossi, con una variazione di animelle: una semplicemente impanata e fritta, l’altra saltata e usata come farcitura di un piccolissimo peperone verde. I colori, brillanti e netti, sono sicuramente una delle carte vincenti di questo piatto, peraltro molto in equilibrio: delicato il gusto delle animelle, evidenti i sentori vegetali dei peperoni e perfetta la quantità della guancia, che dava al piatto morbidezza e grassezza.
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Il secondo di pesce non mi ha convinta fino in fondo: “Ombrina, salsa di zucchine alla scapece e ragù di molluschi”. Il piatto era presentato in maniera molto elegante, con contrasti di colori e giochi di consistenze. Ottima la cottura del pesce, con la pelle croccante e il cuore ancora roseo; salino e gustoso il ragù di frutti di mare e molluschi. La parte meno convincente è stata la scomposizione delle zucchine in scapece in una salsa di zucchine, troppo neutra, con la parte agrodolce, tramutata in un gel di aceto, troppo preponderante rispetto ai sapori del piatto. Per me, un eccesso di gel all’aceto che ha sbilanciato la ricetta e che, molto probabilmente, si sarebbe potuto risolvere riducendone la quantità.
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Dulcis in fundo, i due dolci. Il primo: una “Pastiera liquida” che reinterpreta il dolce della tradizione napoletana nel gusto, ma con una scomposizione dei vari ingredienti. Il secondo: un fungo nel sottobosco, ovvero un divertente gioco sul tema del cioccolato. La pastiera liquida era composta da una bavarese di ricotta e una cialda di zucchero e cannella. Per fare un confronto, provate la pastiera tradizionale che viene servita al piano terra del bistrot: a occhi chiusi, il sapore della pastiera è netto, mentre alla vista del piatto è difficile immaginare di cosa si tratti realmente. Una reinterpretazione magistralmente fedele all’originale.
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Riservato agli amanti del cioccolato, infine, il fungo composto da una meringa morbida e da un cremino di fondente adagiati su una spugna al pistacchio. Il dolce è servito su un terriccio di cacao amaro, decorato con frutti di bosco e un particolare, e davvero buono, gelato ai funghi. Netto il sapore del sottobosco, combinato con la freschezza della frutta; deciso e avvolgente il sapore del cioccolato. Un dolce di notevole fattura. Infine, come se non fossero bastati i dolci, a fine cena arrivano due piccoli babà napoletani e due ottime aragostelle (ripiene di crema chantilly) di dimensioni forse eccessive per essere servite come petit fours.
Con questo menu abbiamo bevuto: Franciacorta brut di Ca’ del Vent (chardonnay 100%); Riesling 2014, Domaine Albert Mann, Vin d’Alsace; Egesta 2015, un vitigno Grillo in purezza, non filtrato e a lunga macerazione, di Aldo Viola (Sicilia); Le Balaise 2007 (uno Chardonnay al 100%) di Vergé Gilles et Cathrine; Guarini Syrah 2015 di Aldo Viola, vino rosso biologico non filtrato, affinato in acciaio; una Malvasia dei Colli Piacentini “Vigna del Volta” dell’azienda La Stoppa. Carta dei vini con prezzi corretti, ampia, da cui traspare la netta prevalenza del sommelier per i vini naturali, biologici e biodinamici. Da segnalare la presenza di diverse etichette del territorio, ben selezionate tra le tipologie bianche, rosse e rosate. Non sempre nei ristoranti novaresi accade questo, sia nei più rinomati, sia in quelli di recente apertura. Il novarese è una terra di vini molto interessanti, che merita di essere valorizzata, proposta e fatta conoscere al grande pubblico soprattutto dal mondo della ristorazione, che ha il compito di educare i consumatori al buon bere.