Meno male che c’è l’Mtc perché chiudere il blog per l’estate, credo che lo farò, con la ricetta della mousse alla Nocciolata non era cosa buona e giusta.
Con la pizza non sono mai andata molto d’accordo: a volte mi viene, a volte no.
In più mettiamoci che sono romana e da noi la pizza al piatto è proprio un’altra cosa rispetto a quella napoletana e quindi la difficoltà principale è stato capire come dovesse essere la pizza. Quindi per prima cosa una minaccia: Antonietta ti tocca farmi da guida sensoriale per un assaggio di pizze partenopee. Non so distinguere quella buona da quella cattiva e poi, parliamoci chiaro, come si fa? C’è a chi piace il bordo e a chi no, c’è a chi piace alta e a chi no, c’è a chi piace cotta e a chi no, c’è a chi piace bianca e a chi rossa. Il mondo della pizza è talmente variabile che è complicato delineare uno standard di perfezione. Tra i miei ricordi culinar-gastronomici, ad esempio, rientra una pizza che a molti può apparire come una “cagata pazzesca”: mele e cannella. Beh, ancora me la ricordo e me la ricordo come piacevole. Fatto sta che l’impasto di Antonietta è perfetto e per la prima volta in vita sua mia marito ha digerito una pizza, che normalmente odia.
Non mi sono impegnata più di tanto sul condimento, per me l’importante era riuscire ad ottenere una base decente e ancora non ho capito se ci sono riuscita o meno.
Volevo far la splendida e fare un impasto a base di clorofilla di rosmarino, ma ancora non ho capito dove la nasconde, la clorofilla, il rosmarino: ché con tutto il procedimento spiegato da Antonietta col basilico a me non è venuto fuori nulla. Per concludere: visto che sono furbissima considerate che questa pizza l’ho preparata mentre cucinavo per un centinaio di persone, con fornelli, gas e friggitrice accesa e 35° a Roma. Dimostrazione d’amore più grande non potevo farla.
La ricetta la copio para para dal post Antonietta perché alla base ho solo aggiunto del rosmarino tritato, per tutte le note e per conoscere tutti i trucchi vi invito a dargli un’occhiata.
Ingredienti:
450 g di farina (ho utilizzato una farina W 260)
250 ml di acqua
12 g di sale
1 g di lievito di birra
rosmarino tritato
Misurate l’acqua, versatela in una ciotola, prelevatene una piccola quantità in due tazzine differenti: in una sciogliere il sale, nell’altra il lievito di birra.
Versate il contenuto con il lievito di birra nella ciotola con l’acqua e iniziate ad aggiungere gradualmente e lentamente la farina setacciata a parte, incorporandola man mano all’acqua, poi finita la farina aggiungete il sale sciolto in acqua, continuate ad amalgamare fino a raggiungere il “punto di pasta”.
Il disciplinare dice che questa fase deve durare 10 minuti, a me è durata circa 5/6 minuti.
Ribaltate sul piano da lavoro e lavorare 20 minuti. Non sottovalutate questo tempo: è estremamente necessario per ottenere un impasto non appiccicoso, morbido ed elastico e una pizza soffice e asciutta.
Piegate e schiacciate ripetutamente, poi all’avvicinarsi dei 20 minuti l’impasto diventerà morbido e sempre più cedevole e infine avrà un aspetto setoso.
A questo punto riponetelo in una ciotola di vetro o porcellana, coprite con pellicola e lasciate lievitare per 2 ore.
Procedete alla staglio a mano. Il disciplinare consiglia di ottenere dei panetti da un peso compreso tra i 180 e 250 g che corrispondono a tre panetti da 30 cm circa di diametro o quattro panetti da 22 cm circa di diametro.
Riponeteli su un telo non infarinato, perché essendo un impasto ben incordato, non si attaccherà durante la lievitazione, e lasciate quindi lievitare per altre 4/6 ore a una temperatura di 25°C (come previsto dal disciplinare).
Riscaldate il forno alla massima temperatura insieme alla teglia che servirà per la cottura, senza mai aprire lo sportello. Una volta che i panetti sono lievitati stendetene uno alla volta su un ripiano, stavolta va bene anche il legno, spolverato con farina di semola, senza usare il matterello ma allargandolo con le mani, dal centro verso il bordo e poi, come fanno i pizzaioli veri, facendolo debordare roteandolo, in modo che avvenga un’estensione più delicata.
Prelevate lo stampo dal forno, trasferiteci il disco di pizza, senza oliare, condite e infornate per 5 minuti al ripiano più basso, poi altri 4/5 minuti nel ripiano più alto. (il disciplinare prevede 90 secondi di cottura in forno a legna).
Ho seguito questo secondo procedimento.
C’è un secondo modo di cottura, forse migliore rispetto al primo, perché produce immediatamente il classico cornicione alto tipico della pizza napoletana.
Scaldate il forno come per l’altro procedimento e scaldate contemporaneamente una padella di pietra o ghisa o comunque dal fondo spesso sul fornello della cucina, fino a vederla “fumare”. Trasferiteci il disco di pizza senza condire e lasciar cuocere per 2 minuti. Nel frattempo estraete lo stampo dal forno, trasferiteci la pizza, condirla velocemente e lasciar cuocere in forno, nella parte più alta per 4/5 minuti e comunque finché non risulti bella dorata.
Precisazione. Non avendo teglie adatte ho usato delle pirofile tonde da fuoco ribaltate, sotto gentile suggerimento della Flavia Baker!
Precisazione. Non avendo teglie adatte ho usato delle pirofile tonde da fuoco ribaltate, sotto gentile suggerimento della Flavia Baker!
Per il condimento ho utilizzato burrata che ho inserito dopo aver cotto per 2 minuti la pizza sul fornello e a cottura ultimata ho aggiunto prosciutto crudo e fichi.
Ho provato anche quella in teglia, ma credendo di aver fatto male, vedendo l’alveolatura, non mi sono impegnata più di tanto nelle foto. In realtà buonissima e molto digeribile.
Questa è dopo la lievitazione in teglia.
Foto della fetta