Dove nascono i ricordi? Sì, insomma, quando il primo, o il più importante? Davvero ce n’è uno brutto mentre altri sono belli? E sono “vincoli” o “sparpagliati” come diceva Pappagone?
Cerco di spiegarmi ma vorrei che anche voi ci pensaste un attimino: da dove vengono? E dove stanno finche non vanno da qualche parte? Esistono dentro di noi. Stanno in qualche posto strano, nella corteccia cerebrale, boulevard che ne so, quarta casa sul ventricolo sinistro suonare “Ricordi”? O arrivano come comete (o meteoriti a seconda dei casi) dal cielo?
Quando si creano io ce li vedo tutti i nanoneuroni che fanno incetta delle sensazioni anche più piccole (e per questo più maneggevoli per i nanetti stessi) come pane e vino da mettere nello zaino per un viaggio per chissà dove. Sei lì con il sorrisino ebete dietro un sorso, e in quel momento di piacere il labbro, la lingua, il liquido che bevi hanno il retrogusto degli occhi amorevoli che stai-tistanno guardando.
Immagini pesche, fragole, gesso o gelsomino, nuvola, chissà…
E chissà quando uno di quegli elementi o delle luci che erano in quell’inquadratura rientreranno nella tua orbita per un caso (forse) accidentale, …boing! Eccoti lì di nuovo come un pointer con un sorrisino ebete. Nel tempo dell’innamoramento i tempi cambiano e amare diventa un equilibrio dinamico. Sì, tutto ok, déjà vu: occhi amorevoli… sorso… piacere… ma ora dietro il sorso nascondi la voglia di baciare quelle labbra proprio davanti a te, tutto il resto sfuma, su, coraggio…
“Tesoro… ecco pronta la pappa!”. Tu alzi gli occhi nella luce e quando il profumo di quella temperatura ambientale si rifarà vivo, anche in una bettola in Tadzikistan o con la voce di un oste ruvido con barba, tu ti sentirai la pelle del collo più liscia e sotto le dita la spugnetta del bavaglio.
“Restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…”
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…”
(Guccini – Incontro, nda: una delle più belle canzoni mai scritte)
E se invece che simboli fossero i ricordi? Nel senso più intimo della parola, quando quello che hai dentro può risuonare e muovere lo spirito estatico come campane tibetane o quello guerriero come bùccine di guerra.
E quello che mangi e che bevi, che vivi con sentimento, a un mese o a 10 o 30 o 100 anni, ti rimane dentro come un suono pronto a riaccendersi, segue la tua ombra, spesso e volentieri quella passata, quella che è rimasta là, quasi attendendo che tu ripassi, che il mondo ripassi come in una giostra, mai all’ultimo giro. La giostra ti porta in un turbinio ora all’ombra di minareti carni impastate da tua madre, liquori con un sentore di legno come in vecchi alberghi alpini di vacanze d’altri tempi ma serviti in sari colorati, salse di infanzie lontane lucchesi ora in Sudamerica, sacchi per il pane azzimo a Fès uguali a quelli del Baccelli che nei favolosi anni 60 veniva a consegnare nella stradina sterrata di casa mia, con quella 500 Giardinetta sfiatata , imbiancata e infarinata come se fosse uscita anche lei dal forno.
Ti capita un profumo, o anche uno sguardo di golosità condivisa, una bottiglia che viene da mani e cuori lontani nel tempo e come un fischio in codice che ti fa voltare sai che, lassù o chissà dove, qualcuno ti ama. Ti ha amato. Una volta tanto non hai dubbi. Quando ho visto quell’etichetta in un’altra famiglia, anni e km lontani dalla mia infanzia, è scattato il collage con il mio nome scritto dietro una mia foto con le gote paffute (niente di nuovo sotto il sole 60 anni dopo…).
E allora ho visto qualcuno che scriveva con amore. E attenzione gente, voi penserete che fosse una sola persona. No, era la folla di chiunque sia pronto ad amare. Poi se volete giocate pure a nascondino e isolare un viso, un braccio o la penna. Ma il prossimo o la prossima a scrivere un’etichetta o a rammentare un chi dietro una foto potreste essere voi. Non è un’anatema: è un augurio perenne.
Si sente dire che gli esseri umani fanno presto a dimenticare, ma non è del tutto vero: umanamente si sopravvaluta il male ma non si dimentica mai il bene. Lo si tiene nascosto negli anfratti del nostro dentro per proteggerlo e proteggerci: d’altronde dove lo ritrovi un tesoro come la percezione di esser stati amati?
I ricordi allora forse non hanno una casa ma sono guerriglieri, non azzimati ufficiali d’Accademia ma partigiani abituati a vivere alla macchia, a nascondersi; si addormentano ma dormono poco, pronti ad agire improvvisamente, e, tutti insieme, poco a poco, fare la storia: la tua. Certo ognuno di noi può darsi un aiutino e cercarlo, un ricordo. Come vedete, per tutto quanto sopra, i ricordi non sono solo nel passato ma anche nel futuro! Per questo non vi auguro un buon anno, ma di CERCARE un Buon Anno.
E di ritrovare ogni tanto un li-cuore di mamma, papà o di una persona amica.
Che bei tempi, Pino, quelli delle gite con i bimbi…
Funa, il viaggiatore romantico
(Francesco Funaioli)