Le Langhe, fattispecie la zona di Alba, per molti non hanno più segreti. Ma sapete che in Piemonte, leggermente più a nord, esiste una zona poco frequentata, poco conosciuta dagli stranieri e ancora meno dagli italiani? Si tratta dell’Astigiano o langa astigiana, cioè il territorio che copre la provincia di Asti, fa parte della più ampia area del Monferrato fino ai confini col Roero, e comprende 52 comuni. L’Astigiano è una zona dove vengono prodotti grandi vini ed è la patria dello spumante italiano. Si estende tra colline (riconosciute nel 2014 come Patrimonio Unesco) disseminate di vigneti e percorrendolo in lungo e in largo è possibile conoscere da vicino alcune chicche gastronomiche quali il formaggio di Roccaverano DOP e il cardo gobbo di Nizza Monferrato. Seguite le nostre indicazioni per un itinerario di gusto alla scoperta di grandi vini, formaggi, colline, borghi e agriturismi.
Canelli, patria dello spumante italiano e del Moscato
Canelli è una meta imprescindibile per gli amanti delle bollicine in quanto è il paese che ha dato i natali allo spumante italiano. Qui nel 1850 la cantina Gancia, ispirandosi ai francesi, sperimentò le prime rifermentazioni in bottiglia e ottenne il “Moscato champagne” (il primo metodo classico italiano). Il nome “Moscato champagne”, dato inizialmente a questo vino, venne ben presto modificato in “Moscato spumante” (per ovvi motivi di copyright), e fu trasformato in seguito in “Asti spumante” per rendere chiara l’origine e la regionalità del prodotto.
Nella parte alta di Canelli è arroccato il borgo storico, mentre nella parta bassa c’è il pezzo forte: oltre 20km di gallerie su più livelli, chiamate “cattedrali sotterranee del vino”, anch’esse patrimonio Unesco, suddivise tra 4 grandi cantine storiche quali Bosca, Contratto, Coppo e Gancia. Ogni cantina propone visite guidate delle proprie gallerie, dove tutt’ora si affinano i vini, quindi per visitarle basta sceglierne una e prenotare.
Tutto è scavato nel tufo calcareo, fino a 32m nel sottosuolo, e non ci sono solo tunnel ma vere e proprie enormi sale con soffitti a volta che mantengono umidità e temperatura costante attorno ai 14°. La costruzione di queste cattedrali sotterranee sembra sia iniziata nel 1500 e terminata nel 1800.
Queste sono le gallerie di Bosca dove si trovano anche le poche decine di bottiglie sopravvissute al disastroso alluvione che nel 1994 colpì Canelli; quando l’acqua e il fango invasero le gallerie, i tappi a corona che si usavano all’epoca arrugginirono causando la perdita di quasi tutta la produzione, circa 800.000 bottiglie
Cantina Bosca
Bosca è una cantina storica che oggi ha raggiunto numeri enormi. Esiste dal 1831, produce fino a 80 milioni di bottiglie all’anno ed esporta in circa 40 nazioni. Oltre alle produzioni per la massa, hanno una linea più pregiata. Tra gli assaggi fatti, le etichette degne di nota sono “Ispiro” un’Alta Langa Riserva Millesimato fresco, acidulo, con profumi di fiori di sambuco, acacia, camomilla e miele. “Mille giorni” con uve 80% pinot nero, 7 anni di affinamento, dolce e morbido con profumi di mela e frutta secca e infine la punta di diamante della cantina “Riserva del nonno”, un blanc de noir a base di uve 100% pinot nero, più di 10 anni di affinamento sui lieviti, remuage manuale. Al palato è elegante, persistente, vellutato, molto equilibrato con un finale di mandorla e con sentori di crosta di pane, miele e frutta secca tipici delle bollicine più invecchiate.
Giusto a lato dell’ingresso delle cantine sotterranee di Bosca si trova l’Enoteca Regionale di Canelli. Qui oltre al wine-shop in cui comprare le bottiglie delle 72 cantine associate tutte provenienti dal sud del Piemonte, è possibile anche avere informazioni turistiche e ricevere mappe e brochure sull’astigiano e su quello che ha da offrire. Acquistare bottiglie in un’enoteca regionale è la cosa più conveniente che si possa fare seconda solo all’acquistare direttamente in cantina, questo perchè i produttori associati pagano una quota per farne parte e in cambio l’enoteca non ricarica pesantemente sulle bottiglie come fanno i rivenditori privati ma le vende ad un prezzo solo di poco superiore a quello del produttore.
Canelli e il Moscato
I terreni di Canelli sono i più votati per la coltivazione delle uve Moscato. Il Moscato è presente in quest’area da più di 1000 anni, e già dal 1600 i nobili del nord italia ritenevano il Canelli il miglior Moscato in assoluto; in particolare era il vino preferito dai Gonzaga. Oggi circa 100 milioni di bottiglie di Moscato vengono prodotte ogni anno dalla provincia di Asti e l’80% è destinato al mercato internazionale, sopratutto alla Russia che ne è il primo consumatore.
Le caratteristiche vincenti del territorio del Moscato sono: terreno con sabbia, limo e argilla con buon contenuto di calcare, colline alte e gole strette con molta escursione termica tra notte e giorno che incanalano le correnti fredde e aiutano l’acidità del vino. Colline alte danno vita a Moscati più particolari, con più acidità, mentre le basse creano quelli più classici e strutturati. Il Moscato, assieme al Riesling, è tra i pochissimi vini al mondo che invecchiano conservando piacevolezza e leggerezza nel gusto senza diventare più complessi e impegnativi. Ci sono vini Moscato prodotti 30 anni ancora in grado di mantenere la freschezza dei sapori di erbe aromatiche quali salvia e rosmarino.
Non bisogna inoltre pensare al Moscato solo attraverso quel luogo comune ampiamente diffuso che lo vede come un vino dolce da evento e che accompagna solo i cibi dolci durante le festività. In antichità era un vino che si conservava meglio di altri e per questo veniva tenuto da parte per la Pasqua, ma oggi, che siamo in grado di vinificarlo anche in declinazioni più secche, va riscoperto per abbinamenti salati di alto livello, sopratutto se parliamo delle bottiglie più anziane. Il Moscato invecchiato infatti si abbina bene anche ai salumi, e se ha anche una componente acida anche a sapori più forti come acciughe, aringa, anguilla alla brace, pesci grassi, pesce marinato e affinato, tapas, prosciutto crudo, formaggi piccanti ed erborinati. Tre tipi differenti di moscato, tutti prodotti con il metodo Martinotti, che potete trovare nell’Enoteca di Canelli e che vi aiuteranno a comprendere con chiarezza queste differenze di affinazione e sapori, sono:
– Sorìa, un buonissimo classico, quindi molto dolce e molto effervescente;
– Bocchino, meno effervescente, sempre dolce ma in modo più delicato ed equilibrato;
– Surì Sandrinet Cerutti, riserva 2017, invecchiato e particolarissimo, sembra non avere quasi nulla in comune col moscato dolce classico, sa di mentuccia romana e salvia, è balsamico. Ricorda persino i vini passiti ed è una vera chicca;
Torre dei Contini: il punto panoramico sui vigneti di Moscato a Canelli
Dopo aver visitato le cantine e assaggiato i vini, è il caso di vedere direttamente da dove essi provengono, cioè i vigneti della core zone del moscato disseminati a perdita d’occhio sulle colline attorno a Canelli. Il punto panoramico più alto per godere di questa vista è la Torre dei Contini, costruita a fine 1500 per funzioni di avvistamento e sorveglianza, e ora raggiungibile attraverso una stradina di campagna da percorrere a piedi tra le vigne. La vista da lì è a 360° ed è splendida, soprattutto al tramonto. L’ingresso alla Torre dei Contini è libero e gratuito.
Roccaverano, il borgo più alto dell’astigiano e la sua eccellenza casearia
Un altro piccolo borgo dell’astigiano da inserire assolutamente nella “to do list” di un viaggio enogastronomico lungo l’Astesana è Roccaverano, che sorge a circa 800 metri sul livello del mare. Arrivando è possibile notare un cambiamento nel paesaggio: le dolci colline piene di vigneti lasciano spazio a pendii ben più alti, freschi e boschivi, quasi premontani. Qui viene prodotta un’eccellenza casearia capace di entusiasmare anche i più appassionati ed esperti di formaggi: il Roccaverano DOP, una robiola di capra che può essere consumata sia fresca che stagionata oltre i 6 mesi. Nel consorzio ci sono solo 16 produttori, quindi la produzione è molto ristretta.
Il latte di una capra non è sufficiente neanche per fare una sola forma al giorno quindi per la produzione artigianale del Roccaverano serve tempo e pazienza. Inoltre il Roccaverano è l’unico formaggio DOP italiano ad essere realizzato senza rottura della cagliata. La robiola di Roccaverano DOP viene considerata fresca solo dal 4⁰ al 10⁰ giorno dopo la produzione, poi diventa un prodotto stagionato. Nelle forme fresche c’è un forte sentore di yogurt e un’acidità marcata, perché è un formaggio a latte crudo, ma dopo 10 giorni questi sapori cambiano completamente. Nella piazza centrale del borgo, all’interno di quella che era la vecchia scuola, c’è la sede del Consorzio in cui nel fine settimana si possono fare degustazioni e acquistare i formaggi. Negli altri giorni bisogna andare invece direttamente dai produttori.
Il Roccaverano DOP oltre che gustato in purezza in abbinamento a vini o liquori, può essere usato splendidamente anche in cucina. Due ricette molto semplici ma dal grande risultato gustativo sono un’insalata con dadini di Roccaverano DOP a media stagionatura, finocchi e noci, e una cacio e pepe insolita nella quale il Roccaverano DOP viene usato al posto del pecorino, e crea una crema più densa, consistente e acidula. C’è molto da dire riguardo questo formaggio che definirei quasi “di nicchia” e riguardo la sua produzione. Se avrete voglia di approfondire potrete farlo leggendo il prossimo articolo che uscirà a breve.
Nizza Monferrato: il cardo gobbo bianco e la Barbera
Altro paese dell’astigiano, altre eccellenze enogastronomiche: Nizza Monferrato è il cuore della produzione del famosissimo vino Barbera ma anche del decisamente meno noto cardo gobbo. Il cardo, pur essendo molto saporito e salutare, è una verdura secondaria nell’alimentazione degli italiani, per via della sua durezza e filamentosità che richiede molto lavoro e pazienza nella preparazione. Il cardo gobbo di Nizza Monferrato invece è diverso: morbido e croccante tanto da poter essere mangiato anche crudo e questo è possibile principalmente grazie al suo metodo di coltivazione unico, una tradizione che richiede un duro lavoro manuale.
Come si produce il cardo bianco gobbo di Nizza Monferrato
Il cardo gobbo di Nizza Monferrato è stato uno dei primissimi presidi Slow Food e viene usato anche per produrre un particolarissimo vermouth che, grazie alla presenza della cinarina contenuta in questo vegetale, ricorda gli antichi liquori al carciofo.
Per produrre il cardo bianco gobbo di Nizza Monferrato si procede così: dopo l’estate viene legato e quando è ancora attaccato al terreno viene piegato e interrato, in modo da far completare la sua crescita sottoterra. La mancanza di luce provoca la perdita della clorofilla (per questo il suo colore è bianco) e fa si che non si crei la parte fibrosa. I primi geli dell’inverno lo rendono croccante pur avendo perso la durezza. Il cardo cercherà comunque di uscire dal terreno in cerca della luce e in questo suo tentativo si deformerà creando la famosa gobba. Per realizzare il cardo gobbo si parte da una particolare varietà chiamata spadone che è gia di suo leggermente più tenera delle altre, e viene coltivata in terreni sabbiosi capaci di drenare via l’acqua che ristagnando farebbe marcire il cardo interrato. La produzione di questa eccellenza agricola è davvero minima, solo 12 produttori nel consorzio e pochi altri al di fuori, quindi la vendita è riservata quasi esclusivamente a ristoratori e rivenditori locali. Per assaggiarlo al naturale il consiglio è quello di acquistarlo crudo sott’olio da “Nonna Maddalena” un’azienda agricola locale che realizza composte, conserve e sughi di altissima qualità.
Enoteca Nizza: Barbera ma non solo
Nel centro storico del paese di Nizza Monferrato trovate l’Enoteca Nizza, l’enoteca regionale più grande della provincia che conta ben 180 produttori associati e una selezione di otre 800 etichette, di cui 400 solo di Barbera. Questo vino, uno dei più rappresentativi e famosi del Piemonte, viene declinato in:
– BARBERA D’ASTI DOCG: la sua forma più giovane, affinata solo in botte d’acciaio, un prodotto fruttato e fresco;
– BARBERA D’ASTI DOCG SUPERIORE: uso delle botti e delle barriques per creare un prodotto più complesso e corposo destinato ad un lungo affinamento di minimo 12 mesi;
– NIZZA DOCG: prodotto in una zona ristretta che comprende 18 comuni, considerati i grand cru della Barbera, con i terreni più vocati. Un disciplinare di produzione con vincoli molto rigidi per mantenere standard qualitativi elevati. 18 mesi di affinamento totali di cui 6 minimo in legno;
– NIZZA DOCG RISERVA: l’espressione più complessa della Barbera, vengono scelti dalle aziende i vigneti con le caratteristiche migliori, sia per quanto riguarda il terreno che per quanto riguarda l’esposizione (ammesse solo uve da vigne esposte a sud). I mesi di affinamento sono 30 di cui minimo 12 in legno. Questa tipologia di vino si apprezza anche dopo 10 anni di permanenza in bottiglia.
Fino agli anni ’60 il consumo di Barbera tra le persone della zona arrivava all’astronomica cifra di 160 litri all’anno procapite. All’epoca era un vino economico, popolare e vinificato in modo da risultare spesso molto potente e aspro. Oggi che è stato reso un’eccellenza e portato a livelli gustativi di altissima qualità, il consumo medio è sceso a 30 litri a testa. La Barbera è un vino da abbinamento, con i piatti giusti si esalta e l’accoppiata per eccellenza è con carni dai sapori forti e decisi.
Ogni anno la commissione dell’Enoteca Nizza sceglie la Barbera che reputa la migliore tra quelle dei vari produttori associati e ne imbottiglia una quantità limitata da usare solo per la propria promozione e per gli eventi. Non viene rivelato il produttore per non avvantaggiare nessuno dei soci dato che si tratta di bottiglie con funzione di rappresentanza e questo si traduce in una bottiglia istituzionale “in anonimato” chiamata “La Baronessa”. Abbiamo avuto il piacere di assaggiarla e devo dire che è veramente una meraviglia.
La degustazione all’Enoteca Nizza
All’Enoteca Nizza ogni settimana è possibile fare degustazioni guidate di 6 vini che rappresentano diverse espressioni della Barbera, di produttori e annate diverse. Il costo è simbolico, solo 5 euro (che si trasforma in un omaggio se si fa una spesa di almeno 30 euro nel wine shop). Tra quelli assaggiati consiglio vivamente i seguenti:
– Le Nicchie della cantina La Gironda, prodotto da una donna (cosa rara in questa zona nell’ambito vinicolo) che fa parte dell’associazione dei Vignaioli Indipendenti;
– La Vigna dell’Angelo di Cascina La Barbatella, del 2017, un’annata molto calda che ha reso questo vino decisamente potente. Il legno è assorbito molto bene, il vino resta leggermente dolce con sentori di cacao e liquirizia, oltre ai classici frutti rossi. Resta molto setoso e morbido al palato;
– Laudana della cantina Vinchio Vaglio, una riserva del 2016 davvero indimenticabile. I vigneti dove viene prodotta sono su terreni ripidi, alternati a boschi, il colore tende al granato con l’invecchiamento, ha un profumo intenso, lievemente speziato di legno. E’ molto corposo, armonioso, con tannini leggeri e dolci. Decisamente persistente in bocca, è un vino che va assolutamente bevuto con cibi dai sapori forti;
Altre due vere delizie in formato liquido che potete trovare all’Enoteca Nizza, molto meno note e più rare della Barbera, sono:
– il Ruchè, un vitigno coltivato solo nel piccolo borgo di Castagnole Monferrato che produce un vino super aromatico, profumato e molto alcolico (15/16°) che sa di fiori e spezie, frutti di bosco e ciliegie;
– il Grignolino, un vino dal colore unico, rubino chiaro tendente al fucsia, super brillante, simile al color lampone, considerato purtroppo una varietà inferiore rispetto alle altre uve nere piemontesi e ingiustamente sottovalutato. Il colore così particolare è dato dalla presenza nei grappoli di acini di colore anche molto diverso tra loro, dal rosso, al rosa, al nero e persino al verde, a causa della maturazione non uniforme che porta ad avere sia acini molto maturi che altri ancora acerbi nello stesso grappolo. E’ difficile da vinificare per via dei tanti semi presenti negli acini, preparato mediante trattamenti delicati e brevi macerazioni;
Uscendo dall’enoteca, camminando per la via centrale di Nizza, ci sono i porticati con sotto i negozi che conservano ancora le insegne originali della prima metà del ‘900. Vale la pena andarle a vedere, sono deliziose!
Castello di Monastero Bormida
Altra tappa consigliata per un avvincente tour nell’Astigiano è il castello medievale di Monastero Bormida, ora sede del municipio del paese. Originariamente era un monastero, costruito attorno al 1050, e la torre era il campanile. Nel 1400 fu ampliato trasformandolo in una struttura difensiva. Ha il fiume che scorre proprio sotto, con un bellissimo ponte medievale che offre la vista migliore dell’esterno del castello. L’interno e i camminamenti sulla cima sono visitabili in estate in occasione della rassegna Castelli Aperti. E’ possibile prenotare la visita on line!
Da tenere presente anche che a 10 minuti d’auto da Monastero Bormida si trova il paesino di Loazzolo dove si produce un passito da uve moscato famoso per essere la più piccola DOC italiana.
Colline Alfieri e il castello di Cisterna d’Asti
Spostandosi all’estremo ovest della provincia di Asti, nelle Colline Alfieri, un morbido sistema collinare vi accoglierà come primo territorio astigiano se arrivate dall’albese e dal torinese. Si trova proprio al confine tra Langhe, Roero e Monferrato, ed è la patria del Nebbiolo e dell’Arneis, uno dei pochissimi vini bianchi autoctoni del Piemonte. Qui il paesaggio è quasi interamente composto da vigneti, i panorami sono incantevoli e la campagna più dolce, costellata di borghi antichi. Uno di questi è Cisterna d’Asti, la cui punta di diamante è il castello posto sulla cima del paese. Da lassù si gode della più bella vista che si può amminare durante questo viaggio, su tutte le colline alfieri. Anche questo piccolo comune ha una sua DOC, un vino rosso che prende il nome del suo stesso paese d’origine, il “Cisterna d’Asti DOC”, vinificato con uva Croatina, dal colore rosso rubino intenso e con buon potenziale d’invecchiamento.
Dal 1980 il castello di Cisterna d’Asti ospita il museo etnografico di arti e mestieri più importante del Piemonte. Non aspettatevi il classico museo contadino, perchè questo è davvero qualcosa di unico e spettacolare. 23 stanze di museo distribuite sui tre piani del castello, intere botteghe d’epoca ricostruite al loro interno, oggetti e arredi del passato, raccolti, restaurati e sistemati dai volontari del paese nell’arco di 40 anni setacciando la regione, un lavoro immenso e certosino, che ci da la sensazione di tornare davvero indietro nel tempo. C’è la trattoria completamente apparecchiata, la tipografia, la falegnameria, il laboratorio del fabbro, il forno, il tabacchi, la bottega del sarto e del calzolaio, e così via.
San Damiano d’Asti
A San Damiano d’Asti, proprio nella piazza principale accanto al municipio, si trova l’enoteca regionale Colline Alfieri dedicata a questo piccolo territorio. Conta 19 cantine associate, per una superficie vitata di 46 ettari ad Arneis e 41 ettari a Nebbiolo divise in 11 comuni.
Il Nebbiolo non ha bisogno di presentazioni, è tra i vitigni a bacca rossa più nobili del panorama vitivinicolo mondiale, che fa della longevità il suo carattere distintivo.
L’Arneis invece è un vitigno a bacca bianca piuttosto ribelle da coltivare, ma con le dovute accortezze si ottengono vini freschi e ricchi di profumi, contraddistinti da un retrogusto mandorlato. Per assaggiarlo provate queste due bottiglie:
– Briccofiorito della cantina Fratelli Novara, molto fresco, piacevole, gusto morbido, poca acidità e un profumo intenso e fruttato. Davvero difficile trovare un vino così giovane ma o già equilibrato e, tutto sommato, elegante;
– Vendemmiè della cantina Pianchè, uno dei vini dal colore più chiaro mai visti, quasi trasparente. Fa una piccola macerazione a temperatura controllata, fermenta a bassa temperatura, max 15°. L’uva viene raffreddata in cella frigorifera e anche le operazione di pressatura e decantazione vengono effettuate a freddo;
Piccolo Principe e Gran Collina, due eccellenti agriturismi dove mangiare nell’astigiano
L’agriturismo Piccolo Principe si trova nella frazione Gorzano di San Damiano d’Asti, immerso in un’area boschiva in cima a una collina. Le proprietarie, due sorelle (una si occupa dell’ospitalità e l’altra è la cuoca) sono molto attente alla sostenibilità e per restaurare l’edificio hanno utilizzato solo materiali ecologici come legno, pietra e colori a base d’acqua. Qui si possono mangiare piatti tipici piemontesi preparati con grande cura e a base di ingredienti di qualità, come il vitello tonnato, il tonno di coniglio, l’insalata russa, i flan di verdura, la fassona battuta al coltello, i tajarin, gli agnolotti e i plin (tutti fatti in casa), gnocchi e risotti. Anche i dolci sono ottimi e sempre cucinati dalla cuoca dell’agriturismo. Particolarmente apprezzabili i piatti vegetariani, sopratutto i tajarin con ragù vegetale di stagione e da provare il semifreddo con mousse al cioccolato e lampone.
L’agriturismo Gran Collina, sempre nelle campagne di San Damiano d’Asti, è un posto unicamente per carnivori, perchè è anche un allevamento di Fassona Piemontese, una delle più pregiate razze bovine al mondo. E’ un’azienda agricola a conduzione familiare da 5 generazioni, nata nel 1890, e uno dei ristoranti migliori mai provati dedicati alla carne, non solo in Piemonte ma in Italia (la chef è proprio una delle figlie, l’ultima generazione che ha preso in mano l’azienda). Nascono come produttori di vini e tutt’oggi realizzano numerose bottiglie con tutti i vari vitigni della zona, e col tempo, oltre all’allevamento, hanno aggiunto la coltivazione di cereali, legumi e del foraggio stesso con cui nutrono i bovini. In pratica producono da soli quasi tutto quello di cui necessitano. Il loro piatto forte sono i bocconcini di fassona cotti nel Nebbiolo con patate e crema di ceci, davvero sublime. Carne tenerissima che si sfilaccia senza bisogno del coltello, fatta ammorbidire a bassa temperatura con la tecnica “sous vide” utilizzando il roner per 12 ore, e poi cotta nel vino per un’altra ora. Ottimi anche i dolci, tra cui uno dei migliori tiramisù che si possano desiderare.
Piatti tipici dell’Astigiano e info aggiuntive
In accompagnamento agli splendidi vini di cui vi abbiamo raccontato in questo articolo, se vi interessa la cucina tipica locale potete provare gli agnolotti al plin, i tajarin (tagliatelle fini ricche di uova condite con sughi vari), il brasato al Barbera, l’insalata russa, il vitello tonnato, la battuta di Fassona, la bagna cauda, il bollito misto, il bunet, la torta di nocciole, il tartufo bianco astigiano e il cappone di San Damiano.
Per trovare informazioni, percorsi, iniziative, e quant’altro riguardo il territorio della provincia di Asti, potete fare riferimento ad Astesana – strada del cibo e del vino, l’associazione che si occupa della promozione turistica ed enogastronomica di questa zona. Nel loro sito trovate mappe interattive con vari percorsi già segnati, sia panoramici che gustativi, che possono essere poi facilmente seguiti tramite cartelli di indicazione stradale col simbolo dell’Astesana disposti nel territorio.
Tutte le foto contenute in questo articolo sono realizzate da Agnese Gambini e sotto copyright © 2023
L’articolo Itinerario di gusto nel Piemonte Astigiano. Le tappe e le delizie che non ti aspetti proviene da L'Appetito Vien Leggendo.