Dalla disperazione di chi ha perso il lavoro in una terra dove di lavoro ce n’è da sempre troppo poco, all’avvio di un percorso di rinascita, tutto made in Sicily. La storia del “Birrificio Messina” è paradigmatica per coraggio, testardaggine, spirito di impresa e orgoglio siciliano. Una storia che ha visto l’avverarsi di un piccolo miracolo perché la mia città – chi è di Messina sa quanto sia apatica, indifferente, rassegnata – ha dimostrato a questi lavoratori grande solidarietà e voglia di riscatto. A raccontarmi tutto è stato Domenico Sorrenti, presidente della Cooperativa Birrificio Messina, nata nel 2013 con l’obiettivo di rilanciare la produzione di birra a Messina. Domenico ci ha accolto nel suo quartier generale di Larderia, frazione di Messina, presentandoci uno per uno i suoi compagni di viaggio: quindici operai messinesi che da tre generazioni hanno a che fare con la birra, che in città è stata sempre una cosa seria. Intanto vi anticipo che l’elenco aggiornato dei distributori è disponibile qui.
– IL PASSATO –
Il loro percorso lavorativo era iniziato con la “Birra Messina”, un marchio storico fondato nel 1923 dalla famiglia Faranda, acquistato poi alla Dreher dalla fine degli Anni Ottanta e quindi rilevato nel 1999, insieme all’intera Dreher, dal colosso Heineken. Proprio sotto la gestione della multinazionale olandese, lo stabilimento della Birra Messina (in via La Farina) raggiunge i suoi massimi livelli, risultando uno dei primi in Italia per produttività, con ben 600 mila ettolitri prodotti ogni anno. Negli anni Duemila, Heineken decide di ingrandire e investire su Birra Messina, ma non trova l’accordo con gli enti locali e decide di trasferire la produzione a Massafra mantenendo l’imbottigliamento a Messina.
A inizio 2007, una nuova tegola: a causa dell’aumento dei costi di trasporto, Heineken decide di chiudere definitivamente lo stabilimento di Via La Farina a Messina. Si apre così la prospettiva di licenziamento per i 56 dipendenti. Qui, rientra in gioco la famiglia Faranda, che riacquista da Heineken lo stabilimento di Via La Farina, ma non riacquista il marchio, che Heineken decide di tenere. La produzione delle nuove birre, però, non decolla come in passato. Gli operai vedono svanire le promesse di rilancio, non trovano nella società Triscele (guidata dagli eredi dei Faranda) il giusto interlocutore a cui affidare il proprio futuro lavorativo. Anzi, si sentono presi in giro da un imprenditore che, come raccontano, puntava più a costruire delle abitazioni sui terreni dello stabilimento produttivo, con una mera speculazione immobiliare, che a rilanciare la produzione di birra a Messina. Seguono periodi difficili, fatti di proteste e di speranze deluse. Nel 2011, si aprono le porte del licenziamento e della cassa integrazione.
– LA RINASCITA –
Quando gli operai capiscono che nessuno è disposto a investire su di loro e sul loro lavoro, in 15 (tutti padri di famiglia) decidono di dar vita alla cooperativa Birrificio Messina. Impegnano i propri risparmi, mettono il proprio tfr (trattamento di fine rapporto) a garanzia dei prestiti con le banche. Ottengono dalla Regione Sicilia due capannoni nella zona Asi di Larderia, una frazione di Messina. “I capannoni erano delle semplici stalle che sono state interamente ristrutturate con le nostre mani”, spiega il presidente. I 15 lavoratori si sono trasformati secondo le necessità in pittori, muratori, elettricisti, idraulici. Nel frattempo, il Birrificio Messina riesce a raccogliere quattro milioni di euro di prestiti. Tra questi: 600 mila euro da Unicredit banca, 110 mila da Bcc, 200 mila da Banca Sviluppo, 500 mila da Ircac Palermo, altri contributi sono venuti da Banca Etica, Banca Sviluppo cooperativo, ma anche da donazioni personali come quelle del cavalier Salvatore Ruggeri (il proprietario di Valvitalia, un imprenditore che pur vivendo a Milano non dimentica la sua terra e che ha già rilevato il marchio delle Ceramiche Caleca riassumendo tutti gli operai licenziati dall’azienda) che ha donato alla cooperativa 250 mila euro. Fondamentale, per questo progetto imprenditoriale, il sostegno e il contributo della Fondazione di Comunità.
“Siamo partiti con un anno di ritardo a causa della burocrazia – racconta Sorrenti – e per rientrare rapidamente dai debiti i nostri stipendi sono stati fissati a mille euro al mese. Il resto è destinato al pagamento delle rate dei prestiti”. Vengono acquistati macchinari di ultima generazione per produrre la birra e oggi la cooperativa paga l’affitto dei capannoni di produzione, che verrà scontato, tra cinque anni, dal prezzo finale se la cooperativa dei 15 operai deciderà di acquistare definitivamente gli stabilimenti. A breve dovrebbe aprire – incomprensibili lungaggini burocratiche permettendo – anche un punto vendita diretto nell’area dello stabilimento: la casetta in legno per la vendita è già pronta. Quelli futuri saranno anni di sacrifici e di attente pianificazioni.
– LA PRODUZIONE E LE BIRRE –
Le materie prime, malto e luppolo, provengono dalla Germania e sono fornite dal distributore Uberti (Udine). Il Birrificio Messina oggi produce solo birre a bassa fermentazione, con un ciclo lungo di 21 giorni. Tre le tipologie in vendita: la “Doc 15”, con un malto e tre luppoli (grado alcolico 4,7% vol.), dedicata agli stessi operai che coraggiosamente hanno preso in mano il proprio futuro; la Birra dello Stretto, fatta con due malti e quattro luppoli (grado 4,9 vol.), dedicata a Messina che lo stesso presidente definisce “una città molto solidale”; infine, una birra Premium, fatta con tre malti e tre luppoli (grado alcolico 5,7% vol.). Sono tutte birre di carattere, che si distinguono bene a vicenda e ben lontane dai gusti semplificati di marchi molto noti che si trovano in vendita un po’ ovunque.
“Abbiamo iniziato a fare le prime birre a luglio 2016. Attualmente – dice il presidente Sorrenti – produciamo 22 mila ettolitri di birra, ne faremo 35 mila nel 2017, poi saranno 60 mila nel 2018. In cinque anni, il nostro obiettivo è raggiungere quota cento mila ettolitri, che ci consentiranno di ammortizzare i nostri debiti”. Il Birrificio Messina non può essere definito artigianale in tutto e per tutto. “Siamo artigianali fino alla fermentazione, mentre dal momento in cui facciamo la pastorizzazione non lo siamo più. La nostra è stata una scelta obbligata, perché non possiamo essere un microbirrificio da duemila ettolitri, perché abbiamo quattro milioni di euro di debiti da ammortizzare”.
Ora si guarda avanti con la speranza anche di assumere del personale. “La nostra vicenda deve servire da esempio, e voglio dire ai giovani che occorre credere in sé stessi, ai propri sogni e al proprio territorio. Mi auguro di poter assumere del personale, magari anche i nostri figli”, sottolinea il presidente Sorrenti, ricordando che le attività del Birrificio Messina hanno dato una mano anche all’indotto sul territorio. Le etichette, i cartoni, i tappi, i trasporti sono stati affidati tutti a imprese siciliane, così come è siciliano il fornitore del vetro delle bottiglie, grazie a un recente accordo con la ex Sicilvetro di Marsala. La Cooperativa ha un occhio attento anche alle risorse energetiche, visto che il birrificio ricicla e riutilizza quasi interamente l’acqua usata nelle fasi di produzione: quella usata per la pulizia dei macchinari viene purificata e utilizzata per i servizi igienici.
– IL FUTURO –
Da un punto di vista commerciale, ad aprile-marzo 2017 è in programma il lancio della birra cruda, prodotta in piccole quantità. Il Birrificio Messina ha scelto di non essere presente nelle catene della grande distribuzione: “Non vogliamo correre il rischio di svilire il nostro prodotto e il nostro lavoro con prezzi troppo bassi. Preferiamo puntare su altre strade”. Nella fase iniziale, si contano già ordinativi per 50 mila ettolitri. Una cifra ragguardevole. E già sono stati firmati degli accordi commerciali preliminari con vari distributori in Francia, Inghilterra, Albania e Nuova Zelanda. L’elenco aggiornato dei distributori è disponibile qui. Ma, soprattutto, con la Fondazione di Comunità si sta studiando la possibilità di creare una birra che sia interamente ‘made in Sicily’: malto e luppolo saranno prodotti sui terreni siciliani confiscati alla mafia. Un bellissimo esempio di coraggio e onestà: negli occhi del presidente Sorrenti c’è la preoccupazione per le prossime tappe da affrontare, ma c’è anche la fermezza di chi sa di avere preso in mano il proprio futuro.
(visitato nel gennaio 2017)