Gelatina di mele

Non molto tempo fa ho preparato una marmellata di bergamotti, seguendo questa ottima ricetta che consiglio a tutti, e ne ho regalato un vaso. L’agrume in questione, che pochi conoscono e che non si trova tanto facilmente, è amaro più o meno come un pompelmo e la marmellata che ne risulta è, com’è ovvio, dolce-amara. A me piace molto, ma dopo averne descritto le qualità, la domanda che mi è stata rivolta – con una certa apprensione – è stata: «Ma è più amara della marmellata di arance?». Siccome per me la marmellata di arance dolci ha un retrogusto amaro appena riconoscibile, ho realizzato che il mio regalo avrebbe preso una di due sole strade possibili: quella del mio stomaco o quella della pattumiera.

Per compensare l’apparentemente intollerabile amarezza dell’unica mia ricetta di marmellata (che pure mi è valsa un mare di complimenti), ne do qui una seconda che invece è quasi stucchevole. Se vi piace il dolcissimo, allora questa fa per voi, altrimenti provatela mescolata allo yogurt o sul pane tostato spalmato di panna acida (abbiate fede!).

La procedura ha un passaggio in più rispetto a quella della maggior parte delle marmellate, ma la preparazione è comunque molto meno laboriosa che per gli agrumi o la frutta che va sbucciata e snocciolata. Il risultato molto bello esteticamente, perché se fatta bene viene perfettamente trasparente.

In fondo, una specie di suggerimento o sfida per i miei venticinque lettori. M’illudo verrà raccolta da qualcun’altro prima che da me stesso.

gelatina_mele

La foto, ovviamente, non è mia, ma viene esattamente così.

  • Mele: quante ne volete. Potete usare qualunque tipo di mela, comprese le mele selvatiche e aspre. Potete usare anche solo le bucce e i torsoli che avete avanzato da qualche torta! Con un kilo di mele verrà circa un kilo di gelatina.
  • Zucchero: quanto basta (ma calcolate circa lo stesso peso delle mele).
  • Limoni: uno per ogni kilo di mele.

Per prima cosa, tagliate a pezzettoni le mele ben lavate. Non sbucciarle né togliete il torsolo. Mettetele in un pentolone, ricopritele appena di acqua e aggiungete il succo dei limoni. Incoperchiate la pentola e fate bollire, mescolando spesso, per circa mezz’ora o fino a che le mele non saranno completamente spappolate. Se usate mele selvatiche molto dure, ci vorrà più tempo. Se volete, potete aggiungere in questa fase qualche spezia adatta alle mele cotte, ad esempio una stecca di cannella.

Una volta cotte le mele, lasciate intiepidire leggermente. Il liquido risultante andrà filtrato per un panno finissimo. Il metodo più semplice è questo: setacciate prima tutto con un colino a fori grossi o uno scolapasta in modo da eliminare le bucce e i semi, ma facendo passare tutta la polpa. Comprate dei collant di nylon, lavateli bene con il sapone per i piatti e, con un paio di forbici, tagliate le due gambe. Con un imbuto per marmellata o con un recipiente dotato di beccuccio, versate la pappa ottenuta (e ormai tiepida) in una delle due gambe della calza e legatela in alto a qualcosa in modo che il liquido chiaro che si ottiene dalla filtrazione goccioli nella pentola dove poi cucinerete la gelatina. Lasciate sgocciolare questa surreale opera d’arte moderna per almeno cinque o sei ore (ma se fossero anche otto o dieci sarebbe meglio), poi slegate la claza e scartate il contenuto. È importantissimo resistere alla tentazione di spremerla, altrimenti passeranno delle impurità e la gelatina verrà torbida. Il filtrato non sarà perfettamente limpido di per sé, ma lo diventa con la cottura.

Pesate o misurate il succo ottenuto e aggiungete 800 grammi di zucchero per ogni litro (o kilo) di liquido. Mettete la pentola sul fuoco più alto che avete e fate bollire molto vigorosamente. Se si forma in superficie della schiuma bianca e densa, rimuovetela con grande cura con un cucchiaio. Fate bollire fino a che lo sciroppo non raggiunge stabilmente la temperatura di 105–108 °C, a seconda della densità desiderata; abbassate la fiamma a media quando la temperatura si avvicina. Se non avete un termometro da zucchero, potete versare alcune gocce di liquido su un piatto freddo ed aspettare un minuto: la gelatina è pronta quando, passando un dito sulla macchia che avete fatto, vedrete che si è formata una pellicina superficiale e, inclinando il piatto, non scorre più. Potete trovare più dettagli sulla cottura delle marmellate qui.

Versate subito la gelatina ancora liquida in vasi sterilizzati e chiudete come si fa al solito. Migliora, come sempre, dopo qualche settimana, ma non tanto quanto le marmellate di agrumi, quindi non vi dovete sentire in colpa a mangiarla subito.

Qualcuno aggiunge verso la fine un ramo di erbe aromatiche come menta, rosmarino o timo, che poi si conserva nel vaso. È stupendo esteticamente, ma sul sapore non so dire.


Le mele contengono una grande quantità di pectina e possono servire a trasformare in gelatina più o meno qualunque cosa, tanto che si usano (o si usavano) per addensare altri tipi di marmellata. Visto che il sapore della mela si sposa molto bene sia con il vino, sia con le spezie, ho pensato che forse si potrebbe fare questa stessa ricetta a mo’ di vin brulé. Vorrei provare più o meno così: far bollire una bottiglia di vino rosso con un paio di stecche di cannella, cinque o sei di chiodi di garofano, un po’ di noce moscata, la buccia di un’arancia e di un limone e magari un anice stellato*. Ma sa che l’alcool dovrebbe essere rimosso del tutto o quasi, perché è proprio quel che si usa commercialmente per far precipitare la pectina dalla poltiglia di bucce di arancia da cui si ricava di solito, perciò credo che il vino andrebbe cotto in un tegame largo, a lungo e mescolando. A questo punto, si potrebbe aggiungere un kilo di mele a pezzi e aggiungere acqua fino a ricoprirle. Andrei poi avanti come da ricetta. Se qualcuno ci prova, mi faccia sapere il risultato: prometto in caso di successo un doblone spagnolo o qualche altra fantasmagorica ricompensa. Io ho già troppa marmellata in casa per i miei modesti consumi e, su questo esperimento, ha la precedenza la marmellata di limoni che ho promesso al mio conoscente di Roma.

* non sapendo come chiamare tutta la “stellina” se non con tecnicismi come “folliceto” o “polifollicolo” (essendo ciascun “raggio” un follicolo monospermo), ho deciso arbitrariamente che “anice stellato” è un nome numerabile.

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