Chi abita nel Nordest sa che la catalogna, con la C minuscola, è una verdura che si mangia bollita assieme alle coste, ossia alle bietole. Personalmente, trovo il sapore delle bietole sia quanto meno discutibile e la consistenza sgradevole. Per questa ragione, cucino sempre le catalogne da sole, in genere con la ricetta rapida che spiego qui e che mi è stata richiesta.
Per chiarezza, la catalogna a cui mi riferisco è precisamente la cicoria catalogna gigante di Chioggia, che da noi è l’unico tipo di cicoria che si trova nei negozi con questo nome. In altre parti d’Italia, stando ai miei studi approfonditi, si chiama con questo nome una verdura che qui non si usa, la cicoria asparago, quella che i romani chiamano “puntarelle”.
- Catalogna: una grande.
- Aglio: due o tre spicchi.
- Peperoncino, meglio fresco, oppure peperoncino disidratato in polvere o fiocchi o olio al peperoncino.
- Alici salate sott’olio: un paio di filetti, oppure una sardina dissalata pulita della lisca e le interiora, oppure –più semplice di tutto– due cucchiai di salsa di pesce, che viene dal Vietnam e si trova facilmente nella sezione “etnica” dei grandi supermercati.
- Olio di oliva extravergine
- Sale
Per prima cosa, rimuovete le foglie esterne della verdura che fossero danneggiate. Tagliatela a pezzi con un grosso coltello e lavatela molto bene due o tre volte nell’acqua. Ascigugatela con una centrifuga per insalata. Tagliare la catalogna prima di lavarla non solo rende l’operazione molto più semplice, ma permette di disperdere parte del lattice che le foglie contengono, rendendole meno amare. Ne consegue che più finemente la taglierete, più dolce sarà il risultato finale.
Tritate abbastanza finemente l’aglio e il peperoncino (se l’avete fresco) e metteteli a soffriggere in tre o quattro cucchiai di olio in una larga padella, a fuoco basso. Fate andare fino a che l’aglio non sarà imbiondito, poi aggiungete un paio di cucchiai di acqua per fermare la cottura. Aggiungete i filetti di alice o sardina e fateli sciogliere (se li usate), assieme al peperoncino (se l’avete secco).
Trasferite nella padella tutta la cicoria che sembra starci, quindi salate leggermente e aggiungete una tazzina di acqua (con dentro la salsa di pesce, se usate quella). Fate andare a fuoco alto, mescolando, fino a che le foglie non iniziano ad appassire, a quel punto aggiungete altra catalogna e salate di nuovo. Proseguite fino a che tutta la verdura non starà nella padella.
Continuate a cuocere a fuoco alto fino a che la verdura non si sarà asciugata; ci vorranno circa 30–40 minuti. Se la consistenza rimane molto tenace, il problema quasi certamente non è che la catalogna va cotta di più, ma che manca sale. È questo che fa fuoriuscire l’acqua dai piccioli delle foglie, rendendoli teneri. Salate fino a che la catalogna non sarà tutta intenerita e avrete salato abbastanza.
Servite caldo.
Il fiore della cicoria selvatica
La cicoria selvatica (Cichorium intybus), dalla quale deriva la cicoria coltivata, è una sgraziata erbaccia dai fusti angolosi, molto comune lungo le strade aride, che dà un bel fiore azzurro che qualcuno scambia per un fiordaliso. Pochi sanno che anche i radicchi sono a tutti gli effetti una varietà della stessa pianta.
Il lattice amaro contenuto nella cicoria è una caratteristica che l’accomuna a tutto un gruppo di piante (le composite cicorioidee) che comprende anche il tarassaco, la lattuga e un grandissimo numero di piante selvatiche. In effetti, il termine “lattuga” (lactuca in latino) deriva proprio da lac, “latte”, in riferimento a questa caratteristica. Il lattice della lattuga contiene sostanze alle quali si attribuisce un leggero effetto sedativo, che la rende un alimento sconsigliabile prima di un’importante colloquio di lavoro. O consigliabile, a seconda dal carattere. A questo proposito, si dice anche che alcune persone particolarmente sensibili siano prese da un sonno invincibile dopo aver mangiato molta insalata; quel che è certo è che il succo particolarmente potente della lattuga velenosa (Lactuca virosa) veniva un tempo estratto e usato come blando surrogato dell’oppio, sotto il nome latino di lactucarium.