Data la ricetta del baccalà alla vicentina, mi pare necessario dare anche quella del baccalà alla veneziana, altro piatto tipico del Veneto che condivide con il primo la sua curiosa storia. Qui lo si trova in qualsiasi gastronomia e la versione fatta in casa viene sostanzialmente identica. Farlo da sé è conveniente in quanto al prezzo, ma è praticamente impossibile farne meno di, diciamo, sei o sette porzioni e il lavoro, seppur facile, è molto noioso. Vale la pena comunque dare istruzioni, un po’ perché circolano varie ricette francamente ridicole, un po’ perché penso che non molti, fuori del Nordest, abbiano avuto occasione assaggiarlo. Vi posso garantire che ne vale assolutamente la pena.
Si tratta di una sorta di crema di stoccafisso (anche in questo caso, non baccalà sotto sale) dal sapore delicatissimo, che si serve con polenta abbrustolita o crostini di pane, di solito come antipasto o come accompagnamento all’aperitivo.
- Stoccafisso essiccato: circa 100 grammi bastano per 6–7 porzioni; do queste misure solo perché nel supermercato che frequento lo si vende tagliato in porzioni di questa misura, ma uno stoccafisso intero pesa almeno almeno il triplo. Se lo trovate bagnato, potete prenderne quanto ne volete; 350 grammi saranno più o meno equivalenti a 100 grammi di pesce secco.
- Olio di semi dal sapore neutro oppure olio d’oliva leggerissimo, non olio extravergine: tenete pronta una bottiglia intera.
- Sale fino
- Panna: pare impossibile, ma nell’originale non c’è né panna né latte.
Comprate e bagnate lo stoccafisso come indicato qui.
Fate a pezzi lo stoccafisso bagnato, se servisse. Trasferitelo poi in una pentola della quale avete il coperchio e sommergetelo appena di acqua. Salate leggermente, circa metà di quanto fareste per la pasta. Mettete sul fuoco medio e portate a bollore. Quando bolle, abbassate il fuoco al minimo, incoperchiate e calcolate mezz’ora di cottura o poco più, se i pezzi erano molto spessi.
Cotto che sia il baccalà, toglietelo dall’acqua con un mestolo forato e lasciate raffreddare completamente sia il baccalà sia l’acqua, che a questo punto contiene molta gelatina e parte della quale vi servirà.
Con le mani e con pazienza, pulite il baccalà di tutte le lische, le pinne, le membrane, e le ossa. Della pelle, tenete quasi tutta la parte bianca dal lato della pancia e scartate la parte scura sul dorso. Pesate la carne pulita con la parte della pelle che avete tenuto. Ogni grammo di baccalà pulito (mettiamo che siano 350 grammi) richiede un millilitro di olio (quindi 350 mL). Siccome un litro d’olio pesa circa 920 grammi, potete anche semplicemente misurare lo stesso peso di olio rispetto al baccalà, rimanendo un po’ scarsi.
Viene ora la parte pesante. Il baccalà va sfibrato completamente e incorporato all’olio schiacciandolo e pestandolo con un cucchiaio o, meglio, una frusta da cucina, in una ciotola. L’olio si aggiunge poco per volta e fino a esaurimento mano a mano che proseguite, sempre cercando di incorporarlo tutto. Vedrete che dopo un po’ che lavorate il pesce questo comincerà ad addensarsi e assumere un aspetto fibroso. Questo vi indica che dovreste aggiungere dell’acqua di cottura, che va messa un cucchiaio per volta, solo all’occorrenza. Il risultato finale dovrà avere più o meno la consistenza di un paté con soli pochi pezzettini piccolissimi di polpa intera e un colore bianco giallastro. Per 350 grammi di baccalà, vi serviranno, molto approssimativamente, 100 mL di acqua. La lavorazione sembra simile a quella della maionese, col vantaggio che il baccalà alla veneziana non impazzisce o, almeno, non impazzisce facilmente (a me non è mai capitato).
Proseguite fino a che il baccalà non è completamente sfibrato e non rimangono pezzi più grandi di qualche millimetro. Quando il baccalà è a buon punto, provate ad assaggiarlo; quasi certamente bisognerà aggiungere sale. La lavorazione a mano vi richiederà probabilmente più di un’ora. Se volete, potete aiutarvi con una planetaria, usando la pala a foglia che si adopera anche per impastare le torte, ma sarà comunque bene pestarlo almeno un po’ a mano per spezzare i pezzi più grossi. Di certo non si possono usare strumenti che tagliano, come robot da cucina o frullatori.
Una volta pronto, si può conservare per qualche giorno in frigorifero, perfettamente isolato dall’aria poggiandoci direttamente sopra una pellicola di plastica. Se non faceste così, l’acqua evaporerebbe e il baccalà rilascerebbe l’olio, con un effetto disgustoso nel gusto e nell’aspetto.
Servite ben freddo spalmato molto spesso su crostini di pane o polenta abbrustolita (fredda o tiepida!), volendo spolverizzato di prezzemolo o erba cipollina tritati finissimi.
Da qualche tempo è possibile trovare in molti supermercati l’olio preparato da una varietà di girasole chiamata “alto-oleico“. Quest’olio ha un gusto molto neutro e un prezzo accessibile, seppur sia un più alto di quello dell’olio di girasole comune. Il nome fa riferimento alla sua composizione: è ricchissimo di grassi monoinsaturi e in particolare –come dice il nome– di acido oleico. Chimicamente, in effetti, è quasi identico all’olio di oliva: entrambi sono fatti di acido oleico per circa il 70%, mentre il resto è un miscuglio abbastanza equo di grassi saturi e poliinsaturi.
Questa composizione fa sì che quest’olio sia molto resistente alle alte temperature e, per tanto, particolarmente adatto alla frittura. Ricordo che l’olio di oliva extravergine, al contrario, non lo è affatto, a differenza di quanto molti credono: le impurità che contiene e che lo rendono torbido e verde si bruciano facilmente al calore, sviluppando sostanze tossiche. Quanto all’olio di oliva raffinato, andrebbe benissimo anch’esso, ma per me è semplicemente troppo caro e troppo saporito. In compenso, proprio come l’olio di oliva, l’olio di grasole alto-oleico non può proprio essere usato per fare la maionese, a meno che non la consumiate immediatamente. I grassi monoinsaturi, infatti, si addensano molto già alla temperatura del frigorifero e questo basta a fare impazzire la salsa una volta raffreddata, che va perciò preparata con un olio a base di grassi poliinsaturi, come l’olio di girasole comune, l’olio di mais, l’olio di soia.
Vi consiglio l’olio di girasole alto-oleico anche per questa ricetta e tutte le altre che portano a mangiare molto olio di semi (maionese esclusa): così com’è uguale all’olio di oliva sul piano tecnico, lo dovrebbe essere anche dal punto di vista della salute. Numerosi studi indicano che i grassi monoinsaturi presenti nell’olio di oliva hanno effetti positivi. Naturalmente, questo vale solo se vogliamo credere che il nostro corpo non possa magicamente distinguere quale specie di pianta abbia prodotto una particolare molecola. In effetti, non è così scontato. C’è anche gente che compra zucchero bianco di canna al posto dello zucchero bianco di barbabietola, che “fa male”. Stessa sostanza, pura al 100%. E c’è chi, per sicurezza, sceglie e paga il fruttosio estratto dalla frutta, la vitamina C estratta dai limoni, e il sale rosa dell’Himalaya, che è solo sale, ma colorato di ossidi di ferro insolubili (non “ruggine”, suona male) e particolarmente ricco di preziosi metalli pesanti: minerali rari come il cadmio e il piombo, dotati della prodigiosa facoltà di curare ogni male in via assolutissimamente definitiva. Se siete questo tipo di persona, ignorate il consiglio e usate sempre olio extravergine, anche per ungere la catena della bicicletta.
PS: Un certo sito di cucina che non nomino dice che ci vuole, per quasi un kilo di pesce bagnato, appena un bicchiere di olio. EVO, ça va sans dire. Mi viene il sospetto che essendosi ritrovati troppi baccalà da cucinare, abbiano deciso invece di assumerli come giornalisti.