Il lago è scuro stamattina, riflette il grigio del cielo. Un vento gelido increspa le acque di solito immobili dello specchio d’acqua. C’è aria di tempesta. Gli alberi intorno agitano le fronde, se li guardi da sotto sembrano tanti danzatori impegnati nella coreografia ripetitiva di un’antica danza asiatica. Se li guardi da sotto per un po’ di tempo potresti rimanerne ipnotizzato.
Le anatre starnazzano chiamando a raccolta gli anatroccoli. I cigni si muovono lenti, si guardano intorno con aria aristocratica e sembrano infastiditi dallo schiamazzare degli altri pennuti. Nessuno però prende il volo. C’è aria di tempesta. Delle anziane signore camminano rapide con le sporte della spesa. Qualcuno ha anche il coraggio di fare jogging sul lungolago; altri tirano a secco delle piccole imbarcazioni. Le nuvole si aggrumano veloci, formano masse minacciose. Fra non molto esploderanno. C’è aria di tempesta. Oggi è meglio stare tranquilli al sicuro della propria dimora. Meglio guardare da qui il mondo che si muove e corre come se non ci fosse nient’altro da fare. Io posso stare fermo, che corra pure. Io sto qua e lo guardo dal mio sordo silenzio. C’è aria di tempesta. Molti dicono che ho una visione della vita strana, che penso al contrario. Ma io non credo sia così. È solo che cerco di vedere le cose da più punti di vista, mi metto nei panni degli altri e delle cose, valuto attentamente tutto quello che accade intorno a me e, spesso, mi fermo a guardare dal lato opposto agli altri, come se fossi con la testa in giù, sottosopra o, meglio, al contrario. Una voce grida da fuori: “Ehi, che fai lì immobile? Dai, smuoviti, andiamo a fare un giro”. Ha irrotto nella mia pace il mio amico iperattivo. Non lo ferma niente. Trova sempre qualcosa da fare e, se non c’è niente da fare, lui se lo inventa. È frenetico e superficiale, non riflette mai su niente, le sue azioni sono tutte figlie di impulsi. È molto diverso da me e, a dirla tutta, non mi piace molto, ma è l’unico amico che ho da quando mi sono trasferito da questo lato del lago. Sono dovuto andar via da dove abitavo prima, le acque lì si erano fatte troppo agitate a causa di una femmina bellissima, impertinente e poco discreta. E così ho fatto fagotto e mi sono trovato un piccolo rifugio non troppo distante da quel posto, ma abbastanza lontano per non avere rogne. “C’è aria di tempesta. Non voglio muovermi da qui”. “Dai, fosse per te non usciresti mai, neanche se ci fosse la giornata più straordinaria di sempre”. “Perché devi essere sempre così aggressivo, non sei più convincente solo più irritante”. “Staccati da là e smuoviti invece di ciarlare”. Mi sposto con aria perplessa. C’è aria di tempesta. Non voglio uscire. Leggo il biasimo negli occhi del mio amico che mi guarda tra il rancoroso e il triste. Uffa, maledetti sensi di colpa. “Va bene, dai, un giretto veloce però. C’è aria di tempesta. Ho brutti presentimenti”. Non facemmo in tempo ad uscire che ci sentimmo trascinati contro la nostra volontà in direzione opposta a quella in cui stavamo andando. Non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo, sballottati rimbalzavamo senza avere coscienza e controllo dei nostri movimenti. Ci cercavamo con lo sguardo interrogandoci a vicenda su quanto stesse accadendo, ma non riuscivamo neanche a guardarci se non per pochi attimi. Sentivamo baccano provenire da sopra di noi, urla, imprecazioni, rumori striduli. Improvvisamente ci sentimmo mancare l’aria, boccheggianti provammo a respirare ma più spalancavamo la bocca più sentivamo che le forze ci abbandonavano. I pescatori finirono di tirare le reti, ci ritrovammo l’uno accanto all’altro a dibatterci sul pavimento di legno della barca, erano gli ultimi spasmi di vita. Tra poche ore saremmo stati il piatto del giorno del ristorante Al Pescatore: “Stasera frittura di paranza”. C’è aria di tempesta.
Le anatre starnazzano chiamando a raccolta gli anatroccoli. I cigni si muovono lenti, si guardano intorno con aria aristocratica e sembrano infastiditi dallo schiamazzare degli altri pennuti. Nessuno però prende il volo. C’è aria di tempesta. Delle anziane signore camminano rapide con le sporte della spesa. Qualcuno ha anche il coraggio di fare jogging sul lungolago; altri tirano a secco delle piccole imbarcazioni. Le nuvole si aggrumano veloci, formano masse minacciose. Fra non molto esploderanno. C’è aria di tempesta. Oggi è meglio stare tranquilli al sicuro della propria dimora. Meglio guardare da qui il mondo che si muove e corre come se non ci fosse nient’altro da fare. Io posso stare fermo, che corra pure. Io sto qua e lo guardo dal mio sordo silenzio. C’è aria di tempesta. Molti dicono che ho una visione della vita strana, che penso al contrario. Ma io non credo sia così. È solo che cerco di vedere le cose da più punti di vista, mi metto nei panni degli altri e delle cose, valuto attentamente tutto quello che accade intorno a me e, spesso, mi fermo a guardare dal lato opposto agli altri, come se fossi con la testa in giù, sottosopra o, meglio, al contrario. Una voce grida da fuori: “Ehi, che fai lì immobile? Dai, smuoviti, andiamo a fare un giro”. Ha irrotto nella mia pace il mio amico iperattivo. Non lo ferma niente. Trova sempre qualcosa da fare e, se non c’è niente da fare, lui se lo inventa. È frenetico e superficiale, non riflette mai su niente, le sue azioni sono tutte figlie di impulsi. È molto diverso da me e, a dirla tutta, non mi piace molto, ma è l’unico amico che ho da quando mi sono trasferito da questo lato del lago. Sono dovuto andar via da dove abitavo prima, le acque lì si erano fatte troppo agitate a causa di una femmina bellissima, impertinente e poco discreta. E così ho fatto fagotto e mi sono trovato un piccolo rifugio non troppo distante da quel posto, ma abbastanza lontano per non avere rogne. “C’è aria di tempesta. Non voglio muovermi da qui”. “Dai, fosse per te non usciresti mai, neanche se ci fosse la giornata più straordinaria di sempre”. “Perché devi essere sempre così aggressivo, non sei più convincente solo più irritante”. “Staccati da là e smuoviti invece di ciarlare”. Mi sposto con aria perplessa. C’è aria di tempesta. Non voglio uscire. Leggo il biasimo negli occhi del mio amico che mi guarda tra il rancoroso e il triste. Uffa, maledetti sensi di colpa. “Va bene, dai, un giretto veloce però. C’è aria di tempesta. Ho brutti presentimenti”. Non facemmo in tempo ad uscire che ci sentimmo trascinati contro la nostra volontà in direzione opposta a quella in cui stavamo andando. Non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo, sballottati rimbalzavamo senza avere coscienza e controllo dei nostri movimenti. Ci cercavamo con lo sguardo interrogandoci a vicenda su quanto stesse accadendo, ma non riuscivamo neanche a guardarci se non per pochi attimi. Sentivamo baccano provenire da sopra di noi, urla, imprecazioni, rumori striduli. Improvvisamente ci sentimmo mancare l’aria, boccheggianti provammo a respirare ma più spalancavamo la bocca più sentivamo che le forze ci abbandonavano. I pescatori finirono di tirare le reti, ci ritrovammo l’uno accanto all’altro a dibatterci sul pavimento di legno della barca, erano gli ultimi spasmi di vita. Tra poche ore saremmo stati il piatto del giorno del ristorante Al Pescatore: “Stasera frittura di paranza”. C’è aria di tempesta.
La ricetta che segue ha una certa attinenza con il racconto anche se il protagonista, il calamaro, non è proprio un pesce e non nuota in acque dolci bensì nel mare. Ideata in occasione della cena Futurista che ho organizzato qualche tempo fa in un noto locale palermitano, l’ho intitolata Anelli Mitologici rifacendomi alla tradizione della cucina futurista che prevedeva elementi shock – in questo caso una maionese all’aglio blu accompagnata da confettini argentati – che potessero lasciare il convito a bocca aperta. È molto semplice da realizzare, perfetta per il periodo estivo, soprattutto se avete voglia di stupire i vostri ospiti.
Ora basta con le chiacchiere. Eccovi la ricetta.
Ingredienti per 4 persone: 6 grossi calamari; farina di grano duro. Per la salsa: 2 uova freschissime; 300 ml di olio di semi di mais; ½ cucchiaio di aceto bianco; il succo di mezzo limone; 1 cucchiaino di zucchero; ½ cucchiaino di sale; ½ spicchio di aglio rosso spremuto; 1 cucchiaino di colorante in polvere per alimenti blu. Per friggere: olio di semi di mais. Per decorare: confettini argentati.
Procedimento: Pulite i calamari e tagliateli ricavandone degli anelli (potete farveli preparare dal vostro pescivendolo di fiducia). Lavateli bene e metteteli a sgocciolare in un colapasta.
Ora dedicatevi alla maionese. Sciogliete il colore nel cucchiaio di aceto. Mettete le uova e tutti gli altri ingredienti, meno l’olio, in un recipiente alto. Aggiungete un po’ d’olio e cominciate a sbatterli con il frullatore ad immersione. Continuate, versando l’olio a filo, fin quando la salsa non sarà ben ferma e di consistenza cremosa.
Infarinate i calamari, eliminando la farina in eccesso. Friggeteli pochi alla volta nell’olio ben caldo. Quando saranno dorati, scolateli con una schiumarola e metteteli in una teglia ricoperta con carta assorbente. Eliminate l’unto in eccesso e salateli leggermente. Conclusa la frittura, serviteli accompagnati dalla maionese blu cosparsa di confettini argentati.
Buone cose futuriste a tutti!
Consigli: se volete presentarli come nella foto, vi serviranno delle barchette e degli stecchi di bambù e un sac à poche per creare le “onde”.