Quella di Cristina Begnigna è stata un’infanzia felice, in mezzo al verde e agli animali della campagna di Stezzano (Bergamo). Una famiglia normale la sua, ricca di valori e di sani principi. Suo padre lavorava in una cascina mentre la madre si occupava di lei e della casa. Poi un giorno qualcosa è cambiato. Merito di un dono speciale che ha permesso a questa donna, oggi 42enne, di stabilire un contatto profondo con chi non c’è più.
«Ricordo che da piccola avevo paura di essere invisibile, tutti i bambini volevano un super potere, io volevo solo piacere a qualcuno – dice Cristina -. Avevo una costante paura di non essere mai abbastanza simpatica, abbastanza carina, abbastanza alla moda, abbastanza in generale. A un certo punto mi sono accorta di avere un dono speciale, tramite i sogni, le premonizioni, eventi paranormali, io riuscivo a vedere in anteprima la verità, ciò che poi avrei visto con i miei stessi occhi poco dopo».
I primi segnali iniziarono quando Cristina aveva circa undici anni: «Un giorno mia madre mi disse che sarebbe venuto a stare da noi suo fratello, mio zio Angelo, alla quale ero legatissima – racconta -. Ma poi lui si aggravò, fino a morire. Lo avevamo steso sul letto in camera dei miei in attesa che arrivasse l’agenzia funebre. Mentre la famiglia iniziava a riunirsi per la veglia, decisi di andare in camera mia, che era subito dopo quella di mamma e papà. Nell’attraversare il corridoio sentii un brivido freddo e all’improvviso mi girai di scatto verso il letto dove era lo zio. Lo vidi seduto e con la mano mi fece il gesto di andare vicino a lui a sedermi. Mi misi paura e corsi piangendo dai miei parenti raccontando tutto: mi dissero che era la mia mente che mi giocava brutti scherzi, ma io continuai a pensarci. Sapevo che era tutto reale. I miei occhi avevano visto lo zio Angelo che mi sorrideva anche se era morto».
Con il tempo Cristina cercò di cancellare quel ricordo dalla sua mente. Finché il 18 febbraio 1994, il giorno prima del suo compleanno, accadde di nuovo un episodio singolare: «Ero andata a studiare in biblioteca con una mia compagna, Antonella Scaramuzzino – spiega – facemmo tardi e le dissi che dovevo correre a casa a lavare i piatti, altrimenti la mamma si sarebbe arrabbiata. Prendemmo le bici e di corsa, percorrendo la piazza di Stezzano, mi accorsi di un arcobaleno che attraversava il tetto della chiesa. Allora dissi alla mia amica che dovevo fermarmi ed entrare per accendere le candele ai nonni. Poi ne accesi una in più per le anime che soffrivano in quel momento».
Erano le 17.30 e la ragazza non sapeva ancora cosa le avrebbe riservato il destino: «Arrivata a casa – continua – mi misi subito a lavare i piatti. A un certo punto entrò mio padre dalla porta piangendo. In quell’istante mi cadde un piatto ed esclamai: “La mamma!”. Lui subito mi chiese come facessi a saperlo. Papà mi spiegò che la mamma era caduta dal cavallo alle 17.30, l’avevano portata in ospedale. Mio padre doveva andare subito da lei e disse che io invece dovevo rimanere a casa con la zia. Mi si gelò il sangue, collegai subito l’arcobaleno, la candela e la mia frase nell’accenderla, il piatto che ho rotto mentre mio padre entrava dalla porta e la mia esclamazione “mamma”. Scoppiai in un pianto isterico, accentuato dalla paura di quelle cose che avevo percepito e alle quali non avevo dato peso fino a quel preciso istante. Mi inginocchiai e sentii di nuovo quel freddo. Dalla mia bocca usciva fumo bianco e nell’aria sentivo profumo di rose. Capii subito che si trattava della mia mamma. Sentii la maniglia della porta, ma mi dissi che ero sola in casa col cane e non era possibile. Mi girai e vidi la porta del corridoio, la maniglia faceva su e giù delicatamente: ero terrorizzata, ma presi coraggio e aprii la porta. Non vidi nulla fino a quando non arrivai davanti alla porta della camera dei miei genitori. Lì il profumo di rosa era veramente fortissimo, il mio cane salì sul letto dove si metteva sempre con mamma e in quel momento vidi che c’era qualcuno sdraiato, ma non vedevo nessuno, solo il segno. Scappai di corsa giù da basso e aspettai mia zia, le raccontai tutto, salimmo e controllammo. Non c’era più nulla. Mi guardò e mi disse che avevo solo bisogno di dormire».
Così Cristina andò a letto, ma quando si addormentò iniziò a sognare un campo verde gigantesco con un cavallo che correva: «Fu il primo di una lunga serie, mentre mamma era in ospedale – precisa – ogni notte si aggiungeva un particolare in più, le rose, una bara con l’ultima cena sui lati e nell’ultimo sogno vidi che c’era una donna rasata che assomigliava tanto alla mia mamma. Era in una stanza piccola, con un lucernario in vetro di murano sopra la porta. Non conoscevo quel posto».
I giorni si rincorrevano veloci e arrivò il 24 febbraio 1994. A scuola la professoressa chiamò Cristina alla lavagna, ma all’improvviso si sentì svenire e cadde a terra. «Erano le 12.05 – ricorda – mi portarono in infermeria, poi arrivò mia zia a prendermi. Capii che qualcosa era successo. Mi disse che mi avrebbe portato dalla mamma. Salii in macchina e ci recammo all’ospedale di Brescia. Entrammo. C’erano le indicazioni con ospedale a destra e camera mortuaria a sinistra. Girammo a sinistra e mi misi a urlare. Arrivate all’ingresso, vidi tutti i miei parenti, piangevano, mi abbracciavano, ma non capivo, fino a quando mia zia non mi accompagnò in una stanza piccola. C’era una bara con una donna rasata. Alzai gli occhi e vidi il lucernario. Scoppiai a piangere. Avevo già visto tutto in sogno il giorno prima, non mi capacitavo. Allora chiesi a mia zia quando fosse morta la mamma e lei mi rispose: “Oggi alle 12.05”. Cercai una sedia per sedermi. La mia testa andava come un uragano. Pensavo a tutto e a niente. Poi capii che non potevo sottrarmi a quel mio dono. Avevo qualcosa che fino ad allora non ero mai riuscita a evolvere. Ora sapevo e credevo fermamente che i sogni fossero importanti messaggi divini. Avevo capito che io non ero più quella piccola bambina invisibile. Io ero diventata la bambina che vedeva al di là di quello che gli occhi percepiscono».
Così, con il tempo Cristina ha imparato a distinguere i suoi sogni e a coglierne i messaggi: «Quelli premonitori hanno dettagli molto chiari e precisi che mancano ai sogni regolari. Colori, emozioni, luoghi e conversazioni. Per me, sono molto più chiari e intensi. Normalmente questi tipi di esperienze compaiono nella nostra vita all’improvviso, ma molto spesso possono cambiare il corso della nostra giornata e della nostra vita. Per questo dobbiamo essere aperti e ricettivi verso il mondo, per essere in grado di cogliere il momento esatto in cui si presentano. I segni della presenza di una persona cara scomparsa sono piccoli dettagli che ci aiutano a ricostruire, giorno per giorno, la nostra esistenza. Non ci resta quindi che accoglierli per recuperare la serenità perduta».
Laura Ceresoli
(Tratto da Prima Bergamo del 25/02/2022)