La mia prima volta

Le memorie, anche se non proprio la memoria, aumentano con l’età… fortunatamente ho attraversato il tempo degli eccessi, che si ricordano meglio e che in un certo senso auguro a tutti per non avere un elettromemoriogramma piatto. Gli eccessi sono certo le esagerazioni; di vino di cibo, pure di amore. Eccessi di sentimenti portano scarti importanti sul sismografo della vita ma chi si augurerebbe di NON averne? Ecco però che anzi i sentimenti SONO di per sé degli eccessi augurabilissimi in un trend che riempie di cose, ora sempre più virtuali. Per questo sono importantissime da ritrovare le prime volte, quelle matrici dove i propri sentimenti per quella cosa lì  che sta accadendo la prima volta si affacciano come gli angeli ai bordi della cupola della Cappella Sistina e vogliono capire cosa succederà. La prima volta, che tecnicamente è una volta come un’altra, è dipersé sempre più zeppa di percezioni che indicheranno la bussola per quello che sarà a venire. Chissà,  se mai c’è una cosa che ha il sopravvento, e allora un vino da poco se incrocia gli occhi giusti diventa un nettare, il sentirsi fra amici spesso dà il lasciapassare a vinoidi che altrimenti meriterebbero solo il water closet.
Già, di questo volevo parlare… e quale era stata la mia prima volta…? Oh, no, non “quella” prima volta che è naturale tenere in un secretaire del forziere dei ricordi, per tutti solitamente uno Ying-Yang di soddisfazioni delusioni come un aperitivo dell’esistenza. No, io intendevo: quale il primo contatto memorabile con l’alcool, quello con l’illuminazione della pozione magica? L’interessante è seguire a salmone la propria traccia notevole e piacevole dall’ultimo bicchiere al primo. Questo post l’ho scritto in diversi giorni quindi l’ultimo bicchiere continuava a cambiare…
Inizia la caccia. Qualche sera fa cena con Lewis, il figlio di un mio amico, a discutere sul Prosecco a bassa pressione buono e piacevole con quel caldo e con le salsicce affumicate e il pane fatto in casa da Monica, ma le seppie in umido con polenta forse volevano un rosso come il pomodoro che le colorava. Colore chiama colore… oppure tanto in cucina tanto in cantina, tutte quelle lezioni precetti e regole solo per cercare cosa ti piace e perché. Niente da fare, roba un po’ saccente e poi ricordi troppo freschi.
No, sicuramente prima, molto prima, anni ‘90 nelle fiere in Germania con le piccole birre kolsch da ordinare a due alla volta da gradassi e la salsiccia al metro? Da Alt Sion, 9 persone, 6 metri e 60 birre? O l’incontro con il Brasile e le caipirinhas come aperitivi o le batide con pinga mentre si mangia churrasco?



No… tanta bella esagerazione ma un po’ confusa. Indietro negli anni 80? Forse nelle serate ad alto voltaggio alcolico alla Gabina, quel rifugio in legno scricchiolante davanti al mare in Darsena, tre gradini sopra la sabbia come l’amore tre metri sopra il cielo e, dentro, la cura come di una seconda famiglia adottiva, la Paola e Otello, si mangia quello che hanno pescato e se il mare era grosso si chiude? Tapas prima che fosse cool chiamarle così, aspettando  bavette ai moscardini e altre delizie mai più sentite, fino al fritto di retino finale e il gelato alla crema con così tante uova che il giallo era identico a quello del campo di grano con corvi…? Jesper il danese aveva gli occhi di un bimbo (ubriaco) alle giostre…vino bianco frizzante ghiacciato, liquore d’erbe prese nel pezzetto di terra dietro la cucina. Fochino… ma ancora no, troppa adrenalina mista al piacere. Doveva essere una sensazione più essenziale.
Forse in una delle miriadi di sbronze alpine? Durante o dopo la Naja? Prima erano tutti ricordi piacevoli, speciali perché gli alpini sono sempre speciali, ma “dopo” è un po’più tipo signore bene che si limano le unghie rispetto alle voracità barbare quando si è improvvisamente privati di libertà e capelli e dove tutti i valori saltano fuori puri e duri. Dolori e soddisfazioni. Cime immacolate e bottiglie scolate d’un fiato, risate e punizioni in un mix di eccessi psicofisici pas dosé. 



No, quella da trovare era una sensazione diversa, altrettanto intensa ma senza disperazione di libertà. Ci doveva essere una felicità speciale da prima volta. Dove…? Indietro indietro. Anni 70? Mmm chissà.Venezia quella bettola, la Rivetta dietro (molto dietro) il Danieli,  nascosta sotto un ponte. Rumore di vita, fumo cibo mediocre vino pessimo, onde di tempeste ormonali, lacrime da amori sfuggenti baci e pioggia che ti entra nelle ossa proprio da una canala mentre piangi dopo aver bevuto. No, in tutto quel liquido c’era in giro di boa della vita ma non la prima volta.


E neppure nella prima sbronza alla Hofbräuhaus a capodanno con gli amici , una serata baldanzosa 5 bicchieroni da 1 litro e solo una scatoletta di “apri e gusta” come cena e la saracinesca che a un certo punto cala sugli occhi e la notte al gelo nel sacco a pelo… la congestione, vedersi arrivare in faccia gli schiaffi di Gerardo per farmi rinvenire e non riuscire a dirgli ero già rinvenuto. L’indomani niente Jungfrau, solo la stazione di Innsbruck, i suoi gabinetti a pagamento e quel senso metallico in bocca.

No, l’origine era altrove. Ancora tasto rewind, vocine veloci silenzi voci altro tintinnio di piatti bicchieri posate. Fine anni 60…chissà. Vassoi di ferro con prosciutto e salame e cipolle sottaceto odore di tortelli ma anche di zuppa di funghi atavica… sono entrato nel ricordo giusto? Alla tavolata sono il più piccolo. Ci sono i cacciatori e altri habitués tutti rosseggianti in viso e sotto le cure della mia nonna in cucina. All’italiana tutti parlano tanto contemporaneamente quanto allegramente. Il mio nonno passa con la bottiglia di Lambrusco di Sorbara Nando Cavalli cassette da 6 in gabbia di ferro che segnano le mani a portarle giù dal garage. O te, non l’hai avuto?”. E mesce. Io in realtà l’ho già avuto dal Marchesini o bimbo ma te ‘un bevi? Io un bimbo? Scherziamo? Prima volta con i grandi. Poi passa la cameriera o Franceschino ma te non ti serve nessuno…”, e così passo al terzo bicchiere in una girandola veloce che ne vedrà altri con altrettante gags. Il giochino era che qualcuno mi versava quelle bollicine rosse e io che dovevo fare? Tiravo giù contemporaneamente e allegramente. Poi tanto caldo ed esco fuori. Il freddo assoluto e San Pellegrino con la prima neve. La sagoma delle montagne nel buio stellato e alle spalle quel ristorante albergo bar caffè punto telefonico di montagna dove mio padre era andato a trovare, e sposare,  mia madre. Io come un Bucaneve al contrario che buco la neve con la pipì, pieno di pensieri romantici che si accavallano come i discorsi là dentro. Chissà forse ne avrei scritto un domani di quella serata io piccolo e basso finalmente grande e alticcio… ma se non ritorno in fretta dentro quelle voci muoio assiderato, non scriverò mai nulla e Proust potrà rimanere il miglior scrittore di ricordi dettagliati… fochino fochino… 

FUOCO CI SONO L’HO ACCHIAPPATA! L’ultima a traccia era buona, ma era “quasi goal”… la matrice era un poco ancora indietro.Primi anni 60 (beh, ora sono ai primi 60 anni…), luce del giorno, la cucina è quella di casa mia scarna ed efficace tutto chiaro e la voce della mia mamma che racconta al mio papà che la mattina mi aveva dato un uovo del Marchetti da bere (lessico familiare: mi aveva dato da bere un uovo fresco fatto, bontà loro,  dalle galline del vicino, il Signor Marchetti, che non faceva le uova lui stesso medesimo, né era lui da bere, al contrario della Milano di qualche decennio dopo). Poi per farmi bere quello che era rimasto, probabilmente un po’ di rosso e il moccioso e sgradevole chiaro, aveva messo dentro il guscio un goccio di vermut rosso. Io avevo bevuto di gusto ed esclamato “Mamma! Altro ovino, altro picchierino!”. Il mio papà mi dice contento “e bravo!”, vedo occhi benevoli e sento risate intorno. Tutto era all’inizio


Francesco Funaioli
(il Funa, viaggiatore romantico)

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