La Carbonara di Renato Gualandi

Oggi vi voglio parlare di un piatto che, se pur semplicissimo, suscita sempre dispute tra i commensali in merito alle sue origini, alle modalità di preparazione e al formaggio da metterci sopra: La Carbonara.

Come tutte le ricette ormai diventate famose a livello globale, anche la carbonara vanta diverse origini e diversi inventori… Chissà quale sarà quello vero poi…

Normalmente si pensa che la carbonara abbia avuto origine nel Lazio e più precisamente a Roma. La sua data di nascita rimane, invece, ancora incerta in quanto i libri anteriori al 1950 non ne parlano.
Ma passiamo ora in rassegna le varie origini di questa “pietra miliare” della cucina italiana:

1) Il carbonaro: Si racconta che un carbonaro, ossia uno spazzacamini, ormai ritiratosi dalla professione, avesse aperto una fiorente attività nel capoluogo laziale, e che servisse nel suo locale questa pasta con l’uovo a cui aveva dato il nome di “carbonara” in onore del suo ex-lavoro.

2) Origine Anglo-Americana: Devo ammettere che questa seconda ipotesi mi sembra alquanto azzardata… Comunque si racconta che negli anni della seconda Guerra Mondiale i soldati americani giunti in Italia abbiano cercato di reperire nelle botteghe e nei mercati della capitale gli ingredienti a loro più comuni e li abbiano semplicemente uniti insieme per farne un condimento per la pasta, in un perfetto mix italo-anglosassone.

3) Origine Italo-Americana: Ovviamente alla tesi sopra citata gli italiani rispondono che in realtà non sono stati gli americani a mescolare gli ingredienti a loro familiari creando la carbonara, ma sono stati gli italiani a trovare sul mercato ingredienti prima sconosciuti (come il bacon) che gli hanno dato la possibilità di creare questo nuovo piatto.

4) Origine Appenninica:  Questa quarta ipotesi sostiene invece che la carbonara sia nata tra i carbonai appenninici abruzzesi che la preparavano usando gli ingredienti di maggior reperibilità. Secondo questa tesi la carbonara sarebbe l’evoluzione del piatto abruzzese “cacio e ova” che i carbonai preparavano il giorno prima e si portavano dietro durante il tragitto.
Questa ipotesi trova conferma nel fatto che il termine “carbonada” significa, in abruzzese, carne di suino cotta sul carbone… In altre parole pancetta.


5) Ipotesi Napoletana: Altra ipotesi fa risalire la nostra ormai amata carbonara alla città di Napoli, già madre di diverse ricette gustosissime. Si sostiene infatti che, nel trattato di Ippolito Cavalcanti del 1837 “Cucina teorico pratica”, vi fossero già riferimenti a questa pietanza.

Ma veniamo adesso a quello che ho deciso di proporvi io oggi… Non sono mai stata particolarmente attratta dalla pasta alla carbonara, che in casa mia viene proposta cucinata dal mio babbo, a modo suo,da un’eternità. Tuttavia qualche giorno fa, mentre guardavo la tv, sono rimasta piacevolmente colpita dal novantacinquesimo compleanno di Renato Gualandi, bolognese di nascita,  uno dei più grandi chef europei e unico italiano insignito del commendatorato della cucina francese.

 Gualandi ha servito i suoi piatti a Charles de Gaulle, alla regina di Olanda, a Pasolini, a Enzo Ferrari, a Wanda Osiris, a Tyron Power e chi più ne ha più ne metta.
Ecco, ascoltando quello che diceva questo simpatico signore in merito alla carbonara, ho deciso di sfidare il babbo nella preparazione del suo piatto forte.. e mi sa che ho vinto io, almeno a giudicare dalla faccia di Giacomo!

Quello che Renato Gualandi non si stanca di ripetere è che:  ” a inventare la carbonara non sono stati i romani!” e racconta che nell’anno 1944, durante la liberazione della città di Riccione, fu proprio lui a cucinare questo piatto per la cena che avrebbe festeggiato la fine della guerra. “Gli spaghetti vengono un po’ bavosetti ed è un successo!”..così conclude Gualandi il suo racconto e a lui ho voluto rendere omaggio ricreando la sua ricetta, senza i bianchi dell’uovo che, come dice lui: “fanno una frittata che la puoi tagliare col coltello”.
Ma veniamo adesso alla ricetta che, come vi ho già detto, è venuta ottima, cremosa e saporita.






Ingredienti: 
1 tuorlo d’uovo a commensale
200 ml di panna fresca
150 gr di pancetta dolce
una noce di burro
80 gr di spaghetti a testa
pepe q.b
pecorino romano o groviera ( vi giuro che ci sta benissimo) q.b.

Ricetta:

Mentre mettete a cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata iniziate a preparare la salsa carbonara: in una padella mettete i 50 gr di burro e fate sciogliere a fuoco basso. Aggiungete la pancetta e lasciate cuocere nel burro finchè non diventa bello croccante ed assume un bel colorino rosato; a questo punto aggiungete la panna e lasciate ritirare per qualche minuto, deve ridursi ma rimanere comunque abbastanza liquida.

A questo punto la pasta dovrebbe essere quasi pronta per cui togliete la pancetta dal fuoco, e scolate la pasta, aggiungete i tuorli alla pancetta e mescolate finché la salsa non diventa di un bel colore giallognolo ( questo procedimento deve essere fatto a freddo, ossia fuori dal fuoco, e abbastanza velocemente altrimenti la salsa di addensa troppo). Aggiungete la salsa carbonara agli spaghetti, mescolate il tutto, condite con un po’ di pepe nero e servite con una bella grattata di formaggio a guarnire il tutto. E adesso che avete pronta la vostra carbonara di Gualandi gustatevela immaginandovi come dovranno essersi sentiti gli abitanti di Riccione quando, dopo anni di guerra e fame, dopo anni senza pranzi in famiglia e dopo tutto l’orrore che la guerra si è portata dietro, si son trovati di fronte questa bontà divina!

Per questa ricetta, in cui abbiamo parlato anche un po’ di storia, di guerra, di liberazione e di ritorno alla libertà vorrei buttare là una bellissima canzone delle Andrews Sisters che sarebbe poi diventata una delle più amate e allegre canzoni della II guerra mondiale. La musica delle Andrews Sister accompagnò in quegli anni le truppe impegnate in guerra. La canzone racconta la storia di un trombettista di Chicago che, all’apice della sua carriera, è costretto ad arruolarsi. Il suo capitano, comprendendo la sua malinconia, decide di ricreare una band appositamente per lui con la quale possa suonare e, al tempo stesso, allietare i soldati.

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