La Ciociaria, antica terra di confine tra Lazio e Campania, è un luogo ricco di storia, con una natura che si mostra ancora a tratti selvaggia e una cucina fortemente legata al territorio. Oggi voglio portarvi con me lungo un itinerario che ho studiato, e ovviamente percorso, per chi volesse passare due giorni in una piccola parte della Ciociaria. Un itinerario pensato soprattutto per i romani e i napoletani, visto che la valle del Liri si trova a circa un’ora di distanza da Roma e a un’ora e mezza da Napoli. Piccoli paesi in pietra, grotte, cucina tipica e un po’ di relax sono gli ingredienti di questo fine settimana: vi basteranno due giorni, un sabato e una domenica, per passare del tempo in luoghi inaspettati e sorprendenti. Sapete già quanto io ami le terre di confine: la loro ricchezza è nella commistione tra diverse identità, dialetti, usanze, cucine, che rendono quella fascia tra due regioni unica e irripetibile. La Ciociaria non fa eccezione.
Le grotte di Pastena
Il mio itinerario inizia dalla tortuosa statale che, uscendo dall’autostrada Roma-Napoli, all’altezza di Ceprano, porta a Pastena: macchia mediterranea, allevamenti e campi coltivati a ortaggi e legumi si susseguono prima di incontrare il piccolissimo borgo di Favaterra, arrampicato su un colle. Piccola ma suggestiva la piazza medioevale: una passeggiata tra i suoi vicoli in pietra vi prenderà non più di cinque minuti. Pochi minuti di auto e si arriva a Pastena, storico comune in provincia di Frosinone, che custodisce un tesoro di grande valore: le Grotte di Pastena. Cinque i chilometri di questa grotta, lungo il percorso del fiume Maestro, che cominciano a Pastena e terminano a Falvaterra. Solo il primo chilometro è percorribile, su varie altezze, ma è un tratto affascinante e ricco di sorprese. Per chi non conosce gli ambienti delle grotte, quella di Pastena rappresenta l’occasione per imparare ad osservare da vicino la forza della natura: qui ci sono cascate, laghi sotterranei, grandi pareti verticali, gallerie scavate dall’acqua nella roccia. Pastena è una grotta viva, che muta ogni giorno: ha una temperatura costante di 15 gradi in tutte le stagioni e l’acqua, che scorre copiosa, continua a formare stalattiti, stalagmiti, colonne, a scavare cavità e a modellare la pietra. Tutte le sale hanno un fascino particolare e ogni anno sono viste da circa 30 mila visitatori: io sono una appassionata di grotte, ne ho visitate tante in Italia e penso che queste di Pastena meritino assolutamente di essere ammirate.
Le Grotte, che sono comprese all’interno dei monti Aurunci, a un’altitudine di 165 metri sul livello del mare, sono state mappate per la prima volta da Carlo Franchetti nel 1927, ma sono note da lungo tempo alla popolazione del luogo e non solo. Erano abitate fin dai tempi del Neolitico. Risale, infatti, al 2016 la scoperta di alcune frecce utilizzate molto probabilmente nella preistoria per le attività di caccia. La visita guidata (9 euro) dura circa un’ora ed è curata dalle guide del “Consorzio Grotte di Pastena e Collepardo”, che gestiscono il sito naturalistico. Vi sapranno svelare tutte le curiosità di questi ambienti carsici, dove ognuno, con un po’ di fantasia, può scoprire e immaginare di trovarsi di fronte alle forme più strane al suo interno: dai totem indiani a dei viandanti con la barba e le bisacce sulle spalle. Il percorso è ben segnalato e illuminato e, se sarete fortunati, potrete ammirare anche la cascata che si tuffa nel lago blu nei periodi in cui nelle grotte scorre più acqua.
Con lo stesso biglietto, nel centro storico di Pastena, è possibile fare una visita al Museo della civiltà contadina e dell’ulivo. Una buona occasione per capire come si viveva in questi territori che sono lontani dalle grandi città e che si sono sempre basati su una economia agro-pastorale. Non limitatevi però al museo: Pastena ha molti angoli da scoprire, come il vecchio quartiere di Santa Maria, dove è possibile anche pensare di acquistare una delle tante piccole case in pietra in vendita.
Ristorante Villa Euchelia
Dopo la fatica della visita alle grotte, vi suggerisco di fare una pausa per il pranzo spostandovi a Castrocielo, al ristorante Villa Euchelia. Il locale appartiene al resort omonimo ed è gestito in prima persona dai titolari (lui chef, lei sommelier), che con grande vivacità si occupano delle 11 camere dell’hotel e del ristorante tipico. La cucina, curata dallo storico ed esperto Pietro Miele, è di stampo tradizionale ma lievemente rivisitata e alleggerita. Evidente l’attenzione alla materia prima, che laddove possibile proviene dal territorio e pesca soprattutto nel vasto patrimonio di carni e verdure locali: dal peperone cornetto di Pontecorvo ai broccoletti di Roccasecca, al tartufo di Colle San Magno o di Campoli al caciocavallo di Agnone, alla stracciata di Capracotta e al pecorino di Picinisco. Piacevoli le piccole attenzioni rivolte al cliente: dal benvenuto con muffin salati alle focacce e schiacciate fatte in casa con lievito madre (ad esclusione del pane casereccio, fornito da un panificio locale con forno a legna), fino alle chiacchiere a fine pasto (durante il Carnevale). Il menu è vario e ha un buon rapporto qualità-prezzo, che diventa ottimo quando si guarda la carta dei vini, dove l’Italia e soprattutto il Lazio sono ben rappresentati, con qualche escursione in Francia e prezzi talvolta al di sotto della media. Ho assaggiato un ottimo tortino di baccalà e patate con ceci e salsa di peperone di Pontecorvo (10 euro), dei ravioli farciti con burrata e accompagnati da una crema di broccoletti di Roccasecca (12 euro) e due secondi tipici: un goulash di cinghiale con polenta di grano saraceno (mi attendevo un sugo piccante ma invece aveva una tendenza dolce) e una buona pollastra ripiena, fatta con la ricetta della tradizione servita con saporite patate al parmigiano e broccoletti (entrambi i piatti a 12 euro). Tra i dolci: una degustazione di dessert (preparati dalla figlia dei gestori, che ha studiato pasticceria alla scuola “Alma”) nella quale spicca un’ottima tartelletta di pasta frolla con orange curd e meringa all’italiana (12 euro per due persone). E’ previsto anche un valido menu degustazione a 30 euro, un menu vegetariano e uno senza glutine.
Dopo pranzo ci dirigiamo verso il nostro appuntamento con il relax: Pontecorvo è una cittadina di origini longobarde della Valle del fiume Liri, divisa in due dal fiume e collegata da un ponte antico che al tramonto regala scorci da cartolina. Da visitare il castello e le fortificazioni del centro storico, ma non dimenticate di acquistare qui il peperone cornetto, un ortaggio Dop che viene coltivato su tutto il territorio del comune e che è famoso per la sua facile digeribilità, perché dotato di una buccia molto sottile. Nel periodo di Carnevale, non perdete la sfilata dei carri allegorici e le maschere. Il luogo in cui vi suggerisco di soggiornare è la Tenuta Esdra, appena fuori Pontecorvo: una agri Spa gestita da una giovane imprenditrice, Erika Votta, che ha acquistato e ristrutturato una villa patrizia di fine Settecento. Ora la villa ha una nuova vita e vanta un resort con 11 camere, una Spa dalla meravigliosa vista sui Monti Ausoni, un piccolo querceto, un orto biologico, un allevamento e un ristorante guidato da un giovanissimo chef di cui, a mio parere, sentiremo parlare. Decidere di investire in una zona non proprio turistica è una scelta coraggiosa, che a Tenuta Esdra ha dato lavoro a 12 persone, tutte altamente preparate (menzione d’onore per il sommelier Federico Massimi). Tranquillità è la parola d’ordine in questo luogo: una colazione con torte fatte in casa, una sauna e un tuffo nelle acque tiepide della Spa in inverno o nella piscina all’aperto in estate, con la corona dei monti attorno, una passeggiata nel boschetto e una cena preparata dallo chef Donato De Filippis (cliccate qui per leggere la recensione completa del ristorante e vedere i bei piatti dello chef De Filippis) vi lasceranno un bellissimo ricordo di questo fine settimana. Tanti i pacchetti relax e le offerte disponibili: la titolare è eclettica e pensa sempre a organizzare eventi e offrire nuove esperienze alla clientela. Ma anche una semplice cena nel ristorante è già un valido motivo per visitare Tenuta Esdra.
Sapete che sono sempre alla ricerca di prodotti di eccellenza e che, ovunque vado, amo curiosare tra i prodotti del territorio. E proprio curiosando ho scoperto che, tra i fornitori della Tenuta, meritano una citazione Roberto Cedrone e Giulio Marrone: il primo è il titolare de La bottega del macellaio di Casalvieri e il secondo della Cooperativa vitivinicola Terra delle Ginestre. Cedrone è un esperto salumaio e non posso che condividere appieno la sua filosofia: acquista le carni di piccolissimi allevatori (oltre 20 quelli che gli conferiscono le carni, tutti nel raggio di 20 chilometri) e, per ogni tipologia, si ‘inventa’ un salume che la valorizzi al massimo. Nascono così prodotti artigianali al 100%, ovviamente in piccolissime quantità, dal sapore talvolta sorprendente: dal salame di vitello alla mortadella di coniglio, dal culatello e prosciutto di suino nero casertano al torrone di mortadella con fichi secchi, mandorle e cioccolato fondente (strepitoso), passando per il prosciutto di angus, il violino di capra, la carne ‘in scatola’ che nulla ha a che fare con le carni in scatola che potete immaginare. Nei suoi prodotti non ci sono nitrati, nitriti, salnitri: solo sale, e l’addensante è semplicemente farina di lupini.
Il secondo produttore è Giulio Marrone, ex perito chimico che, inizialmente astemio, si è poi tanto appassionato al vino al punto da fondare una cooperativa assieme a sei amici. Il percorso di Terra delle Ginestre, cominciato 18 anni fa nelle campagne di Spigno Saturnia (provincia di Latina), prosegue ancora oggi nel segno del recupero e della valorizzazione dei vitigni più antichi del Lazio come il Metolano, il Bellone e l’Abbuoto. Un percorso a ritroso alla ricerca delle origini, che ha dato vita a diversi vini che puntano al rispetto della naturalità sia nei metodi di coltivazione, sia nella lavorazione in cantina. Assieme al proprietario ho potuto assaggiare due bianchi (Letizia e Lentisco) e un rosso (Il generale). Tutti prodotti di grande immediatezza e bevibilità, che il ristorante ha scelto di inserire nella propria carta vini. Una produzione di nicchia, circa 15mila bottiglie, per un prodotto che punta tutto sulla territorialità. E che dal 2013 propone anche delle etichette senza l’uso di solfiti aggiunti.
La domenica iniziamo il nostro itinerario visitando Pico, a nord dei Monti Aurunci: un piccolo borgo in pietra dominato dal Castello Farnese, di origini medioevali (anno mille). Dal Castello la vista si allunga su tutta la valle: sono arrivata poco prima del tramonto, con una luce calda, arancione, intensa e davvero suggestiva. I tetti in ardesia e le pareti in pietra si illuminano di ombre e di colori e sembrano prendere vita. Vale davvero la pena inerpicarsi per il paese per cogliere i riflessi degli ultimi raggi di sole su tetti e campanili. A pochi passi dal castello c’è la chiesa di Sant’Antonino martire. Il piatto tipico di Pico è il “pano sotto”, una zuppa di pane casereccio raffermo condito con diverse verdure, che purtroppo non sono riuscita ad assaggiare: anche per questo tornerò presto in Ciociaria. Pico è famosa anche per aver dato i natali a Tommaso Landolfi (1909-1979), che nel Novecento diede lustro a questo piccolo paese con il suo lavoro di poeta e letterato.
Chiudiamo questo itinerario con un piccolo ‘sconfinamento’ in provincia di Latina, per conoscere e passeggiare tra le vie strette e le arcate di Campo di Mele, ma anche per una pausa pranzo davvero stuzzicante. Il paese è situato su un colle a 650 metri di altezza, a una manciata di chilometri da Pico, ed è circondato da una cinta fortificata di mura medioevali con dodici torri, restaurate negli Anni Novanta. E’ un paese piccolissimo ma davvero suggestivo: anche qui il momento migliore è quando il sole entra nei vicoli illuminando pietre e tetti. Da visitare la Chiesa di San Michele Arcangelo e il Monastero di Sant’Onofrio (risalente all’undicesimo secolo). Obbligatoria una sosta sulla piazza Municipio da cui si gode un bel panorama sulla valle sottostante: al tramonto lo scenario è da cartolina. Una piccola curiosità: sarà l’aria salubre, ma il paese è famoso per la longevità dei suoi abitanti, e sono diversi gli studi scientifici che vengono effettuati sulla popolazione di Campo di Mele per carpirne i segreti.
La pausa pranzo di cui vi parlavo è quella al ristorante Lo Stuzzichino, molto noto in zona per la qualità delle materie prime e la cucina tradizionale e ben curata. Sempre pieno, e vi conviene quindi prenotare, il ristorante gestito da Roberto e Francesco fa una cucina che pesca nella tradizione laziale più vera, utilizzando ingredienti locali di prima scelta, dai salumi alle verdure alle carni. Pasta, gnocchi e pane fatti in casa completano una offerta che ha nel rapporto qualità-prezzo e nell’abbondanza delle porzioni il suo punto di forza. Ho provato l’antipasto della casa (10 euro), con zuppa di cicerchie, zuppa di fagioli e scarola, bruschette, ma soprattutto ottimi salumi a partire dal prosciutto di Bassiano, e poi salami di vario tipo, ricotta, pecorini, frittelle di pane, frittatine e sformati. Poi gnocchi al ragù di cinghiale (8 euro) e ravioli ripieni di brasato con castagne e verdure (9 euro): ottimi entrambi, gnocchi e pasta all’uovo fatti a mano, ben conditi e anche ben presentati: abbiamo chiesto due mezze porzioni e ce le hanno preparate senza alcun problema. Le due mezze porzioni erano comunque abbondanti e, sul conto, le abbiamo pagate 6 euro l’una. Come secondi, abbiamo provato lo spezzato di capra alla Campomelana (10 euro), le costatelle di agnello alla brace (12 euro) e i broccoletti di Roccasecca ripassati. Anche qui, tutto buono, porzioni abbondanti, perfetta la cottura dell’agnello, succoso lo spezzatino di capra. L’unica critica devo farla al dolce, una bavarese alle castagne con crema di cachi (5 euro): assolutamente insapore, a occhi chiusi non avrei mai detto che si trattasse di castagne e cachi. Rimane comunque un indirizzo sicuro e una trattoria ‘vecchio stile’ consigliatissima. Ora non vi resta, sazi e rilassati, che tornare a casa.