Itinerari di viaggio – In Friuli Venezia Giulia, alle origini del Prosecco

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Trieste tramonto
San Daniele - casa del prosciutto
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Cividale borgo medioevale
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Cividale Tempio Longobardo
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C’è un segreto dietro le bollicine più amate e più imitate d’Italia, quelle del Prosecco. Sono in molti a pensare che questo vino sia nato in Veneto, perché la regione ne è la maggiore produttrice. Però, le origini di questa denominazione, che ha superato quota 400 milioni di bottiglie nel 2015, vanno cercate da un’altra parte: nel meraviglioso Friuli Venezia Giulia e, in particolare, nel territorio del Carso, nei dintorni di Trieste. L’uva glera, che nel Carso si coltivava da secoli, sarebbe arrivata intorno a metà del Settecento nelle colline di Conegliano e Valdobbiadene, dove un secolo più tardi la maestria degli spumantieri locali ha dato a quel vino la veste elegante che conosciamo oggi. Oggi il Prosecco Doc è una denominazione che interessa Veneto e Friuli Venezia Giulia, con ben nove province coinvolte in un maxi distretto che sta trainando l’economia italiana del vino. Ma, al di là del vino, quello che mi interessava è fare una sorta di viaggio nel tempo, certamente enogastronomico, ma anche culturale, alla ricerca delle origini del Prosecco. Un itinerario dai panorami e dai colori mozzafiato, in un territorio tutto da scoprire. Un ringraziamento doveroso va al Consorzio del Prosecco Doc che mi ha aiutata a costruire un viaggio così particolare e diverso dai sentieri consueti.
Trieste tramonto

Trieste Prefettura
Trieste Molo S.Giusto
Trieste statua Joyce
Trieste, il Municipio
Trieste fontana Nettuno
Trieste Canal Grande

Ovvio punto di partenza è Trieste: città dal sapore mitteleuropeo, severa e cosmopolita, crocevia tra la cultura austro-ungarica e quella slava, che conserva appieno le caratteristiche proprie delle terre di confine. L’imponente piazza Unità d’Italia, che guarda a ovest, e offre tramonti da non perdere, vale da sola una visita nel capoluogo giuliano: è la seconda piazza sul mare più grande d’Europa e i palazzi che le fanno da cornice sono imponenti, a partire dal Municipio e dal palazzo della Giunta regionale. Pensare che questo luogo sia stato per tanto tempo il vero confine tra mondo occidentale e mondo orientale rende tutto più interessante e coinvolgente. Imperdibile il castello di Miramare, residenza dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo e della moglie Carlotta del Belgio: io l’ho visitato due volte, ma non in questo viaggio, e vi voglio lasciare la sorpresa di scoprirne da soli la struggente bellezza. Trieste nasconde anche luoghi dove il ‘confine’ si vede chiaramente come la Balcan town. E secondo me Trieste è una città ‘da passeggio’, specialmente nei vicoli che guardano ora la collina ora il mare, scoprendo ponti sui canali, basiliche (bella la Cattedrale di San Giorgio), statue in bronzo come quella di Joyce o di Pasolini, fontane e palazzi decorati come merletti. Ritagliatevi anche un po’ di tempo per una gita sulla tranvia Opicina, che dal centro di Trieste porta sull’altopiano del Carso fino a Villa Opicina: dall’Obelisco eretto nel 1830 in onore di Francesco Giuseppe parte la Strada Napoleonica, che gode un panorama unico sul porto di Trieste.

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Non posso non consigliarvi qualche posticino dove mangiare bene, soprattutto perché ho avuto una guida d’eccezione: Silvio Rebula, triestino doc, con un’esperienza trentennale nel settore del turismo, colto, poliedrico e pragmatico. La cucina tradizionale triestina è prevalentemente di carne, anche se soprattutto in estate si prepara soprattutto il pesce nei locali che sono cresciuti come funghi attorno al lungomare e che sono, per lo più, molto turistici. Imperdibile, per chi voglia davvero entrare nell’animo triestino, il Buffet da Pepi, in pieno centro: qui si possono gustare tutte le parti del maiale, come si faceva anticamente. Prosciutti al forno, testina, lingua, capocollo, wurstel, coppa, cotechini rigorosamente selezionati dai proprietari di questo locale storico triestino, che serve gustosi piatti già dalle prime ore del mattino, perché quando a Trieste è freddo e soffia la bora i veri triestini si danno la carica con un panino caldo imbottito di carne di maiale. Poi vi consiglio Da Mario (Via di Campo Marzio, 2), una trattoria di quelle vere, con panche in legno e carta paglia sul tavolo: accanto a voi non ci saranno turisti ma triestini, e tra loro parleranno in un dialetto incomprensibile. Il proprietario, Mario, è molto anziano ma ancora serve ai tavoli e il figlio vi reciterà il menù così velocemente da fare fatica a stargli dietro: voi non preoccupatevi e ordinate l’antipasto misto di pesce (squisito il baccalà mantecato), i sardoni fritti, il fritto misto, il risotto alla pescatora e il contorno tipico del luogo, una insalata di fagioli e cipolla. Il conto è leggerissimo. Per un caffè con brioche, biscotti, pasticcini (e qui la tradizione dolciaria si richiama ancora una volta all’Austria), provate il tradizionale Caffè degli Specchi in piazza Unità d’Italia, il San Marco o il Tommaseo. Un consiglio rapido su dove dormire a Trieste: io ho scelto l’hotel Vis a Vis, a due passi da piazza Unità d’Italia: modernissimo, con bagni meravigliosi, è di proprietà del vicino hotel Duca degli Abruzzi, dove farete una colazione romantica davanti alla piazza e al mare.

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Dopo questo excursus torniamo al Prosecco. Proprio a pochi chilometri da Trieste c’è il luogo che ha dato ufficialmente il nome alla Doc nel 2009 e che ha consentito la registrazione e la protezione a livello europeo. Il piccolo borgo di Prosecco (Proseco in dialetto triestino e Prosek in sloveno), si trova sull’altopiano del Carso. Qui vigneti di glera sono pochi, mentre nel 1950 queste colline erano disseminate di viti, con più di mille ettari. Se volete, potete raggiungere Prosecco dalla Strada Napoleonica di cui ho parlato in precedenza, in un percorso lungo 4 chilometri con vedute di eccezionale bellezza. Sulle colline sopra Trieste, a qualche centinaio di metri sul livello del mare, ho conosciuto uno degli orgogliosi viticoltori dell’Altopiano del Carso. Nella località di Pišcanci (Sottomonte) lavora Andrej Bole, cognome di chiara origine slovena. I suoi antenati facevano il vino da due secoli. Andrej è alla sesta generazione e cura da solo, con l’unico aiuto del padre, i suoi tre ettari di vigneto su terrazzamenti ripidi, che protegge con recinti e muri a secco dagli animali selvatici. Produce circa 12 mila bottiglie, tra vino rosso (Terrano) e bianco (Glera e Vitovska) da cui ottiene l’omonimo bianco. E per la festa di San Martino, a dicembre, rievoca i tempi che furono, producendo il rarissimo “Prosekar”, antico vino frizzante e dolciastro (un blend di uve vitovska, malvasia e glera), rifermentato in bottiglia, che accompagna nelle feste le tavole delle famiglie, in passato apprezzato dai nobili.

Collavini
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L’area nord orientale del Friuli è terra di grandi vini bianchi. A Corno di Rosazzo, in provincia di Udine, ai confini con il Collio, la storica azienda Eugenio Collavini rappresenta una tappa obbligata. Manlio Collavini, con i figli Giovanni, Luigi ed Eugenio, conducono un’azienda da 150 ettari. Proprietari del castello Zucco-Cuccanea (XVI secolo), producono un’ottima Ribolla Gialla brut spumante, un elegante e particolare Sauvignon, un Collio bianco pluripremiato (Broy), il raro Pignolo (vino rosso da grande invecchiamento) ma anche Prosecco Doc, nonostante non sia considerato la massima rappresentazione del territorio (lo stesso Manlio non fa mistero di non amarlo più di tanto e di preferire vitigni autoctoni). Una curiosità: il simbolo della cantina, come potete vedere nel tappo che trovate nelle foto, è un cane bassotto: è un omaggio alla cagnolina Ribolla, che Manlio ha amato per tutta la vita, e che ora continua a vivere in ogni bottiglia Collavini stappata nel mondo.

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Se volete provare la sontuosa Ribolla di Collavini (ma anche il Prosecco, che resta comunque tra i vini più richiesti), potete farlo anche nell’osteria di famiglia: l’Osteria della Ribolla, dove un giovane chef prepara quotidianamente con ottime materie prime pochi piatti selezionati. Nel menu: mazzancolle alla catalana (9 euro), tartare di tonno al mojito (13 euro), sarde in saor (8 euro), tartare di gamberi rosa agli agrumi e carpaccio di capasanta (10 euro). Inoltre: antipasti di carne come la tartare al coltello (10 euro) o il carpaccio di chianina (8 euro); tra i primi piatti: bigoli all’amatriciana di tonno, risotto con gamberi, spada e zucchine e poi ravioli neri ai crostacei (tutti a 10 euro); i secondi piatti sono molto semplici e spaziano dalla bistecca di tonno (18 euro) fino a quella di fassona (13 euro). La cucina è senza fronzoli, con piatti espressi adatti a una cena informale tra amici. Vi consiglio questo locale se amate pranzare in cantina.

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A 15 chilometri da Corno di Rosazzo, non perdete Cividale del Friuli, un piccolissimo comune fondato da Giulio Cesare con il nome di Forum Iulii, che ha dato il nome all’intera regione: il Friuli. Cividale è una delle poche città italiane ed europee che può vantare testimonianze dell’epoca Longobarda (VIII secolo), ed è città capofila del progetto “Longobardi in Italia, i luoghi del potere”, inserito come progetto d’insieme nella lista del patrimonio dell’umanità Unesco. I gioielli di Cividale si trovano soprattutto nell’area della Gastaldaga, l’antico quartiere medioevale. Qui troviamo l’Oratorio di Santa Maria in Valle, detto anche Tempietto longobardo, e il complesso episcopale. Parcheggiate appena fuori le mura e attraversate a piedi il ponte del Diavolo, che passa sopra il Natisone, un fiume dalle acque cristalline (in estate preso d’assalto per rinfrescarsi) su cui si affacciano alcune delle più belle dimore nobiliari del luogo. Poi passeggiate per le vie dal chiaro impianto medioevale e rinascimentale e non perdete, appunto, il Tempietto Longobardo, la più antica testimonianza architettonica di epoca longobarda in Europa. D’obbligo una tappa gastronomica alla pasticceria Cattarossi (Corso Paolino d’Aquileia, 10), per assaggiare una fetta di “gubana”, il classico dolce friulano (un lievitato con ripieno di nocciole e noci tritate, uvetta), o sgranocchiare gli “strucchi” (dolci fritti con frutta secca e impastati con la grappa italiana).

San Daniele - casa del prosciutto

Non si può passare per il Friuli Venezia Giulia e non fare una tappa al paese di San Daniele (terza città del Friuli per importanza nel Medioevo dopo Aquileia e Cividale) dove si trova uno dei prodotti di eccellenza regionali ma anche italiani: il prosciutto San Daniele. I 31 produttori fanno un prosciutto la cui fase di stagionatura dura almeno 13 mesi, che non utilizza conservanti, ma resiste al tempo grazie al sale e a una condizione ottimale di temperatura, umidità e ventilazione. Si riconosce dallo zampino, mantenuto intatto a differenza di altri prosciutti e la materia prima arriva solo da allevamenti italiani. Per conoscerlo meglio e degustarlo, ma anche per vedere le fasi di produzione e stagionatura, vi consiglio un indirizzo sicuro: la Casa del Prosciutto Alberti. E a giugno, San Daniele celebra il suo prodotto principe con “Aria di festa”, una bellissima manifestazione alla quale vi consiglio di dedicare un fine settimana. Tra l’altro, San Daniele non ha solo prosciutto: una citazione è d’obbligo per le ville settecentesche, di proprietà dei patriarchi di Aquileia e la “Biblioteca guarneriana” che contiene codici miniati unici al mondo.

Ragogna - Casa rossa
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A pochi chilometri da San Daniele, nel paese di Ragogna, vi consiglio un agriturismo con ristorante dove vale la pena sia soggiornare sia fermarsi per una cena. Alessandra ha lasciato il suo lavoro nella finanza per una vita più a contatto con la natura e ha aperto l’agriturismo Casa Rossa ai Colli. La struttura ha 8 camere, di cui 3 suite, con travi a vista e una prima colazione degna di nota, servita in una grande cucina dal calore rustico, mentre il ristorante è gestito dalla cooperativa ‘Par Plasè’ (che significa per piacere): lo chef Manuel Marchetti prepara piatti semplici e molto intelligenti, partendo da materie prime locali e reinterpretandole con un tocco creativo. Ho parlato di una cucina intelligente perché uno staff non numeroso porta in tavola piatti ben equilibrati e ben presentati, dosando sapientemente le forze e i tempi di preparazione. Tra antipasti vince la qualità di prodotti di eccellenza come il prosciutto San Daniele (7 euro), gli affettati di una azienda agricola locale (7 euro), formaggi tipici (7 euro) e insalate fredde di cereali. Tra i primi piatti, tutti a 8 euro, molto buoni gli gnocchi di melanzane al sugo di pomodoro e timo, l’insalata fredda di orzo e zuppa di pomodoro alla lavanda e le crespelle al ragù di coniglio. Tra i piatti tipici l’immancabile “frico” friulano di patate con polenta (9 euro), i bocconcini di coniglio (11 euro) e i formaggi alla piastra con la polenta (9 euro). Semplici i dolci: da provare un classico dessert regionale come le pesche al vino e gelato al fior di latte (4 euro). D’estate si cena in giardino, in un prato verde, accarezzati dalla brezza e a lume di candela.

Casarsa La Delizia
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A Casarsa si produce tanto Prosecco: Viticoltori Friulani La Delizia è una delle più grandi cantine cooperative del Friuli. Nata nel 1931, oggi è una realtà in cui 450 soci coltivano 2 mila ettari vigneto. Qui il Prosecco rappresenta circa un terzo delle 20 milioni di bottiglie prodotte. Il direttore, Pietro Biscontin, mi ha fatto scoprire cosa significhi guidare una realtà abituata a muoversi sui grandi numeri e con tante tipologie: per me, abituata a cantine di piccola-media dimensione, la cantina “La Delizia” è stata una vera sorpresa. Ogni cosa – dalla dimensione dei vigneti alle zone di produzione, affinamento, stoccaggio, imbottigliamento – è fatta su larga scala. E tra le cose che più mi hanno colpita c’è un vigneto sperimentale a corpo unico da 110 ettari: una estensione impressionante, tutta in pianura, dove le vigne si susseguono a perdita d’occhio, situato a pochi chilometri dal paese che diede i natali a Pier Paolo Pasolini. All’interno del vigneto sono custodite anche importanti rarità vivaistiche di tutta la regione Friuli Venezia Giulia. Tra i vini, alcuni dei quali si trovano facilmente anche nei grandi supermercati, mi sono particolarmente piaciuti quelli della linea “Naonis”: Jader, una cuvée brut ottenuta da una attenta selezione delle uve migliori; il Moscato dolce, leggero e fragrante e la Ribolla gialla spumante.

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Una delle aziende vitivinicole che più mi è piaciuta è San Simone, guidata da Anna Brisotto, assieme a Chiara e Antonio. Tre fratelli, che avevano intrapreso altre vite, altri percorsi, e che hanno deciso di dedicarsi interamente all’azienda nel nome dei propri genitori, proseguendo il lavoro iniziato dal bisnonno Gino, proseguito dal nonno Antonio e dal loro papà Gino e dalla loro madre Liviana. La cantina prende il nome dalla chiesa del XIV secolo dedicata a San Simone nel comune di Prata, in provincia di Pordenone. Oggi si trova a Porcia, poco distante, ed è una delle più interessanti realtà del Prosecco Doc, che qui venne spumantizzato nel 1984, tra i primi in Friuli Venezia Giulia. E’ una cantina che segue i concetti di responsabilità sociale e lo fa attraverso il “progetto verde”, un insieme di azioni e linee guida che ispirano la produzione, dal rispetto dell’ambiente (assenza di concimi chimici) alla tutela di flora e fauna fino al risparmio energetico. Bellissime le bottiglie colorate che Anna ha ‘inventato’ per caso e che oggi sono prodotte in ogni colore, a seconda degli eventi che rappresentano: l’ultima bottiglie è quella rosa, prodotta per sostenere la ricerca sul cancro al seno.

Pordenone Municipio
Pordenone Corso Vittorio Emanuele
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Dalla Cantina San Simone vi consiglio di fare un passaggio nella vicina Pordenone, che vale una visita per l’impianto altomedioevale del suo centro storico. L’antica città di Portus Naonis va visitata partendo dall’antica contrada maggiore, in cui si affacciano palazzi di epoca medioevale e rinascimentale. Tra questi, il Palazzo Comunale, con i suoi pinnacoli e la torre dell’orologio, il Palazzo Ricchieri (XIII secolo) ora sede del Museo d’arte, il Palazzo De Rubeis, il Palazzo Gregoris in gran parte affrescati con la storia della città e realizzati dalle ricche famiglie veneziane. In questa città, ci sono ben nove edifici tutelati dall’Istituto regionale Ville venete, ma Pordenone è anche una interessante meta per gli amanti dell’archeologia industriale, visto che nel suo territorio ci sono le rovine di tre grandi industrie del diciannovesimo secolo: il cotonificio “Amman-Wepfer” di Bordo Meduna, la tessitura meccanica di “Rorai grande” e la “Filatura di Torre”. In città, si svolgono numerose iniziative culturali tra cui il “Dedica Festival”, le “Giornate del cinema muto” e soprattutto “Pordenone Legge”, un festival letterario di rilevanza nazionale.

Lorenzonetto e i Fasolari
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Marco Lorenzonetto è un infaticabile. Il suo spirito positivo, pratico, entusiasta e concreto rappresenta quello di molti friulani, che conoscono il significato della parola lavoro ma sanno anche il valore dell’amicizia, di una serata trascorsa insieme e chiacchierare e divertirsi. A un chilometro dalle famose spiagge di Lignano Sabbiadoro, la Cantina Lorenzonetto si muove tra i vini della Doc Latisana e della Doc Prosecco. Al mio arrivo nel wine shop ho trovato una bellissima sorpresa: un plateau di fasolari dell’Alto Adriatico, un mollusco raro – la cui provenienza è completamente tracciata e appartiene al settore della pesca ecosostenibile – che si pesca esclusivamente tra Chioggia e Grado. Ora, si dà il caso che io adori il pesce e i frutti di mare, soprattutto se crudi, freddi, serviti sul ghiaccio e abbinati ai vini della tradizione locale, in questo caso Rosé di Raboso e Pinot grigio, Prosecco Doc e Ribolla gialla. I fasolari sono molluschi, rari, pregiati, dalle carni sode e dal sapore sapido e mangiarli appena aperti è una esperienza gustativa unica: devo ammettere l’invidia per la facilità con cui i pescatori, aderenti alla cooperativa ‘I Fasolari’ aprivano le valve… io non ne sarei mai capace.

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Per una pausa davvero gourmet, dirigetevi a Sacile, cittadina medioevale che sorge su due isole sul fiume Livenza. Passeggiando tra i ponticelli ombreggiati da alberi di salice piangenti, ammirate il duomo di San Nicolò, in stile rinascimentale; il seicentesco oratorio di San Giuseppe, ma soprattutto i palazzi che si specchiano nelle acque del fiume, costruiti quasi tutti da ricche famiglie veneziane. Qui si trova il ristorante (che è anche locanda) Il Pedrocchino, costruito a immagine e somiglianza del proprietario Piero, un profondo conoscitore di Champagne. Lasciatevi guidare da lui nella scelta dei vini mentre, al tavolo, bisogna accettare subito l’idea che non esiste un menu e che i piatti vengono letti da Donatella, moglie di Piero. Il trattamento è da ristorante stellato, con pane e focacce fatti in casa, appetizer, pre dessert e petit four offerti dalla casa. I prezzi sono adeguati alla qualità dell’offerta, con costi medio alti. Buonissimo il carpaccio di ricciola con verdure croccanti e frutto della passione, come anche le capesante scottate e l’insalata di granceola, delizioso il risotto con crema di peperoni, anguilla, panna acida e clorofilla di prezzemolo e scorfano al forno. Se volete, potete leggere una recensione più dettagliata de Il Pedrocchino qui, nella apposita sezione del blog. In ogni caso ve lo consiglio di cuore, purché non abbiate problemi di budget.

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