Ogni regione italiana ha il suo “personaggio casaro”, un maestro del formaggio che ha puntato tanto sulla qualità dei prodotti che realizza quanto sulla comunicazione di valori agricoli tramite la sua stessa figura, il suo “personaggio”, formato da un po’ di ego, tanta ruralità, cultura della tradizione, tenacia e un pizzico di rusticità. Poi c’è chi ci aggiunge una punta di religiosità (come faceva in Abruzzo quella meraviglia d’uomo che era Gregorio Rotolo), chi una spolverata di contropelo burbero, e via via l’unicità del personaggio si definisce. Nelle Marche questa figura si manifesta nella forma di Vittorio Beltrami, creatore di pecorini di fossa e caprini da ben 40 anni. La sua azienda si trova a Cartoceto, un paesino dell’interno pesarese che vive quasi unicamente della produzione di olio, e dei suoi formaggi. Ogni anno, nell’ultima domenica di novembre, Vittorio Beltrami apre le fosse in cui il pecorino è rimasto a riposare per mesi, trasformando questo rituale in un evento per appassionati di cultura gastronomica.
Come si produce il vero pecorino di fossa
La famiglia Beltrami inizia la produzione del pecorino di fossa in estate. Le forme vengono fatte stagionare per 60 giorni, in modo da avere una crosta sufficientemente dura, poi vengono preparate per l’infossamento: si ungono con l’olio extra vergine locale per non farle attaccare tra loro durante i mesi di stagionatura, poi vengono inserite in sacche di cotone e calate nelle fosse interrate scavate nel tufo, alla cui base vengono messi paglia e fieno. Sono fosse molto profonde, tra i 3 e 4 metri. Le sacche vengono poi coperte con erbe aromatiche varie: ogni produttore ha un mix segreto che conferisce unicità al formaggio. Beltrami usa ben 52 tipi di erbe e foglie del territorio, raccolte sugli Appennini marchigiani. Le fosse vengono poi chiuse e sigillate col calcestruzzo per non far entrare l’aria. Il formaggio resta chiuso così ad affinarsi per circa 3 mesi (100 giorni), fino all’apertura nell’ultima domenica di novembre. In quel giorno la copertura cementata della botola viene rotta con un martello, la botola in legno aperta e i sacchi estratti. Le fosse usate da Beltrami sono in realtà due neviere risalenti al 1600 (i frigoriferi dell’epoca che servivano per conservare cibo, neve e ghiaccio) ritrovate restaurando un antico frantoio acquistato al centro del paese.
Dopo l’apertura, l’aria nella piccola grotta in cui si trovano le neviere diventa velocemente pesante, e l’odore quasi da giramento di testa, perché all’improvviso tutte le muffe che si sono create nelle fosse vengono a contatto con l’ossigeno e lo consumano. Cadere nella buca appena aperta può essere pericoloso a causa delle esalazioni, infatti chi vi scende per prendere i formaggi indossa tuta di protezione e maschera respiratoria, come si fa per non contagiarsi coi virus. Vittorio Beltrami invece usa ancora il vecchio metodo: non scende sotto ma semplicemente si affaccia dal bordo della fossa e con un lungo uncino in ferro (il rampino) aggancia i sacchi e li tira su. Lo strato bianco di muffa polverosa che si è formato nei mesi di stagionatura viene chiamato “nevicata”: è il famoso penicillium, da cui si ricava la penicillina usata come antibiotico; la muffa ha ricoperto tutto, depositandosi sia sulle pareti della fossa che sulle sacche e sulle erbe. Il profumo all’interno della grotta a questo punto è potentissimo, inebriante, stordente e godurioso. Dopo l’estrazione si procede subito all’assaggio per vedere se tutto è andato come di dovere. Il pecorino è pronto e già molto buono, ma è giovane, nel senso che ha bisogno di altro tempo per ossigenarsi ed evolvere ancora aromaticamente e gustativamente.
Come assistere all’apertura delle fosse
Quest’anno l’apertura delle fosse della famiglia Beltrami avverrà domenica 27 novembre. Dalle ore 11:00 alle 18.30 si può assistere al rituale, fare un piccola visita dell’antico frantoio e delle fosse, e degustare il pecorino appena estratto con focaccia e vino. Basta prenotarsi anticipatamente tramite il loro sito.
Storia e caratteristiche del formaggio di fossa
La realizzazione di formaggi di fossa è una tradizione contadina estremamente antica. I primi documenti che ne parlano sono della fine del ‘400 ma si producevano sicuramente già da prima. Nel periodo estivo la quantità di cibo disponibile era maggiore ma il caldo ne accelerava il deterioramento così, per garantirne la conservazione, i formaggi venivano chiusi in delle fosse e accumulati come scorta per l’inverno. In passato il formaggio era un’importante fonte di calorie e sostentamento durante il periodo freddo. A fine novembre, cioè all’inizio dell’inverno, venivano tirati fuori per iniziare a consumarli. La tradizione contadina vuole che l’apertura delle fosse venga fatta il 25 novembre, giorno di Santa Caterina, che segna la fine dei lavori campestri e l’arrivo del freddo.
Oltre alla conservazione c’erano anche altre motivazioni dietro l’infossamento delle scorte alimentari, come ad esempio la necessità di preservale in caso di epidemia o carestia, o di nasconderle dalle razzie dei soldati di passaggio durante guerre e assedi. Quella che inizialmente era una necessità, divenne una virtù, quando si scoprì che, con l’infossamento, il formaggio ne guadagnava in gusto. Si iniziarono così a realizzare fosse apposite per stagionare i formaggi, nella roccia arenaria e nel tufo, proprio per via della friabilità e facilità di scavo di questi materiali. Queste fosse erano grandi e di uso comunitario, non più individuali e nascoste nelle case dei singoli contadini. Per isolare il tufo, le pareti venivano ricoperte con uno strato di paglia intrecciata a canne, e i formaggi riposti in sacchetti numerati per identificarne i proprietari. La zona di produzione del formaggio di fossa si estende da Talamello (provincia di Rimini) fino alla valle del Metauro (provincia di Pesaro), cioè in quella che in passato era la famosa zona dei Malatesta, il Montefeltro.
Il formaggio di fossa ha un profumo intenso, erbaceo, che richiama il sottobosco, l’odore del legno, del muschio, del fieno e dei funghi. La pasta è friabile e il sapore passa dal dolce appena lo si mette in bocca, al piccante intenso, a tratti amarognolo, man mano che lo si mangia. Il colore varia dal bianco sporco al nocciola chiaro, e la forma è tonda nella circonferenza ma distorta nei due lati piatti, perché i formaggi, durante la maturazione, essendo ammassati uno sull’altro si schiacciano e si deformano.
Come conservare e servire il formaggio di fossa
A casa il formaggio di fossa si conserva in frigo avvolto in un canovaccio di cotone. Oltre ad essere mangiato in purezza a temperatura ambiente per apprezzarne i profumi e sapori intensi ricevuti dal tufo e dalle erbe, il pecorino di fossa è ottimo anche come antipasto o dessert accompagnato con miele e frutta. Il massimo lo dà come formaggio da meditazione, dopo cena in abbinamento ad un bicchiere di whisky, Sauternes, cognac o con una birra barley wine. Ovviamente si presta anche a tantissime ricette come ravioli, risotti e gnocchi, o tagliato a scaglie sottili per arricchire piatti a base di carne come ad esempio questo carpaccio.
L’importante per avere un prodotto di qualità è acquistarlo da produttori artigianali o da loro rivenditori, perché la maggior parte del fossa in commercio, data la sua fama, è ormai prodotta da grandi caseifici industriali con tecniche che non sono affatto quelle tradizionali. Quello che trovate nei supermercati non ha nulla a che vedere col fossa originale, non ha i suoi profumi né il suo sapore. Evitatelo.
La famiglia Beltrami e i loro formaggi
La fama della famiglia Beltrami, oltre alla produzione di fossa, è dovuta a quella dei caprini, e al loro essere raffinati affinatori oltre che produttori. Ne realizzano di stagionati e di freschi, aromatizzati con fiori, foglie, vinacce, petali di rosa, violette, erbe aromatiche, foglie di noce e di fico, borragine, pervinca, pimpinella, calendula, pistacchio e anche scorze di arancia. Elide, la moglie di Vittorio, si occupa soprattutto di questi caprini freschi: è sua la scelta di utilizzare solo caglio vegetale che ricava dagli stilli del cardo selvatico e dal lattice di fico, ed è sua la creatività nell’aromatizzarli, creando delle vere e proprie torte di formaggio decorate con petali di fiori ed erbe a formare disegni geometrici, talmente belle da essere ordinate anche per buffet di matrimoni.
Le realizza creando il disegno coi petali sul fondo della fascera (posizionati al contrario a formare il negativo di quello che si vuole ottenere) versando la cagliata sopra, lasciando riposare per 24 ore e poi rovesciando il formaggio ottenuto.
I caprini con stagionature molto lunghe e affinature estreme sono invece i più apprezzati dai palati gourmet. I Beltrami sono tra i pochissimi in Italia a produrli, perché hanno meno mercato per via dei loro sapori estremamente potenti e particolari, che non a tutti possono piacere.
Mentre Vittorio preferisce definirsi “capraro”, per la preferenza che ha nello stare con i propri animali, a portare avanti l’azienda oggi è la figlia Cristiana, occupandosi anche del rapporto coi clienti, della gestione, delle iniziative e degli eventi, della comunicazione e degli aspetti burocratici. L’azienda infatti si divide in una parte agricola di allevamento e produzione, e in una parte di vendita con gastronomia dedicata.
Hanno iniziato al contrario, con una bottega di famiglia nella quale, tra le altre cose, si potevano acquistare i formaggi che Vittorio selezionava, abbinati alle confetture e alle marmellate preparate dalla moglie. Poi si sono dedicati anche alla produzione di olio e in seguito di formaggi, comprando terreni, capre e pecore. L’olio di Cartoceto è una DOP rinomata e conosciuta, che risulta molto dolce rispetto a tanti altri oli. I Beltrami lo spremono a pietra, a freddo, in un antico palazzo con frantoio annesso del 1600, situato al centro del paese. Lo acquistarono all’inizio degli anni ’80 e restaurandolo scoprirono l’esistenza delle grotte sotterranee contenenti le neviere. Da questa scoperta iniziò la produzione dell’Ovillis Ambrosia, il loro pecorino di fossa.
La parte agricola dell’azienda, nella quale vivono pecore e capre allevate allo stato semibrado, è ecosostenbile e si chiama “Covo dei briganti”. E’ situata in una frazione di Cartoceto molto isolata, all’interno di un bosco con querce, acacie e alberi di sambuco, un bosco dei cui frutti le capre sono ghiotte.
I Beltrami auspicano un sempre maggiore ritorno dei giovani alla campagna e al lavoro nelle aziende agricole, utilizzano antiche tecniche tradizionali ma al contempo sperano che in questo settore si possano apportare novità grazie alla tecnologia, nel modo che amano definire “retroinnovazione”.
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