Cassata al forno, la pietra filosofale della pasticceria siciliana

 Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua[1]

 

Anche in tempi di isolamento forzato e di sacrifici utili alla salute nostra e a quella degli altri, non è detto che dobbiamo astenerci anche dai piaceri della tavola e dalle nostre tradizioni. Anzi, sono certa che nessun siciliano rinuncerà a celebrare la Pasqua davanti ad un sontuoso tavolo imbandito per l’occasione al centro del quale trionferà la magnifica cassata, la celeberrima torta a base di ricotta di pecora zuccherata, pan di Spagna, pasta reale e frutta candita.

Il barocco, elaborato gâteau come lo conosciamo oggi, trionfo di pan di Spagna, crema di ricotta, vaniglia e pasta reale, cedro e cannella, frutta candita, zuccata e capello d’angelo, con la copertura di ghiaccia reale a formare intarsi geometrici e floreali arabeschi, trionfale visione del mondo, nacque soltanto a metà dell’Ottocento, quando il celebre pasticciere palermitano cavaliere Salvatore Gulì, che produceva industrialmente “zuccata e frutti canditi”, a scopo d’incrementarne la vendita creò una sua “cassata alla siciliana”, come la chiamò, ricca di ogni sorta di ben di Dio di produzione della casa. La presentò nel 1873 all’Esposizione di Vienna. Il successo fu immediato perché quel trionfo barocco meglio ubbidiva alla gran voglia di esprimere una siciliana esuberante sensualità. Il suo aspetto non è del tutto devoto, ma al contrario pregno di una sorta di erotismo represso, che attende di esplodere all’assaggio.

Questo dolce, che si può considerare la pietra filosofale dell’arte dolciaria siciliana, è stata inventata dagli Arabi[2], signori della Trinacria tra il IX e l’XI secolo.

La leggenda narra che una notte un pastore arabo decise di mescolare la ricotta, che veniva già prodotta in Sicilia dal Paleolitico, con lo zucchero. Pare che mentre il saracino stava impastando gli ingredienti, ad un siciliano che gli aveva invece chiesto il nome del dolce, abbia risposto “Quas’at[3], cioè il nome della ciotola di rame che stava utilizzando.

Successivamente, i cuochi alla corte dell’Emiro, in piazza Kalsa a Palermo, sperimentarono di avvolgere l’impasto dentro una sfoglia di pasta frolla e di cuocere il tutto al forno. Nacque così la prima vera versione del famoso dolce, quella che oggi viene chiamata cassata al forno.

Durante la dominazione Normanna, a Palermo, nel convento di Santa Maria dell’Ammiraglio meglio nota come Martorana, le monache inventarono la “pasta reale” o, per l’appunto,  “Martorana”, una pasta modellabile fatta con farina di mandorle e zucchero, colorata di verde con estratti di erbe. Le pie donne cominciarono ad utilizzarla come involucro per la torta al posto della pasta frolla.

Con gli Spagnoli arrivarono nelle cucine dei Monsù del Regno delle Due Sicilie un nuovioingrediente che contribuì ad arricchire la cassata: il cioccolato. Il pan di Spagna, invece, arriverà nella composizione della torta nel 1750 circa, creazione del pasticcere dell’ambasciatore d’Italia in Spagna, Giovan Battista Cabona; mentre i canditi saranno aggiunti in età Barocca. Ed infine, come prima detto, arrivò il cavalier Gulì.

Ancora oggi sono innumerevoli le varianti locali di questo delizioso dessert, più o meno riccamente decorato e con ingredienti aggiuntivi quali pinoli, pistacchio, acqua di zagara d’arancia. A Palermo trionfa la cassata del cavalier Gulì, ma assai diffusa è anche la versione “al forno”, più fedele a quella primordiale.

È proprio di quest’ultima vi scriverò la ricetta, tramandatami da un vecchio fornaio che, ahimè, da anni non c’è più. Eccovi la Cassata al forno dello zio Giulio.

Ingredienti (per uno stampo di 24-26 cm). Per la pasta frolla: 1 kg. di farina 00; 400 gr. di zucchero; 300 gr. di strutto; 10 gr. di ammoniaca per dolci; 1 uovo; 100 gr. di latte freddo; un pizzico di sale. Per la crema di ricotta: 1 kg. di ricotta di pecora; 250 gr. di zucchero; ½ bustina di vanillina; 50 gr. di cioccolato fondente a pezzetti; 1 cucchiaino di acqua di zagara (facoltativo).

Procedimento: acquistate la ricotta un giorno prima e mettetela a perdere il siero per almeno un paio d’ore. Fatto ciò, mettetela in un recipiente con lo zucchero, la vanillina e l’acqua aromatizzata (se la utilizzate). Tappate il recipiente e lasciatela in frigorifero fino all’indomani[4] quando la riprenderete e la lavorerete a crema passandola per il setaccio (potete, anche se non ve lo consiglio, sbatterla con le fruste elettriche, tanto andrà cotta). Quando la crema sarà bel liscia, aggiungete i pezzetti di cioccolato.

Preparate adesso la pasta frolla. Setacciate la farina su una spianatoia e formate una fontana al centro della quale romperete l’uovo, verserete il latte e metterete un generoso pizzico di sale. Cospargete intorno lo strutto a pezzetti. Impastate rapidamente, prima con una forchetta e poi con le mani, aggiungendo un po’ di acqua fredda se necessaria. L’impasto dovrà risultare compatto e morbido ma non troppo appiccicoso.

Riscaldate il forno, statico, a 200° C.

Ungete leggermente lo stampo e ricopritelo con della carta forno. Ora foderatene il fondo e i bordi con 2/3 della pasta frolla; riempite questo scrigno con la crema di ricotta e rivestite tutto con il rimanente impasto.

Infornate la torta nel ripiano più basso per 25 minuti a 200°, poi riducete la temperatura a 180° C e proseguite la cottura per altri 20 minuti circa.


Quindi sfornatela e lasciatela raffreddare completamente. A questo punto la potete rigirare su un piatto da portata o un vassoio, cospargerla di zucchero a velo e cannella…Et voilà!

Buone cose di Rinascita a tutti!

 Nota: Il cibo, lo sappiano bene, non è solo sostentamento anche se è la base della vita. La cucina è identità, cultura, linguaggio, comunicazione, simbolo, estetica. La cassata siciliana può essere considerata la somma emblematica di tutto questo, una sorta di mappa storico-culturale-estetica della nostra isola.

A tal proposito, Roberto Scarpinato – magistrato antimafia – nell’interessante articolo “Marilyn Monroe e la cassata siciliana” nei Quaderni di Micromega del 2004, descrive la cassata così: “ov’è leggibile, scritta nel linguaggio della cucina, l’intera storia della Sicilia e dei suoi molti invasori, dai normanni agli svevi, dagli arabi agli spagnoli”, fino ad arrivare alla storia contemporanea in cui la povera cassata è abbrutita dall’oscura malevolenza del potere mafioso. “Quando parliamo del potere in Sicilia, non possiamo omettere di menzionare il ruolo della cassata nel mondo mafioso… Alla fine del pasto lei, la cassata, arriva sulla tavola salutata da gridolini di meraviglia. Lascerò a voi immaginare quanto è magnifica la cassata mafiosa. Una volta che la cassata è stata assaporata, l’ignara vittima designata è attorniato dagli amici che, fingendo affetto, senza rancore, niente di personale per l’amor del cielo, fermano nella gola il suo ultimo boccone stringendo il nodo scorsoio attorno al suo collo




[1]“Poverino chi non mangia la Cassata la mattina si Pasqua”.

[2]Gli Arabi avevano introdotto a Palermo la canna da zucchero, il limone, il cedro, l’arancia amara, il mandarino, la mandorla. Insieme alla ricottadi pecora, che si produceva in Sicilia da tempi preistorici, erano così riuniti tutti gli ingredienti base della cassata.

[3]L’etimologia della parola è controversa. C’è chi sostiene provenga dall’Arabo Al Quas’at (bacinella, ciotola) e chi invece dal Latino Caseum(formaggio).

[4] Questo sistema consentirà allo zucchero di sciogliersi e potersi cosi omogenizzare meglio con il formaggio.

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