Atterri a Berlino, guardi in su e subito ti viene da pensare Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin – Wim Wenders 1987) così, per default. Anche se non c’entra niente. Niente angeli in giro, però… sarebbero impotenti come nel film. Nessuno da salvare. Berlino un palcoscenico infinito. Ognuno un caratterista, uno spettacolo dinamico di una città eterna prestata alla gente libera fatta di blauäugigen, rasta, giacca e orecchie timbrate su corpi alla volta ambrati, tatuati, fluo, flash, zooom!
Cieli sotto Berlino, strade per muoversi e trasporti sopra, sotto e nel mezzo delle strade, allora sí che guardi in su e vedi luci chiare nello scuro come nel quadro di Magritte che tirano ombre lunghe del nord fatte apposta per persone alte lanciate sulle biciclette con manubri e sellini alzati all’inverosimile. Padroni di cani padroni misto di piedi ruote e rotaie nei mezzi pubblici che si muovono al suono di vocali e consonanti S-bahn, U-bahn, M-bahn. Berlino ergo SUM a moving soul: der Sucher.
Eppure avevo scelto una casa a 15 minuti da Alexander Platz, Unter den Linden, la porta di Brandeburgo e… poi invece non mi sono mosso, soggiogato da questo vortice che senti nell’aria. Sono rimasto nel quartiere, il movimento qui è di casa.
Prima sera mangio Falafel e bevo Fritz-kola, drink alla cola che più cool non si può, fatto ad Amburgo. Intorno giovani americani e una coppia africana: lei ha una pettinatura spaziale.
Poi due passi e tanti colori mi attraggono: una distesa di sorbetti fantasiosi nelle forme e nei gusti con spezie, latte bio, frutta piena di frutta e cioccolate piene di cacao (non è così scontato…) atmosfera minimal. Mi vengono dati (ebbene sì, ne ho mangiati 3) da un magrebino con silhouette da Modigliani.
Come nightcap una birretta, anzi 2, in una locale di strada (quale non lo è?) a luci fuori spente e dentro soffuse, acciaio di cucina all’interno e rumore di bicchieri. Parlo in tedesco con la prima bionda (che mi serve la prima bionda Berliner Kindl) di biciclette e del Tibet; con la seconda bionda (etc etc) in francese (lei è di Ginevra) del tempo e di goiabada, un dolce brasiliano fatto con la goiaba (guava).
La sera successiva eccomi al ristorante giapponese Tokyo Haus, al tavolo rettangolare in legno scuro con tazzine tonde in delicato bicolore da the e con bicchieri quadrati di legno per il sake.
Siamo 2 cinesi, un italiano, tre tedeschi. La cameriera vestita da geisha veniva da Taiwan e il cuoco vestito comme il faut per il rito del teppanyaki era vietnamita. Una gigantesca barzelletta? No, un’ode alla biodiversità. Wow!
“Ich bin ein Berliner!”. Mi dice quel paffuto bomboloncino siringato di marmellata di rosa canina e cosparso di zucchero a velo come polverina magica di Trilly, Krapfen per il resto della Germania. E io, alla faccia di Jfk e del suo discorso nella Berlino ovest di altre memorie, me lo mangio.
Loveat…
Il Funa, viaggiatore romantico