Ricetta ispirata ad una tradizionale della cittadina di Sète, in Linguadoca, che do in tre versioni: una trucida, una molto trucida, una pulita. La prima è di gran lunga la più laboriosa.
- Pesce: v. vedi nota all’inizio della ricetta.
- Cipolla: una.
- Porro: uno piccolo, solo la parte bianca.
- Carota: una.
- Finocchio: mezzo, oppure uno molto piccolo. Si può pure omettere, non ho nemmeno capito se sia previsto nella versione originale.
- Aglio: un grosso spicchio o due.
- Una lattina di pelati, o 2–3 pomodori maturi, o 4–5 cucchiai di concentrato di pomodoro.
- Zafferano: una bustina.
- Peperoncino essiccato: a piacere.
- Vino bianco secco: da mezzo bicchiere a un bicchiere e mezzo, a piacere. Siate tanto più parsimoniosi quanto più acido è il pomodoro.
- Pastis: un cucchiaio, facoltativo (v. nota alla fine della ricetta).
- Olio di oliva extravergine, sale.
Per servire:
- Crostini di pane tostato: a piacere
- Rouille (v. nota alla fine della ricetta): a piacere, non proprio necessaria per chi non ha abbastanza pazienza
- Formaggio emmenthal o gruviera grattuggiato grosso: facoltativo, a piacere
La ricetta viene sempre per tre–cinque persone, a seconda della fame ed è più laboriosa che veramente difficile. Qualcuno lascia in infusione nel brodo anche la scorza di mezza arancia, ma io non ho mai provato e mi sembra un aroma troppo forte e particolare per includerlo direttamente tra gli ingredienti.
Il pesce: la versione trucida prevede un kilo scarso di pesce bianco da minestra (es. scorfani, gallinelle o simili), perfettamente eviscerato e squamato. Non scartate nulla del resto. La versione molto trucida prevede invece mezzo kilo di teste, lische e altri scarti (ma non le interiora!), che si possono chiedere direttamente al pescivendolo o recuperare ogni volta che si sfiletta un pesce e tenere nel congelatore fino al raggiungimento del peso necessario, ai quali si potranno aggiungere solo 200–300 grammi di filetto di pesce pulito e spellato. La versione pulita prevede solo 600–700 grammi di filetto di pesce bianco di mare senza spine.
L’inizio è sempre lo stesso: pulite tutta la verdura e tagliatela a pezzettoni. In un pentolone, fatela soffriggere a fuoco medio-basso in abbondante olio fino a che non è diventata molto tenera, ma senza farle prendere colore.
- Versione trucida: Aggiungete alla verdura il pesce e fatelo andare, sempre a fuoco medio e continuando a mescolare, per una decina di minuti.
- Versione molto trucida: Aggiungete alla verdura gli scarti di pesce (eventualmente scongelati) e fateli andare, sempre a fuoco medio e continuando a mescolare, per una decina di minuti.
- Versione pulita: Niente, andate avanti!
Aggiungete nella pentola il vino e fate evaporare l’alcool. Aggiungete poi il pomodoro, lo zafferano e il peperoncino. Dopo circa cinque minuti, allungate con circa un litro e mezzo di acqua, salate leggermente e fate bollire per un’ora o poco meno.
- Versione trucida: Una volta cotta la zuppa i pesci saranno completamente spappolati e le ossa disarticolate. Passate la minestra per due volte per un passaverdura, prima con i fori più grandi, poi con i fori medi. In alternativa, passate tutto prima per un colapasta e poi per un colino a fori medi, cercando di recuperare tutto il liquido e la carne. Per far passare più carne possibile, vi consiglio di sciogliere in poca acqua gli scarti rimasti nel passaverdure e passarli una seconda volta con i fori medi. Volendo, una volta terminata la lunghissima e faticosa procedura, frullate il tutto.
- Versione molto trucida: Una volta cotta la zuppa gli scarti del pesce saranno completamente spappolati e le ossa disarticolate. Passate la minestra per un passaverdura con i fori medi. In alternativa, passate tutto per un colino a fori medi, cercando di recuperare più liquido e carne possibile. Aggiungete poi alla minestra i filetti di pesce fatti a piccoli pezzettini e mettete a sobbollire per una decina di minuti. Volendo, frullate il tutto.
- Versione pulita: Aggiungete alla minestra i filetti di pesce fatti a piccoli pezzettini e mettete a sobbollire per una decina di minuti. Frullate il tutto.
Se la minestra risultasse troppo liquida, fate bollire molto velocemente, o aggiungete acqua se vi sembrasse invece troppo soda. Regolate di sale e pepate leggermente (meglio usare pepe bianco). Aggiungete altro olio se vi pare che il risultato ne guadagnerebbe. Se ne avete in casa e vi piace il sapore di anice, unite alla minestra una cucchiaiata di pastis.
Servite la minestra ben calda con crostini di pane tostato, che per tradizione andrebbero spalmati di una salsa chiamata rouille (cioè, letteralmente, “ruggine”), da preparare, potendo, con almeno qualche ora di anticipo, in modo che il sapore dell’aglio crudo si attenui.
Questo condimento, che accompagna ottimamente anche il pesce cotto alla griglia o in padella, è simile all’aïoli, una sorta di maionese all’aglio. La rouille si prepara in una miriade di versioni e vi è poco accordo su quale sia quella più tradizionale: secondo alcuni, dovrebbe contenere patate lesse e il fegato cotto dell’orata o della rana pescatrice, secondo altri mollica di pane e brodo di pesce. La mia ricetta, che do senza troppe spiegazioni, è al paragrafo successivo. Chi non ha già esperienza con la preparazione della maionese farebbe forse bene a rinunciarvi: se non riesce si perde parecchio tempo solo per mettere la proverbiale ciliegina sulla torta ad una ricetta già laboriosa di per sé, per di più sprecando mezzo bicchiere di costosissimo olio extravergine. Usare una salsa del genere per accompagnare una minestra calda può sembrare bizzarro, ma vi assicuro che l’abbinamento è riuscitissimo. Quanto al formaggio grattuggiato, c’è chi lo ritiene essenziale e chi pensa che sia una barbarie. Se lo volete, si serve a parte e si mette sopra ai crostini spalmati di salsa.
Rouille: In un mortaio macinate assieme un grosso spicchio di aglio, un pizzico di sale ed un peperoncino rosso fresco (oppure del peperoncino essiccato in polvere). Aggiungete poi la mollica di una fetta di pane bianco inzuppata nel brodo della minestra (o in un po’ di brodo di dado di pesce), un cucchiaino abbondante di aceto bianco, un pizzico di zafferano (ma se l’avete in bustine non ne aprite una nuova solo per questo!) ed un tuorlo d’uovo (anche meno, se vi riesce di scartarne una parte). Questo intruglio si usa come base per preparare una sorta di maionese (v. la ricetta qui) aggiungendo a filo in parti uguali olio di oliva extravergine e un olio di semi di sapore neutro. A dettare quanto olio occorre è la densità della salsa, che deve venire, appunto, come una maionese. Alla fine, regolare di sale e pepe. Prima di servire, consiglio di passare la rouille per un colino sottilissimo, in modo da evitare che possano rimanere sgradevoli pezzetti.
Il pastis è un liquore secco all’anice che si prepara in Provenza e che si serve come aperitivo, diluito con acqua. Entrò in commercio quando il celebre assenzio, altro distillato piuttosto simile nel sapore, fu messo al bando in Francia a causa delle false accuse secondo cui avrebbe avuto proprietà stupefacenti oltre a quelle ascrivibili semplicemente all’alcool, bando durato dal 1915 al 2011.
Tra i superalcolici è stranamente comune che solo uno o pochi produttori siano riusciti a raggiungere una fama tale che il nome generico della categoria a cui appartengono i loro prodotti è diventato poco conosciuto. Ad esempio, il Martini e il Cinzano sono dei vermuth, mentre il Cointreau è un triple-sec. Nel caso del pastis sono due le marche storiche che occupano quasi tutto il mercato: Pernod e Ricard. Se lo volete assaggiare in Italia, lo potete trovare abbastanza facilmente nei locali, ma avrete più probabilità di farvi capire dal barista chiedendo specificamente proprio “un Pernod” o “un Ricard”; “pastis” vi costerà probabilmente un “non lo teniamo” o “l’abbiamo finito”, servito con quello sguardo tra lo smarrito e l’indignato che sanno fare solo i commercianti quando fingono di sapere di che diavolo state parlando. Fatto l’ordine, incrociate le dita e sperate che arrivi già assieme all’acqua per allungarlo: puro è imbevibile e fa quasi 70 gradi.