Riso: torna il “Razza 77”. Sfida al “Carnaroli” per il risotto perfetto

Quale riso per un risotto perfetto? La prima varietà che viene in mente è di certo il Carnaroli, molti utilizzano il Vialone Nano e ci sono alcuni particolarmente affezionati all’Arborio. Ma c’è una varietà di riso che oggi in pochi ricordano, e che negli Anni Cinquanta era considerata ideale per il risotto: il Razza 77. Un riso superfino, coltivato nelle pianure della provincia di Novara, che è stato un tempo il preferito di chef e buongustai. Essendo una varietà poco produttiva fu gradualmente accantonata attorno al 1970, a vantaggio di altre più redditizie e facili da coltivare. Pochi sanno, però, che i risi non muoiono mai perché esiste un ente che conserva tutte le sementi. Il Razza 77, quindi, è rimasto dormiente per oltre trent’anni nella Banca del germoplasma dell’Ente Nazionale Risi di Castello d’Agogna, in provincia di Pavia, finché due piemontesi, un agronomo e un risicoltore, provenienti da uno dei territori più vocati alla coltivazione risicola, il novarese (nei comuni di Tornaco e Vespolate), hanno deciso di risvegliarlo partendo da una piccola manciata di semi.

LA STORIA – Voglio raccontarvi la storia del Razza 77 perché, per una serie di casualità, mi sono imbattuta in questo riso più volte. Innanzitutto, perché l’ho provato a ottobre 2016, quando non era ancora sul mercato ma solo una scommessa dal futuro incerto, realizzando un risottoal quale sono molto affezionata, durante l’Expo Rice a Novara, e ho toccato con mano le sue qualità in cucina. Inoltre, perché ho visitato di recente la riseria Rizzotti, una delle due che attualmente lo sta producendo. Il Razza 77 è un riso nato nel 1938 all’Istituto di allevamento vegetale di Bologna, grazie al lavoro dei ricercatori che incrociarono la varietà americana (resistente alle fitopatie) chiamata “Lady Wright” e quella italiana Greppi. Il Razza 77, negli Anni Cinquanta, veniva coltivato in oltre 5 mila ettari tra le province di Pavia, Vercelli e Novara, e nel dopoguerra fu particolarmente apprezzato dai risicoltori per le sue qualità in cucina: grande ricchezza di amido, che si traduce in una spiccata cremosità, con una ottima tenuta in cottura. Pur avendo caratteristiche ideali in cucina, il Razza 77 fu gradualmente abbandonato a causa della sua scarsa produttività a livello agricolo: produce in media il 50% in meno rispetto ad altre tipologie ed è difficile da coltivare per l’eccessiva altezza dello stelo, che si piega a causa del peso della pannocchia matura.

LA RISCOPERTA – Fabrizio Rizzotti, da sei generazioni produttore di riso a Vespolate (Novara), ha deciso di scommettere sul Razza 77 assieme all’agronomo Domenico Bernascone, di Tornaco, puntando sulle qualità di questo riso e sulla sua capacità di diventare una bandiera per l’intero territorio della Bassa Novarese. Tre anni f,a i due imprenditori agricoli si sono rivolti all’Ente Risi, ottenendo una singola spiga della preziosa varietà: dopo averla sgranata, hanno recuperato un centinaio di granelli della semente originaria. Mantenendo rigorosamente la coltivazione isolata per lasciarla in purezza, hanno piantato questi semi in una piccola cassetta e, un anno dopo, hanno ampliato la coltivazione in uno spazio grande quanto un tavolo da cucina. L’anno successivo hanno ottenuto un piccolo campetto di riso nel comune di Tornaco. Nel 2016, la raccolta del Razza 77 è stata di trenta quintali e ora si attende il raccolto del 2017. Dal 2018, si punta a raccogliere 130 quintali di riso. Inutile dire, visti i numeri, che il Razza 77 continuerà a rimanere un prodotto di nicchia, ma potrà finalmente essere messo in commercio (dal 12 giugno 2017) per gli amanti dei grandi risotti e per quei ristoratori che sceglieranno – e ho fiducia che la ristorazione abbia la lungimiranza di farlo – di valorizzare una tipologia di riso che racconta il territorio.

Scommettere su una varietà poco produttiva e di difficile coltivazione, pur se di grande qualità, a mio parere è ancora più encomiabile in un momento in cui la filiera italiana del riso sta soffrendo una forte crisi dei prezzi, influenzata dall’import di riso a dazio zero verso l’Ue dai paesi cosiddetti Pma, e soprattutto da Cambogia e Myanmar. Questo problema ha indotto il ministero delle Politiche agricole a chiedere l’obbligo di etichettatura di origine per il riso, in modo che il consumatore possa capire chiaramente la provenienza del riso che acquista al supermercato. Si parla tanto della provenienza del grano con cui è fatta la pasta che mangiamo, ma i consumatori sembrano preoccuparsi poco della qualità del riso che mettono nel piatto e, nonostante l’Italia sia il primo produttore europeo di riso, gran parte di quello che acquistiamo è straniero.

LA PRODUZIONE – La filiera del Razza 77 sarà corta (direi cortissima) e controllata al 100%, così come già accade con le altre varietà coltivate all’interno della riseria Rizzotti alla Cascina Fornace, che ho visitato assieme all’Atl di Novara, e dove è stata installata una linea produttiva che prevede la sbiancatura a pietra, con l’uso delle storiche macchine Amburgo, ideali per la lavorazione di risi della tradizione. La Riseria Rizzotti è una piccola azienda (circa 80 ettari), una delle uniche tre riserie a ciclo chiuso, assieme a Cascina Canta (di cui vi ho già parlato qui) e alla riseria Crespi (Nibbia, frazione di San Pietro Mosezzo, Novara).

A ciclo chiuso significa che l’azienda cura il processo produttivo dalla semina al sacchetto. Quindi, alla vendita diretta, a completa garanzia del consumatore. Fabrizio Rizzotti è instancabile e conduce la sua riseria con uno occhio molto attento alla sostenibilità ambientale: concimazione di base con il compost, nessun uso di prodotti chimici, impianto fotovoltaico, una caldaia di essiccazione di ultima generazione che non usa gasolio o gpl ed è capace di bruciare combustibili naturali, senza rilasciare residui di fumi di combustione sul prodotto lavorato.

A Fabrizio Rizzotti le cose semplici evidentemente non piacciono: la scommessa sul Razza 77 non è stata la sola e il suo amore per il riso nelle sue varietà più particolari lo ha portato ad essere l’unico produttore del riso Artiglio, un riso di nuova generazione, appartenente alla famiglia degli Indica (con chicco stretto e lungo) profumato e con una buona tenuta di cottura, con un contenuto in amilosio pari al 25%, superiore alle varietà Carnaroli, Baldo o Vialone Nano. Ha un amilosio insolubile superiore al 90%, che evita l’effetto colla dopo la cottura, mantenendo i chicchi ben sgranati. Un’altra produzione della riseria è il Carnaroli certificato, non semplicemente uno dei sottotipi del Carnaroli (tipologie omogenee), come il Karnak, il Carnise o il Poseidone, che possono essere venduti sotto il grande cappello di ‘Carnaroli’. E qui si aprirebbe un discorso sulle varietà di riso che ci porterebbe forse troppo lontano.

(azienda visitata nel maggio 2017)

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