Il pane ha svolto una funzione importante nella storia dell’alimentazione, ed è stato l’alimento base sulle tavole dei napoletani sopratutto nel 1500. Se ne cibavano allora tutte le categorie sociali. In quell’epoca e fine a qualche decennio, il pane era considerato un alimento sacro, guai a buttare un piccolo pezzo di pane, e se non era più commestibile, prima di darlo agli animali si baciava accompagnato da una preghiera. Altri tempi…, altre storie di una vita che scorreva secondo una logica naturale.
Oggi il pane è diventato l’alimento dello spreco; non potete mai immaginare quanto pane viene buttato nel pattume dai supermercati e grandi magazzini. Ogni giorno vengono consegnati grosse quantità di pane da consegnare ad una mensa per bisognosi della città. Dopo distribuito e consumato durante il pranzo ne resta comunque una grossa quantità che viene destinata agli animali. Parlo di un solo supermercato, non voglio immaginare il pane che avanza negli altri alimentari della città , della regione, dell’Italia e del Mondo.
…Esistevano pochissimi panettieri e il maggior fabbisogno veniva colmato dalla panificazione casalinga che avveniva dentro le mure domestiche. I grani erano quelli coltivati dalle famiglie che all’occorrenza venivano portati al mulino cittadino per essere macinato. Dalla macinatura integrale del grano, le massaie separavano con un setacccio la crusca, (che davano ai maiali) dalla farina, ottenevano il fior fiore della farina che in gergo dialettale era chiamato o “ciore” (il meglio del grano).
Altro elemento essenziale per il Pane cafone è il lievito naturale. Oggi si usa il comune lievito made, ma anni addietro veniva impiegato per la panificazione del pane il “criscito”, chiamato anche pasta di riporto che era un pezzo di pasta prelevato da un impasto precedente. Il “criscito”, era un elemento del corredo per le figlie femmine che fin da bambine venivano istruite alla panificazione domestica. Questo pezzetto di pane (“criscito”) che veniva staccato dall’impasto (circa 1 kg ) , lo si usava prestare tra le massaie per la preparazione del pane. Ogni giorno veniva rinfrescato da una famiglia , e così questo pezzettino di pasta da famiglia a famiglia e dopo 10/12 giorni ritornava di nuovo al punto di partenza. Non aveva proprietari perchè il “criscito” era considerato un bene comune. La differenza con il lievito madre di oggi e che il criscito conteneva una piccola percentuale di sale proprio perchè come detto sopra veniva staccato dall’impasto finito.
1 kg di lievito madre
Dopo pranzo, nella “matrella” (madia) il criscito veniva ingrossato con un litro di acqua e un kg di farina , l’impasto doveva risultare abbastanza molle. Terminato l’impasto, la ”matrella” (madia) veniva coperta prima con una grossa tovaglia e poi ancora con una coperta di lana. Oggi le nuove generazione di pizzaioli e panificatori ha dato il nome poolish a questo metodo che usavano le massaie.
La sera verso le 20:00, il “criscito” ingrossato aveva raddoppiato il suo volume e tutto era pronto per l’impasto finale. Intorno al “criscito” ingrossato si metteva la restante farina e al centro si versava l’acqua tiepida, dove veniva sciolto il criscito. (Veniva conservato 1/2 litro di acqua dove veniva sciolto il sale). Si univa man mano tutta la farina con l’acqua, e quando rimaneva ancora un pò di farina si aggiungeva l’acqua salata. Trenta quaranta minuti ad impastare energicamente e girando spesso l’impasto, i pugni infocati dalla pressione costante sull’impasto, venivano bagnati dall’acqua fresca riposta in una zuppiera. La pasta con i pugni prima si stendeva e poi veniva piegata su se stessa. Quaranta minuti a ripetere questa operazione. (oggi questo metodo di lavorazione gli scienziati della panificazione hanno dato il nome pieghe pieghe della pasta, per le massaie era l’abc di una lavorazione tramandata dalle vecchie generazioni). Si ricopriva di nuovo tutto.
Dopo un ora si rimpastava un 5 minuti e si formavano i panetti di circa 2 kg l’uno, che venivano messi a lievitare nelle grosse tovaglie poggiate su delle tavole di legno.
Il forno non aveva il termometro per misurare la giusta temperatura, ma le massaie avevano esperienza e metodi infallibili. Per vedere se il forno arrivava a 250-280 gradi lanciavano con una mano un po’ di farina sul suolo, se questa farina bruciava lentamente allora il forno era pronto per essere infornato, viceversa se bruciava subito dopo il lancio bisognava aspettare che la temperatura calasse.