Pane cafone

Oggi il calendario del cibo italiano, celebra la giornata del pane, simbolo alimentare dell’intera umanità. Nella tradizione familiare di casa, il pane cafone, ancora oggi come ieri è un alimento insostituibile. Un post questo che mi fa rivevere emozioni e ricordi di una tradizione vissuta che pian piano sta andando via. Il pane cafone cotto nel forno a legna  è un prodotto tipico della campania, ed è stato inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Tre sono gli elementi fondamentali per la realizzazione di questo pane, la lievitazione naturale con il lievito madre (un tempo il “criscito”) , il fior fiore della farina e la cottura nel forno a legno.
Il pane ha svolto una funzione importante nella storia dell’alimentazione, ed è stato l’alimento base sulle tavole dei napoletani sopratutto nel 1500. Se ne cibavano allora tutte le categorie sociali. In quell’epoca e fine a qualche decennio, il pane era considerato un alimento sacro, guai a buttare un piccolo pezzo di pane, e se non era più commestibile, prima di darlo agli animali si baciava accompagnato da una preghiera. Altri tempi…, altre storie di una vita che scorreva secondo una logica naturale.

Oggi il pane è diventato l’alimento dello spreco; non potete mai immaginare quanto pane viene buttato nel pattume dai supermercati e grandi magazzini. Ogni giorno  vengono consegnati grosse quantità di pane da consegnare ad una mensa per bisognosi della città. Dopo distribuito e consumato durante il pranzo ne resta comunque una grossa quantità che viene destinata agli animali. Parlo di un solo supermercato, non voglio immaginare il pane che avanza negli altri alimentari della città , della regione, dell’Italia e del Mondo.

Ritorniamo indietro e cerchiamo di capire perchè anni fa il pane non veniva sprecato !!
…Esistevano pochissimi panettieri e il maggior fabbisogno veniva colmato dalla panificazione casalinga che avveniva dentro le mure domestiche. I grani erano quelli coltivati dalle famiglie che all’occorrenza venivano portati al mulino cittadino per essere macinato. Dalla macinatura integrale del grano, le massaie separavano con un setacccio la crusca, (che davano ai maiali) dalla farina, ottenevano il   fior fiore della farina che in gergo dialettale era chiamato o “ciore” (il meglio del grano).
Altro elemento essenziale per il Pane cafone è il lievito naturale. Oggi si usa il comune lievito made, ma anni addietro veniva impiegato per la panificazione del pane il “criscito”, chiamato anche pasta di riporto che era un  pezzo di pasta prelevato da un impasto precedente. Il “criscito”, era un elemento del corredo per le figlie femmine che fin da bambine venivano istruite alla panificazione domestica. Questo pezzetto di pane (“criscito”) che veniva staccato dall’impasto (circa 1 kg ) , lo si usava prestare  tra le massaie per la preparazione del pane. Ogni  giorno veniva rinfrescato da una famiglia  , e così questo pezzettino di pasta da famiglia a famiglia e dopo 10/12 giorni ritornava di nuovo al punto di partenza. Non aveva  proprietari perchè il “criscito” era considerato un bene comune. La differenza con il lievito madre di oggi e che il criscito  conteneva una piccola percentuale di sale proprio perchè come detto sopra veniva staccato dall’impasto finito.
Ingredienti:
10 Kg di farina ti frumento tipo “0″
1 kg di lievito madre 
6  l di acqua 
250 g di sale
Procedimento:
Dopo pranzo, nella “matrella” (madia)   il criscito veniva ingrossato con un litro di acqua e un kg di farina , l’impasto doveva risultare abbastanza molle. Terminato l’impasto,  la ”matrella” (madia) veniva coperta prima con una grossa tovaglia e poi ancora con una coperta di lana. Oggi le nuove generazione di pizzaioli e panificatori ha dato il nome poolish a questo metodo che usavano le massaie.
La sera verso le 20:00, il “criscito” ingrossato aveva raddoppiato il suo volume e tutto era pronto per l’impasto finale. Intorno al “criscito” ingrossato si metteva la restante farina e al centro si versava l’acqua tiepida, dove  veniva sciolto il criscito. (Veniva conservato 1/2 litro di acqua dove veniva sciolto il sale). Si univa man mano  tutta la farina con l’acqua, e quando rimaneva ancora un pò di farina si aggiungeva l’acqua salata. Trenta quaranta minuti ad impastare energicamente e girando spesso l’impasto, i pugni infocati dalla pressione costante sull’impasto, venivano bagnati dall’acqua fresca riposta in una zuppiera. La pasta con i pugni prima  si stendeva e poi veniva piegata su se stessa. Quaranta minuti a ripetere questa operazione. (oggi questo metodo di  lavorazione gli scienziati della panificazione hanno dato il nome pieghe pieghe della pasta, per le massaie era l’abc di una lavorazione tramandata dalle vecchie generazioni). Si ricopriva di nuovo tutto.
Dopo un ora si rimpastava un 5 minuti e si  formavano i panetti di circa 2 kg l’uno, che venivano messi  a lievitare  nelle grosse tovaglie poggiate su delle tavole di legno.
La mattina seguente verso le 07:00, quando la lievitazione raggiungeva la giusta maturazione si iniziava ad accendere il forno a legna, che era ubicato nei cortili. Era una grande festa, i preparativi erano seguiti anche dai bambini che poi come premio pretendevano e ottenevano la pizza ca pummarol’ngopp.

Il forno non aveva il termometro per misurare la giusta temperatura, ma le massaie avevano esperienza e metodi infallibili. Per vedere se il forno arrivava a 250-280 gradi lanciavano con una mano un po’ di farina sul suolo, se questa farina bruciava lentamente allora il forno era pronto per essere infornato, viceversa se bruciava subito dopo il lancio bisognava aspettare che la temperatura calasse.

Una volta infornato il pane, dopo 30 minuti si dava una controllata all’interno del forno, aiutandosi con un lume per vedere se qualche pezzo di pane doveva essere allontanato dalla brace ardente posta su un lato del forno.
Trascorso le 2 ore il pane veniva tolto dal forno e posto nella madia ancora caldo coperto da una tovaglia.
Questo pane mantene per circa 10 giorni, quello che avanzava veniva impiegato in molteplici ricette del riciclo.
La scelta del verbo imperfetto aiuta a capire l’importanza di questo alimento che ha avuto nel corso degli anni!                                                                                                                                 

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