di Marco Benvenuto
Sono come i Moschettieri Sergio Caniffi è l”oste”, Stefano Blè lo “chef” ed Emanuele Crimi il “pastaio e pasticcere”…E il quarto? Sicuramente il buongusto che si respira appena varcata la soglia dell’Ostaia de Banchi” dove, recita l’insegna all’ingresso, puoi gustare “simple food since 1528”.
Diciamola tutta: i ragazzi, perché l’età media è davvero bassa, sono dei Collami’s boys. Arrivano da quell’ accademia lì, che stava al Baldin di Piazza Tazzoli,a Sestri Ponente. Per questo non sbagliano e non potrebbero neppure permettersi lo sbaglio: aspettative alte.
Il locale è strutturato su due piani, con ampie volte di mattone grezzo ed una fiancata in pietra nera su cui campeggia il grande motto della deandreiana “Creuza de ma”: “Cose da beive, cose da mangia”.
Una cosa va sottolineata: si tratta di un locale “illuminato”e non solo nel senso della proposta gastronomica. E’ illuminato in modo opportuno, consentendo una fruizione visiva del servito che è parte più che complementare dell’approdo alla portata.
Abbiamo visitato l’Ostaia a mezza settimana e l’abbiamo trovata affollata di una clientela giovane e selezionata, educata al gusto. Da parte nostra abbiamo esordito con un “Cappon magro” di assoluto rigore, destrutturato in modo efficace e con una salsa verde palpabilissima e riconoscibile nei suoi componenti. Presentazione ottimale all’uscita della bella cucina a vista, che troneggia a lato sala superiore.
Come primo abbiamo scelto “Ravioli in brodo di carne e tartufo nero”. Il raviolo in armonia tra i componenti fasciati in una sfoglia ben equilibrata. Intrigante l’apporto del tartufo: di assoluta morbidezza la carne, umida la sua parte ad occhieggiare dal fondo del piatto. Con una lieve aggiunta di sale ci ha ridestato antichi sapori casalinghi.
Ci dicono che tutto, a partire dalla pasta fresca, viene realizzato in casa compresi l’ottima focaccia ed il pane sulla base di un lievito madre proprio.
E’ dal 1479 che a Genova si serve la “Sbira”, piatto favoloso che abbiamo voluto assaggiare nell’interpretazione, diciamo subito riuscita. Trippe di prima qualità armonizzate alla perfezione tra sugo e brodo. Antico cibo dei portuali, cibo robusto che ci ha perfettamente soddisfatti.
Un inciso per il vino con una carta più che dignitosa. Per parte nostra abbiamo, tuttavia, voluto assecondare, e poi di conseguenza apprezzare, la scelta suggerita dal nostro “oste” che ci ha proposto il bianco che la stessa Ostaia fa imbottigliare a proprio nome da Giacomelli. Bianco godibilissimo, di grande spirito , invece, il rosso della casa a base importante di Ciliegiolo del Levante con un passaggio di Syrah.
Il dolce è una voluttà di mele ed amaretti da affondare con decisione: solo così se ne estraggono, tutti insieme, i migliori umori zuccherini. Ineccepibile acuto finale per una cena all’insegna del sobrio spessore.