Madeleine i biscotti morbidi decantati da Proust

Madeleine i biscotti morbidi decantati da Proust

Un biscotto morbido di origine francese che mi riporta alla mia infanzia, questi biscotti cicciotti hanno la forma di una conchiglia ed è per questo motivo che non avendo gli stampi adatti ho provato a cuocerli all’interno delle valve delle conchiglie Saint  Jaques. (Di quelle ne ho in abbondanza!)

  • Difficoltà:
    Bassa
  • Preparazione:
    30 minuti
  • Cottura:
    10 minuti
  • Costo:
    Basso

Ingredienti

  • Uova 3
  • Zucchero 120 g
  • Burro 100 g
  • Farina 130 g
  • Lievito chimico in polvere 1 cucchiaino
  • Scorza d’arancia 1
  • Vanillina 1 bustina

Preparazione

  1. Sbattere con l’aiuto di uno sbattitore elettrico le uova con zucchero, il sale e la vanillna per circa 5-6 minuti. Devono diventare belle gonfie e spumose.

    Aggiungere la scorza grattugiata dell’arancia, la farina mescolata con il lievito e mescolare fino a incorporare bene tutto il composto.

    Aggiungere il burro fuso tiepido e continuare a sbattere per l’incorporarlo bene.

    Lasciare riposare il composto coperto con un foglio di pellicola per alimenti per 20 minuti.

    Ungere accuratamente l’interno delle conchiglie Saint Jaques e distribuirvi all’interno una cucchiaiata di composto.

    Sistemare le conchiglie su una teglia da forno e se non dovessero rimanere correttamente in posizione, si possono appoggiare su un cerchietto fatto con l’alluminio in fogli.

     

  2. Mettere in forno preriscaldato a 180° ventilato per circa 12 minuti.

    Sfornarle e farle intiepidire. Poi con la punta di un coltellino proprio come se doveste estrarre il mollusco, fate una incisione tutta intorno al bordo del dolcetto ed estraeteli con delicatezza.

    Potete servire questi biscotti spolverizzati di zucchero a velo, oppure così al naturale.

  3. Ora potete gustarli!!!

Note

MARCEL PROUST, LES PETITES MADELEINES

Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta ? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della maddalena. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva ? Che senso aveva ? Dove fermarla ? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. E’ stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione ( e proprio ora ), per uno schiarimento decisivo. Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità…retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più…ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio….”

(Marcel Proust, Dalla parte di Swann)

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