L’arte che si mangia

L’arte è fonte di ispirazione continua nei campi più disparati e, perchè no?, in cucina! Dopo tutto il saper mettere insieme colori e tecniche su una tela è così distante dall’abbinare ingredienti, saporti e tecniche su un piatto? E perchè non lasciarsi ispirare da buon libro per la creazione di piatti sempre più ricercati o originali? E, ancora, può la cucina dare colori e profumi a storie di cavalieri, ad opere in musica, a piece teatrali? Sì. La risposta a tutte queste domande è sì.

La letteratura è piena di rimandi alla cucina. I più grandi storici medievali narrano di cene luculliane da far venire fame al solo leggerle: fagiani ripieni di noci e frutta, spennellati di miele e ricomposti, con tutto il piumaggio, perchè anche l’occhio avesse la sua parte, vino cotto con spezie aromatiche per esaltarne il sapore; taglieri di carni e coppe delle spezie più pregiate, quali lo zafferano, il cumino, la cannella, lo zucchero (che era considerato ed utilizzato come spezia ed esaltatore di sapidità).

 Dal “De re coquinaria” di M. Apicio
Testo in Latino Testo in Italiano
«ALITER HAEDINAM SIVE AGNINAM EXCALDATAM: mittes in caccabum copadia. cepam, coriandrum minutatim succides, teres piper, ligusticum, cuminum, liquamen, oleum, vinum. coques, exinanies in patina, amulo obligas. [Aliter haedinam sive agninam excaldatam] a crudo trituram mortario accipere debet, caprina autem cum coquitur accipit trituram.»  

«CAPRETTO O AGNELLO. Metti i pezzi di carne in una padella. Tritare finemente cipolla, coriandolo, pepe tritato, levistico, cumino, garum, olio e vino. Cuocere in una padella poco profonda, addensare con amido. Altro modo per carne di capretto e di agnello riscaldata: se prendi l’agnello dovresti aggiungere il contenuto del mortaio mentre la carne è ancora cruda, se è una caprina, aggiungila mentre sta cucinando.»

 

E tante altre sono le opere in cui il cibo spadroneggia, a volte come accompagnamento ad incontri politici, altre come momento di tranquillità prima di una battaglia, altre volte diviene allegoria di un modo di vivere. E’ il caso, quest’ultimo, de La Cena Trimalchionis che occupa un intero capitolo del Satyricon di Petronio che sbeffeggia i potenti del suo tempo facendone cogliere le sguaiatezze attraverso l’abbondanza e la volgarità dei cibi addotti alla tavola.

Anche la pittura non è da meno e di artisti che hanno ritratto il cibo sulle proprie tele sono pieni i libri. Trascurando (per mera questione di tempo e per esigenze di redazione) tutta l’era preistorica, in cui la prima forma di comunicazione è stata proprio quella grafica, mediante l’uso di graffiti di scene di caccia. Divenuto famoso nella storia rimane il Moscoforo, il pastorello con il vitellino sulle spalle, divenuto simbolo importantissimo nella raffigurazione sacra, poichè è l’immagine cui ci si è ispirati per dare a Gesù il viso che oggi conosciamo. Egizi, Etruschi, Greci, Arabi, gli stessi Romani hanno spesso raffigurato il cibo in molte occasioni e alcuni ingredienti sono divenuti depositari di simbologie mistiche, allusive. L’uovo, ad esempio, tra gli ingredienti più basilari nell’alimentaz

ione da millenni, è divenuto simbolo della fecondità e della nascita (curiosità: alla base delle colonne tortili del baldacchino centrale, in San Pietro, è possibile scorgere un allusione nascosta: un uovo che pian piano si schiude e che voleva essere l’allusione al mancato celibato dei Papi di famiglia Barberini).

Ritroviamo l’uovo, centrale ma “nascosto”, nella celebre pala di Brera di Piero della Francesca che troneggia centrale, in alto, sospeso sopra la testa di Maria. Coppe, bicchieri, pesce, pane e cibi riecheggiano nelle ben 2 Cene di Emmaus di Caravaggio, con uva nera ed uva bianca a simboleggiare il sangue sparso di Cristo e la speranza della risurrezione. Ricordiamo, infine, Arcimboldo, l’artista legato letteralmente al cibo poichè la sua produzione risente dlel’uso massiccio del ricordo a frutta, verdure, prodotti ittici legati al soggetto rappresentato.

Insomma, quando pensiamo che un piatto sia solo un insieme di ingredienti, utili a riempire lo stomaco, dovremmo fermarci un momento a meditare, riflettendo sulla potenza che anche il cibo ed i suoi ingredienti riescono ad esprimere nella nostra

Sai perchè il Carpaccio si chiama così?

Un ristoratore veneziano, Giuseppe Cipriani, nella metà del 1900, aveva pensato ad un piatto fatto con fettine sottilissime di controfiletto di manzo, lo aveva condito con la salsa universale (una sorta si maionese) e disposto alla Kandinskij. Siccome il colore della carne così tagliata ricordava un po’ le tinte scure delle opere di Vittore Carpaccio, artista veneziano, Cirpriani chiamò il nuovo piatto Carpaccio.

Il ristoratore, in realtà, si era già distinto per aver dato il nome di un altro artista ad una preparazione alcolica. Aveva preso dello spumante e vi aveva mischiato della polpa di pesche e siccome il colore roseo venuto fuori gli ricordava l’abito di un santo in un dipinto, pensò bene di dare a questa bevanda il nome del pittore. Nasceva il Bellini.

 

L’articolo L’arte che si mangia proviene da Ristorazione con Ruggi.

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