Brian Shelby (Jason Lee): “Perché, senza l’amaro, amico mio, il dolce non è tanto dolce.” dal film Vanilla Sky, 2001
Ed è finalmente arrivato il mio turno. Per cosa? Ma per il calendario del cibo italiano che la mia associazione, l’AIFB, Associazione Italiana Food Blogger, ha deciso di tenere quest’anno. E io oggi sono l’ambasciatrice dei krapfen.
Qualcuno potrà obiettare che sia un dolce viennese. Originariamente si, ma conosciamo bene la storia del Trentino Alto Adige: fece parte del Sacro Romano Impero Germanico, poi fece parte dei regni napoleonici di Baviera e Italia, fu annesso all’impero d’Austria e del successivo impero Austro-Ungarico e solo dopo la prima guerra mondiale entrò a far parte del regno d’Italia. Come poteva non portarsi dietro, fra i vari usi e costumi austriaci, anche questi deliziosi dolci? Tanto è vero che il comune di Valdaora in provincia di Bolzano organizza proprio una krapfenfest, una grande manifestazione con krapfen di tutti i tipi accompagnati da ottimi vini passiti. Mi sta venendo voglia di fare un viaggetto in quei di Bolzano….
La derivazione del nome krapfen è controversa: c’è chi dice che provenga da “krafo”, gancio o artiglio, perché originariamente avevano questa forma (non mi capacito di come fossero!), la versione che mi piace di più è quella che sembra l’avesse inventata una certa Cäcilie Krapf, pasticcera, che arrabbiatissima con il suo apprendista arrogante, presuntuoso e che non seguiva i suoi ordini, prese un pezzo di pasta che aveva lì vicino e glielo gettò. La pasta finì in un pentolone dove c’era dello strutto bollente e nacque così il krapfen!
Il krapfen viene comunemente chiamato berliner, che rappresenta il nomignolo diffuso per definire le “ciambelle” o i “krapfen”, che vengono fritte in tutte le case e le fiere del paese soprattutto nel periodo di carnevale. A tal proposito rimase clamorosa una gaffe epocale del presidente John Fitzgerald Kennedy, che durante un discorso il 26 giugno 1963 proprio a Berlino Ovest mentre era in visita ufficiale della città, disse la frase “Ich bin ein Berliner”, intendendo dire che lui si considerava un berlinese, e cercando di trasmettere una sorta di vicinanza e amicizia degli Stati Uniti, ma per la gente del posto risultò qualcosa di simile a “io sono un krapfen!”
*vedi bibliografia in fondo al post
Questa gaffe ha dei lati oscuri, vuoi per l’anno in cui si svolse, vuoi per la costruzione tedesca che risulta essere ineccepibile, ma a tutt’oggi è riportata con simpatia nelle guide.
Ma non abbiamo ancora scomodato l’Accademia della Crusca! Confesso che io, da Fiorentina che “sciacqua i suoi panni in Arno” e da amante dell’Italiano, delle sintassi, e di tutti gli studi ad esso convergenti adoro solo il fatto che esista questa “Accademia della Crusca”. In fondo, fra le bibliografie, ho messo il link; ma giusto per fare una summa, l’Accademia della Crusca passa per Pellegrino Artusi, al Dizionario moderno di Panzini e vari altri dizionari. Definisce che effettivamente ai primordi i krapfen ricordavano una forma arcuata, uncinata, o di artiglio, in Baviera per esempio friggono ancora adesso dei dolci dalla caratteristica (e inquietante) forma ad artiglio.
Consultando il Digitales Wörterbuch der deutschen Sprache (DWDS), scopriamo che Krapfen (sinonimo Pfannkuchen) è definito «in Fett gebackenes Gebäckstück», “dolcetto fritto nel grasso”. Ma i Krapfen e le nostrane Graffe hanno qualcosa in comune? Dunque, anche se nel tedesco odierno il termine krapfen non è più in uso nel significato di “uncino” o “graffa”, la parentela tra il nome della leccornia e la parola graffa è verificata etimologicamente nell’Althochdeutsch (antico alto tedesco) e nel Mittelhochdeutsch (medio alto tedesco), è giustificata dalla forma originaria del dolcetto. Adesso scopriamo che siamo praticamente parenti!!!
Il krapfen, dunque, è vecchio di secoli. Da Graz fu presto esportato a Vienna, raffinata capitale dell’Impero e culla della Sachertorte, suscitando gli entusiasmi di aristocratici e borghesi. Da qui si diffuse poi nel Lombardo-Veneto e soprattutto in Trentino. È naturale, quindi, che nei centri dolomitici si mangino ancora oggi degli ottimi krapfen, forse i migliori che si possano trovare in Italia. Fatta eccezione, naturalmente, per un paio di pasticcerie milanesi specializzate in dolci austriaci e per qualche forno dall’aria casalinga che si trova ancora a Modena.
Perché Modena? La spiegazione è semplice. Questa città è stata per circa due secoli e mezzo capitale di un Ducato e dalla Restaurazione in poi dopo l’invasione napoleonica in Italia, fu governata ancora dagli Estensi, ma dal loro ramo asburgico. Fu per questa ragione che a corte giunsero molti cuochi e pasticcieri importati dalla Mitteleuropa. È probabile che uno di questi abbia portato sulla tavola ducale il dolce di Graz. Dal palazzo, la ricetta del krapfen è poi facilmente uscita per giungere sino nelle case dei borghesi modenesi. Questi, però, hanno trasformato sia la natura del dolce sia lo stesso nome. Al posto della marmellata d’albicocche usano la crema pasticciera e il nome è divenuto quello meno gutturale di “crafen”.
Qualcuno potrebbe obiettare che fra la ricetta dei krapfen e quella dei nostri beneamati bomboloni non c’è differenza…altolà! C’è eccome! Sui krapfen ci sono addirittura dei disciplinari. Noi come facciamo i bomboloni o le graffe? Preparando l’impasto, friggendolo, e riempiendolo tendenzialmente con crema pasticcera o marmellate varie dopo averli passati nello zucchero semolato, oppure lasciandoli vuoti. Ma il krapfen NEIN!!! Ecco quali devono essere le sue caratteristiche:
- Nell’impasto deve essere presente dello strutto
- Va fritto tassativamente nello strutto
- Il ripieno è a base di marmellata di rosa canina, viene accettata anche quella di albicocche
- Tassativamente spolverato di zucchero a velo e non di zucchero semolato
- Obbligatorio riempirlo PRIMA di friggerlo, per farlo insaporire in frittura
Sono prolissa come al solito, direi che è ora di passare alla ricetta….
INGREDIENTI:
per circa una decina di krapfen
- 500 g di farina manitoba
- 75 g di zucchero
- 125 g di burro
- 20 g di lievito di birra
- 8 g di sale
- 40 g di tuorli
- 150 g di uova intere
- 85 g d’acqua
- scorza di un limone
- mezza bacca di vaniglia
- Moscato Rosa dell’Alto Adige (Rosenmuskateller)
- Moscato Giallo dell’Alto Adige (Goldmuskateller)
- Met (idromele)
PROCEDIMENTO:
1° step: prepariamo l’impasto e prima lievitazione
2° step: farciamo i krapfen e seconda lievitazione
Prendiamo il nostro profumatissimo impasto e mettiamolo su una spianatoia in legno….Non si fa nemmeno fatica, è così morbido che basta guardarlo per stenderlo! La caratteristica è che è morbidissimo ma non appiccicoso, una cosa veramente spettacolare!
Stendiamolo con l’aiuto di un mattarello, non deve essere sottile, diciamo che deve essere intorno al mezzo centimetro o un centimetro. Coppiamolo con un coppapasta tondo della misura che vogliamo, io che adoro le cose piccine l’ho fatto con un coppapasta piccolo, tanto lieviterà ancora. Mettiamo su un disco un cucchiaino di marmellata, io non ho trovato la rosa canina e ho ripiegato sull’albicocca, e chiudiamo con un altro disco di pasta. Sigilliamo non bene, ma benissimo, i bordi, schiacciando senza risparmiarci, e poi coppiamo di nuovo in modo da avere una bella forma tonda. mi raccomando se no si aprono in cottura.
I ritagli di pasta li useremo per farne altri, anche se lavorare troppo questa pasta e sfruttarla più volte le fa perdere molto nerbo. Io ho usato i ritagli una sola volta senza manipolarla più di tanto, per cui cerchiamo di essere precisi e di ritagliare senza fare troppo scarto. Li ho coperti con un canovaccio e via di nuovo in forno (spento) per circa 2 ore.
3° e ultimo step: friggiamoli
Eccoli belli lievitati, e sempre accompagnati da un profumo veramente celestiale. Se avremo fatto attenzione nel chiuderli, con la seconda lievitazione le giunture saranno perfettamente unite, e non dovremo temere di veder fuoriuscire tutto il ripieno.
Prepariamo una pentola con dell’olio. Io non avevo la friggitrice quando li ho fatti, altrimenti 170° per 3 minuti circa per parte era facilissimo, ma ho dovuto fare in maniera molto intuitiva. Il problema di questa pasta è che si colora subito, quindi un olio troppo caldo li brucia all’esterno, noi li vediamo scuri e li togliamo, e abbiamo un interno non cotto, che non è proprio una bella cosa. Meglio quindi tenere il fuoco basso per non far scaldare l’olio e cuocerli qualche minuto di più, almeno li cuociamo fino all’interno, consideriamo che sono belli spessi.
Metto un link a qualcosa di simile che avevo fatto tempo fa, un “divertissement” fatto con le graffe che si avvicina molto ai nostri deliziosi krapfen, e che diverte soprattutto i bambini….ma anche gli adulti non sono da meno, d’altra parte davanti ai dolci ridiventiamo tutti un po’ bambini.
bibliografia:
Guida Routard di Berlino, “il discorso del Presidente”
Accademia della Crusca, link