E’ uno dei formaggi più noti del Sud Italia, con la sua forma piriforme, il profumo intenso, il gusto che diventa via via più piccante con la stagionatura. E’ il caciocavallo, che nella variante Silana ha la Dop (Denominazione di origine protetta) mentre ad Agnone, in Alto Molise, è un Pat (prodotto agroalimentare tradizionale), istituito nel 2009 dal Ministero delle politiche agricole. Io vi racconto quello molisano, la cui traccia già si ritrova in documenti del 1400 che parlano del territorio compreso tra il Biferno e l’Aventino. E ve lo racconto grazie alla collaborazione con un caseificio storico di Agnone, il caseificio Di Nucci, dove il caciocavallo si produce da undici generazioni sempre in modo tradizionale e artigianale. Che l’Alto Molise, tra i monti della Maiella e del Matese, sia una zona dove il latte e il formaggio sono quasi una vocazione lo si capisce immediatamente, percorrendo con gli occhi i luoghi storici della Transumanza. Ancora oggi è facile immaginare le schiere di bovini che prima dell’inverno attraversavano i tratturi per andare verso il mare e i verso pascoli più verdi, in un percorso lungo centinaia di anni.
Agnone è al centro di questo crocevia di animali e di uomini: situata a 850 metri di altezza, con cantine di tufo che sembrano nate per stagionare i formaggi, è la città simbolo dell’arte casearia molisana insieme ai vicini Vastogirardi, Carovilli e Capracotta. “Cacio a cavallo” significa letteralmente che questo formaggio asciuga, legato a coppie, a cavalcioni su una pertica: così si faceva e così si fa ancora oggi. Le origini del caseificio Di Nucci risalgono al 1662 e oggi siamo arrivati all’11esima generazione: la gestione è ancora saldamente e orgogliosamente artigianale. Il latte utilizzato per produrre il caciocavallo e in genere i formaggi tipici della transumanza, è quello delle mucche di razza Bruna Alpina e Pezzata Rossa, che arriva al mattino dagli allevamenti di 15 conferitori: ovviamente è tutto latte proveniente dal territorio di Agnone e dall’Alto Molise. La lavorazione avviene a latte crudo, con l’aggiunta di siero innesto e di caglio di vitello. Ogni giorno, nello stabilimento Di Nucci, si lavorano circa 30 quintali di latte. Per fare 8 chilogrammi di caciocavallo, occorrono 100 chilogrammi di latte. Basta poco per capire come il processo produttivo di questo formaggio rappresenti concretamente il territorio e come la sua filiera sia cortissima ed interamente tracciabile.
La descrizione non può farvi cogliere l’essenzialità dei gesti, il profumo di cagliata e la sapienza dei casari. Per questo vi invito a vedere il video, che trovate anche sul mio canale You Tube, con attenzione, cercando di immaginare la forza di quella pasta filata tesa e intrecciata, la sua consistenza e i profumi della stagionatura.
COME SI FA IL CACIOCAVALLO: Una volta giunto al caseificio, il latte si porta a 36-38 gradi, poi si aggiunge siero innesto e caglio di vitella. Un’ora di attesa affinché si formi la cagliata, poi avviene il taglio. Qui troviamo la prima particolarità della lavorazione di questo formaggio: il caciocavallo fa due rotture della cagliata e non una sola. Lo scopo è ottenere una cagliata a grani più piccoli. Una volta ottenuta, la cagliata viene tagliata la prima volta, viene estratta dalla caldaia e frantumata meccanicamente. Dopo la frantumazione, si passa alla cotta, che è un primo processo di filatura in acqua a 90 gradi. Poi, la pasta filata viene versata in mastelli di legno, come vuole la tradizione, e lavorata a mano. Segue la fase di formatura: questa pasta è talmente resistente che, per tirarla, è necessaria la forza di due persone. La pasta viene bagnata spesso nel mastello con acqua calda, per mantenerla lavorabile: è magnifico vedere la pasta allungarsi e poi intrecciarsi e prendere piano quella forma piriforme tipica del caciocavallo. Una volta formato, il caciocavallo viene legato a coppie e immerso in acqua fredda, in modo da raffreddarsi e mantenere la forma ottenuta con tanta fatica. Quando è freddo, il formaggio viene lasciato riposare in una salamoia di acqua e sale con una concentrazione del 10% per 24-36 ore. Ora siamo arrivati al momento che dà il nome al formaggio: il cacio viene appeso a cavallo di una pertica in un locale ventilato naturalmente, dove asciuga per circa 10 giorni. Infine, stagiona sempre ‘a cavalcioni’ di una pertica nei locali di stagionatura in tufo: 4-6 mesi di riposo danno origine al caciocavallo semistagionato, da 7 mesi in poi (normalmente fino ad un anno) ecco lo stagionato. Durante il lungo periodo di sonno, arrivano le muffe, che ricoprono la superficie del formaggio consumando gli zuccheri residui e rilasciando quelle componenti aromatiche che lo rendono così irresistibile. In questo lasso di tempo, la forma iniziale, che pesa circa 2 chilogrammi, asciugandosi perde peso e si assesta a circa 1,4 chilogrammi.
Una volta gustato il caciocavallo (io ho una passione per quello ultra stagionato), ricordate che esistono anche altri formaggi molisani straordinari, a partire dalla magnifica stracciata e dalla manteca con all’interno il burro battuto a mano, per passare a bocconcini, ricotta, primo sale, scamorza di caciocavallo, caciotta della transumanza. Oltre ai più ‘creativi’ e moderni formaggi arricchiti da tartufo nero molisano e peperone di Senise Igp. Nel paese do Agnone, dopo avere assaggiato i formaggi, visitate il museo “Massaro Giovanni Di Nucci” all’interno del caseificio, che è anche “azienda storica nazionale”: un modo per capire meglio, attraverso fotografie antiche, utensili e oggetti usati durante la transumanza, la vita dei casari e la grande tradizione casearia molisana, in quella che è stata giustamente definita “la civiltà dei Tratturi”.
Il Museo può vantare anche una copia del “De Re Rustica” di Columella e l’unico esemplare perfettamente conservato della “Ragion Pastorale” di Stefano Di Stefano, stampata a Napoli nel 1731. Piccola curiosità: in una teca vedrete una lettera scritta a mano. E’ di un emigrato molisano che scrive dall’America al caseificio Di Nucci, a cui si deve l’ideazione di un formaggio particolarissimo: il caciosalame. Una caciotta che al suo interno nasconde un salame intero. Nell’America degli Anni Cinquanta, era vietata l’importazione di salumi. E nascondere il salame all’interno della pasta filata del caciocavallo fu la geniale soluzione ideata per aggirare il divieto e continuare a spedire ai parenti quei cibi che li facevano sentire vicini all’Italia. Potete sentirvi un po’ contrabbandieri anche voi, perché il caciosalame il caseificio Di Nucci lo produce ancora, per non dimenticare tutti quei molisani – tutti quegli italiani – che dal proprio paese sono dovuti andare via.