I falsi Made in Napoli: le ricette tradizionali che credevi napoletane

Napoli è la patria del buon cibo. NESSUNO DEVE NEGARLO.
Una di quelle città dove ad ogni angolo puoi trovare prelibatezze a cui è difficile resistere: dolce o salato, devi solo scegliere.
E molte volte devi rinunciare alla dieta perchè se non sei di queste zone…..”quando ti ricapita di mangiare un babà NAPOLETANO a Napoli?”…..”quando ti ricapita di assaporare cibi del genere”!!!!
Possiamo affermare che qui ebbero i natali tantissime ricette diventate patrimonio universale……eppure….eppure…forse i napoletani non ti hanno detto la verità.
Molto probabilmente è perchè non tutti sanno la verità.

In questo post elencherò 5 piatti che tutto il mondo pensa siano originari di Napoli ma che in realtà a Napoli hanno conosciuto FAMA e GLORIA.
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IL BABA’
Iniziamo ad infrangere cuori e certezze affermando che il babà non è napoletano.
Lo so, amico lettore, ti ho sconvolto. Il dolce più napoletano di tutti in realtà è polacco (babka ponczowa). Fu il re polacco Stanislao Leszczyński, celebre per la sua innata curiosità culinaria, a far modificare dai suoi pasticceri il dolce “gugelhupf”, una preparazione dolciaria a lievitazione naturale che ancora oggi viene realizzata sia in Polonia che in Germania.
Il re lo riteneva un dolce troppo asciutto e pretese l’aggiunta di una bagna a base di zucchero e vino bianco. il risultato finale vennne battezzato “Ali Babà” in onore delle celebri storie de “Le mille e una notte” che egli amava tantissimo.

L’evoluzione del babà continua…..e gli scambi commerciali ed i tanti viaggi a Parigi della figlia del re polacco permisero ai francesi di poter conoscere ed apprezzare questo dolce. Proprio nella capitale francese il pasticciere della corte polacca, Nicolas Stohrer, utilizzò per la prima volta il tipico stampo per babà che utilizziamo ancora oggi.
Più tardi, (XIX sec.) i fratelli Julien crearono un babà con al centro la frutta fresca, bagnandola con un liquore inventato qualche tempo prima dal pasticciere Brillant Savarin. Nascque quel giorno il Babà Savarin. Come è arrivato poi il babà a Napoli?
E’ presto detto: i sovrani facevano a gara nel contendersi i cuochi migliori e molti sovrani mandavano i propri chef a Parigi, per imparare le ricette della migliore scuola di cucina al mondo. Molto probabilmente i cuochi formati qui hanno poi realizzato questo dolce per qualche banchetto di corte.
Insomma, le leggende che girano intorno alla nascita di questo dolce sono tante ma la storia appena riportata è quella che molti ritengono la più attendibile.

IL RAGU’
Dopo averti deluso con il babà, dimmi la verità…..ora sei praticamente scioccato!
Quella cremosa preparazione a base di pomodoro e carne, in cui a fine pasto tanto ami immergere il “cuzzitiello” (pezzetto) di pane non è MADE IN NAPOLI. 
O meglio, non lo è originariamente. Durante il periodo tra il 1700 ed il 1800 Napoli fu enormemente influenzata dalla cultura del mondo francese (come anticipato poco prima)

Ed è proprio sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone che il termine “Ragù” viene coniato dai napoletani, alterando quello francese “ragout“. A tutt’oggi gli chef francesi utilizzano il termine “ragout” indicando stufati in generale, di verdure e carne. A sua volta il termine “ragout” sembra derivare dall’aggettivo “ragoutant” che significa appetitoso\allettante.

Durante il famoso trentennio fascista si cercò senza successo di italianizzare numerosi vocaboli, tra cui “ragù” trasformandolo in “ragutto“. In vero napoletano si scrive e si legge ” ‘O rrau

I napoletani conosceranno questo piatto solo nel 1700 ma in bianco, senza sugo di pomodoro. Ippolito Cavalcanti e Vincenzo Corrado riportarono per primi nei loro testi alcune ricette.

Vuoi leggere la storia di Ippolito Cavalcanti? Scoprine di più, clicca qui

Il Duca di Buonvicino in particolare, utilizzò il ragù come condimento per i maccaroni insaporendola con del formaggio grattugiato (come usiamo fare oggi), e scrisse anche di una preparazione della ricetta in versione rossa.

LA SFOGLIATELLA
A Napoli quando arrivi, tra le primissime cose che mangi c’è la sfogliatella: sia riccia che frolla va assolutamente provata perchè è nata a Napoli………………eh no! No! NO! Altrimenti non stava in questo post.
Napoli ha la paternità a metà,  per intenderci.
Quasi tutti conoscono l’antichissima disputa tra la città di Napoli e quella di Conca dei Marini. Oppure no?

Ok. In “esclusiva” per te, caro lettore,  la racconterò.
=>1600 circa: la storia narra di una suora addetta alla cucina del Santa Rosa, un convento di clausura tra Conca dei Marini e Furore (costiera Amalfitana). Volendo recuperare alcuni avanzi crea un ripieno a base di semola, zucchero, limoncello e latte con cui farcisce una sfoglia di pasta, per poi chiuderla ben, bene e cuocerla al forno.
=>1800: Il pasticciere Pasquale Pintauro modifica la ricetta originale dosando meglio alcuni ingredienti del ripieno e sostituendone altri. (introduce canditi e ricotta fresca). Cambia anche la tipologia della pasta e la forma (non più la classica forma della “sfogliatella frolla” detta a forma di “cappello di prete” ma crea la “sfogliatella riccia” a “forma di conchiglia).
=>2018: Ancora oggi la Pasticceria Pintauro si trova a Via Toledo a Napoli e sforna tutti i giorni sfogliatelle (e tanto altro). Mentre a Conca dei Marini si tiene ogni anno (ad Agosto) il “SantarosaConcafestival”…una festa, indovinate su cosa?

LA PARMIGIANA DI MELENZANE

E’ uno dei piatti poveri più buoni del SUD…..ma siamo certi di poter dire che sia un piatto Napoletano?
Ci sono pochissime testimonianze che confermano le origini del piatto ma storici ed esperti hanno limitato le possibili zone di appartenenza: Sicilia, Campania oppure Emilia Romagna. Ovviamente per una storia dettagliata sulla parmigiana di melenzane, mio caro, ti invito a seguire il blog.

Possiamo però dire che la parmigiana non sembra essere totalmente partenopea. La melenzana è un prodotto importato dall’Arabia nel Medioevo mentre il nome sembra derivare sia dal siciliano che dal turco.
Ma è a Napoli che la parmigiana di melenzane diventa un’istituzione.
La prima ricetta scritta simile al piatto in oggetto è datata 1733 ed è quella di Vincenzo Corrado ne “Il cuoco galante” (dove però il cuoco pugliese dei nobili napoletani usava le zucchine).
Fu invece Ippolito Cavalcanti più tardi, apubblicare la ricetta come la conosciamo noi.

IL CAFFE’
Il caffè a Napoli è qualcosa di irrinunciabile. Puoi non amare la pizza metodo tradizionale, puoi non essere un amante dei dolci ma il caffè……lo devi per forza bere!
Se non sei di Napoli, forse non sai che il napoletano prima dice :”Buongiorno” e poi “ti posso offrire un caffè?
Ma perchè ci teniamo tanto a questo caffè?

Innanzitutto perchè sono tanti i significati profondi che si celano dietro una “semplice” tazza di caffè; tanto tempo fa la bevanda era strumento di “diagnosi” di buona o cattiva sorte, oggi è un momento di pausa che nessuno deve negarti; è inoltre il consolidamento di legami familiari e d’amicizia….insomma si può liberamente dire che fare e bere un caffè a Napoli è un vero rituale.
E se nella città di Pulcinella esistono delle vere mete del buon caffè (ognuno ha almeno 3 bar preferiti, dove “cà fann ‘o megliu caffè”), è anche vero che non tutti ne hanno gustato uno fatto con la tipica “cafettera napulitana“.

Il mondo lo sa bene, il caffè non ha nulla di napoletano: non deriva da prodotti campani e né tanto meno la sua storia è iniziata a Napoli.
Tuttavia, in una fase della storia italiana (metà del 1600 circa) la bevanda chiamata “kahve” venne preparata quasi in tutta la penisola….ed appena due secoli dopo (1800, in pieno Romanticismo) i napoletani se ne innamorarono. In tutta la città c’erano caffettieri ambulanti che preparavano il caffè diffondendo il caratteristico aroma in tutti i vicoli della città e tante urla (oltre ad invitare potenziali clienti, gridavano il nome del santo del giorno)….una figura che purtroppo è sparita del tutto (come molte altre ambulanti),

Ti consiglio di approfondire l’argomento leggendo un mio vecchio articolo: La leggenda del caffè

Anche in questo caso sono tante le leggende dietro al quesito: “ma come è arrivato il caffè a Napoli?”
C’è quella del musicologo romano Pietro Della Valle e della sua delusione amorosa che lo fece viaggiare in Terra Santa; oppure la leggenda che narra dell’uso delle foglie di caffè come medicinale nel periodo Aragonese (ovviamente prima del 1600)

Conosci altri piatti \ ricette che non sono nati\e a Napoli?
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