Oggi vi racconterò di un piatto che da sempre mio papà mi descrive come qualcosa di assolutamente delizioso, rimasto impresso nella sua memoria, dai tempi della sua infanzia. Per poter comprendere come mai rappresentasse per lui, bambino, una assoluta leccornia, dobbiamo calarci nelle condizioni di vita delle famiglie contadine nel dopoguerra. Non starò a raccontarvi dei sacrifici di un lavoro già di per sè molto duro, svolto sottomessi ad un padrone, il cui operato rasentava spesso un trattamento da schiavi; piuttosto vi descriverò quello che era per quelle famiglie il paniere alimentare: legumi (nella mia provincia, soprattutto fave), pane, qualche verdura spontanea o per chi aveva la possibilità di un angolo di terra, qualche ortaggio, carne di animali da cortile (solo nelle feste comandate), latte e formaggi erano appannaggio dei pastori. Stop. Zuppa di fave a colazione, a pranzo e a cena. Sembra lontano dal nostro modo di vivere, ma era proprio così. Immaginate quindi cosa doveva essere uno scrigno di pasta croccante, ripieno di spaghetti al sugo di carne, insieme a cavolfiori e mollica tostata! Pantagruelico! Purtroppo questo miracolo in cucina avveniva solo durante le festività natalizie e perciò lo si sognava per un anno intero!
Vediamo cosa ci occorre: per l’impasto 500 g di semola di grano duro rimacinata, sale, 200/250 g di acqua, un cucchiaio di olio, 475 g di lievito di birra.
Per il ripieno: cavolfiore scottato in acqua bollente, pane grattugiato tostato, spaghetti cotti molto al dente, sugo di carne (preferibilmente maiale), olio extravergine d’oliva, peperoncino.
Preparato l’impato, fatelo riposare una mezz’oretta, quindi stendetelo con il mattarello fino a raggiungere uno spessore di 4/5 mm.
Fate un leggero strato di pangrattato su metà della sfoglia
Sistemate gli spaghetti conditi generosamente con il sugo.
Ora fate un altro strato di cavolfiori salati e pepati.
E per ultimo, un altro strato di spaghetti e una spolverata di pangrattato. Olio extravergine in quantità generosa e ci apprestiamo a chiudere quello che in dialetto chiamiamo “buccatedda”.
Mettiamo su una teglia, oliamo la superficie e inforniamo a 200° per 30/40 minuti.
Buon appetito! Mi direte poi, se mio papà non aveva ragione!