E il mio mare?
Eccolo che va e viene sulla sabbia di San Giovanni di Bagnoli di Pozzuoli; la spiaggia si abbuia e si rischiara, per questo alterno afflusso di umidità, come una fronte pensosa; più al largo certe zone d’acqua appaiono egualmente meditabonde, di un denso azzurro, mentre altre ridono con bianche spume, palpitanti come gole d’uccelli. E’ in quest’acqua lieta, non in quella imbronciata, che bisogna inzuppare i “taralli”. Si tratta di ciambellette con strutto e pepe, localmente famose, alle quali la salsedine marina conferisce un sapore anche più allegro, persuasivo, starei per dire ondulante come il moto stesso della barca. I “taralli” si mangiano appunto in canotto, abbandonando i remi, fissando per esempio le case di Mergellina che fremono e pulsano come se fossero dipinte su una camicetta.
Ora un mare che si è mangiato tante volte nei “taralli”, nei molluschi e nei crostacei più complicati ed eccitanti, qualcosa deve aver lasciato nel nostro sangue. Certi giorni basta uno scroscio di fontana, una fuga di nuvole, un soffio di scirocco, a far battere questo mare nei nostri polsi, mentre le dita istintivamente si incurvano come sulla impugnatura di un remo. Lo sappiamo a memoria questo mare; conosciamo i suoi schiaffi e le sue carezze; lo abbiamo sentito gridare e bisbigliare; dietro il vaporino di Capri si srotolava e ferveva come lo strascico di una sposa; era domestico e cordiale come acqua di cisterna, lo portiamo con noi, dovunque, come tatuato sul petto con scogli e sirene.Giuseppe Marotta, L’oro di Napoli, Bompiani, 1947
Ho riportato questa brano tratto dalla prefazione de L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta già fonte d’inspirazione per il Ragù ed il Brodo di polpo, per descrive una tra le tante cose che adoro di Napoli: i tipici taralli fatti di sugna e pepe (‘nzogna e pepe) arricchiti di mandorle.
I Taralli ‘nzogna e pepe sono nati alla fine del 1700 dalla genialità dei fornai, per recuperare lo “sfrriddo” vale a dire i ritagli di pasta lievitata con cui si era preparato il pane; a questa veniva aggiunta della sugna ( la ‘nzogna) ed il pepe, si modellavano dei cordoncini che intrecciati formano una ciambella, in seguito agli inizi del 1800, vennero unite le mandorle tostate. Ebbe da subito un grande successo, soprattutto tra la povera gente che con pochi soldi poteva acquistare questa prelibatezza e sfamarsi. Vista la notorietà ben presto nacque la figura del venditore ambulante di taralli il “tarallaro” che girava per i vicoli di Napoli con la cesta piena di taralli urlando: “O’ tarallar’”, “tarallucc’ nzogna è pepe”. Famoso dal dopoguerra fino agli inizi del 1990 era Fortunato Bisaccia, tanto che Pino Daniele gli dedicò una canzone contenuta nell’album “Terra Mia”.
Come nel brano di Giuseppe Marotta, o in altre canzoni popolari, la tradizione voleva che si mangiassero “inzuppati” nell’acqua di mare; abitudine con ragione perduta. Oggi il tarallo si accompagna con il vino, la birra o mangiato semplicemente da solo, meglio se caldo. Io l’ho utilizzato anche per condire la pasta.
Come ogni ricetta locale ci sono molte varianti, io ho seguito questa ricetta.
Ingredienti:
per circa 10-12 taralli
Per il lievitino
100 g di farina 0
8-12 g di lievito di birra fresco
50 ml circa di acqua tiepida
Per l’impasto
500 g di farina 0
200 g di sugna a temperatura ambiente o strutto
200 g circa di mandorle intere con la buccia
120 ml circa di acqua tiepida
2 cucchiaini di sale
2 cucchiaini di pepe nero macinato al momento
Preparazione:
Per il lievitino. In un bicchiere si fa sciogliere il lievito di birra in acqua tiepida, si lascia agire per 5-6 minuti. In un recipiente si mette la farina setacciata il lievito attivato, si impasta fino ad ottenere un panetto morbido. Si copre e si lascia lievitare per circa un’ora.
In una teglia si mettono gran parte delle mandorle e si fanno tostare per alcuni minuti in forno caldo a 180° C; una volta tostate si tritano grossolanamente. Le restanti si mettono da parte per decoro.
In un’altra ciotola si mette il resto della farina, il sale, il pepe, lo strutto e le mandorle tritate; si mescola il tutto e si ottiene un composto sabbioso.
Passato il tempo di riposo del lievitino, si aggiunge al resto degli ingredienti, si impasta aggiungendo un acqua tiepida quanto basta per ottenere un impasto morbido; non deve essere lavorato molto per avere dei taralli croccante e friabili.
Si prende parte dell’impasto si fanno dei rotolini lunghi 15-20 cm circa si intrecciano due per volta formando delle ciambelle. Su ogni ciambella si mettono le restanti mandorle intere; prima di “incastonarle” si bagnano nell’acqua per farle aderire meglio. Si copre con un canovaccio e si lascia riposare per almeno due ore.
S’infornano a forno caldo a 180° C per 45-60 minuti. Si conservano in un contenitore ermetico.
Fortunato Bisaccia foto di Luciano De Crescenzo da “La Napoli di Bellavista” |
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