Intervista esclusiva con lo svedese Tomas Lindahl, esperto di riparazione del Dna: “ecco cosa bolle nella pentola della ricerca”
Il nemico è subdolo. Ce lo abbiamo “in casa”, nelle nostre cellule: impossibile pensare di sbarazzarsene facilmente. Può attaccare in qualsiasi momento, portando esiti disastrosi. Eppure non è invincibile. Il cancro può essere disarmato e reso inoffensivo, tanto da diventare uno scomodo compagno di vita con cui trascorrere pacificamente la nostra vecchiaia.
Parola del Premio Nobel per la Chimica 2015 Tomas Lindahl, il “pioniere” che per primo ha dimostrato l’intrinseca fragilità del nostro Dna e scoperto l’esistenza di una “cassetta degli attrezzi” molecolare per la sua riparazione, aprendo la strada a nuove cure anticancro. Proprio queste ricerche gli sono valse il prestigioso riconoscimento che ha condiviso con altri due abili “meccanici del Dna”, i ricercatori Aziz Sancar e Paul Modrich.
Nato a Stoccolma 78 anni fa, Lindahl conserva ancora l’entusiasmo e la curiosità di un ragazzino, nonostante un curriculum eccezionale. Laureato in medicina e specializzato nelle università statunitensi di Princeton e Rockfeller, ha insegnato chimica e fisiologia medica all’Università di Goteborg, in Svezia. Direttore del gruppo di professori emeriti dell’Istituto Francis Crick e direttore emerito del Centro per la Ricerca sul cancro britannico presso il Clare Hall Laboratory, porta avanti le sue ricerche ancora oggi all’Istituto Karolinska di Stoccolma. Dal 2010 ricopre anche la carica di presidente del comitato scientifico dell’Ifom (Istituto Firc di oncologia molecolare) di Milano, dove valuta le ricerche in atto e indirizza quelle future, scegliendo i ricercatori migliori su cui scommettere.
Proprio all’Ifom ha illustrato le “debolezze” del nostro Dna e la difficile lotta contro i tumori, durante un incontro promosso dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC).
Il tumore, ci spiega Lindahl in un’intervista esclusiva, è un male «inevitabile», intrinsecamente legato alla natura stessa del nostro Dna. «Quando osserviamo le raffigurazioni di questa molecola sui libri, vediamo una doppia elica apparentemente solida, che sembra quasi fatta di acciaio, ma non è così: ogni giorno, in ogni singola cellula del nostro corpo, il Dna subisce decine di migliaia di cambiamenti». Questa instabilità del Dna è un’arma a doppio taglio: «da un lato ha permesso all’uomo di evolversi rapidamente, diventando sempre più intelligente e sviluppando un esercito di anticorpi sempre in aggiornamento e pronto a combattere contro i microrganismi pericolosi. Dall’altro lato, però, questo vantaggio comporta un prezzo da pagare: il rischio è che le mutazioni possano sfuggire di mano alla cellula dando la formazione di un tumore».
L’evoluzione ha cercato di porre rimedio a questa situazione, dotando le nostre cellule di una “cassetta degli attrezzi” per la riparazione del Dna, un kit variegato di molecole che funzionano da forbici e colla per correggere gli errori scritti nel “manuale di istruzioni” della vita. Questi strumenti per la riparazione del Dna sono presenti sia nelle cellule sane che in quelle tumorali, ricorda Lidahl: «proprio le cellule malate sfruttano questi meccanismi in maniera aberrante per continuare a riparare il loro Dna sopravvivendo agli attacchi delle terapie antitumorali. Prendiamo ad esempio la radioterapia: il suo obiettivo è quello di portare alla morte le cellule malate bombardandole con radiazioni ionizzanti che colpiscono e danneggiano il Dna. Le cellule tumorali, però, sono in grado di riparare velocemente queste lesioni, riuscendo così a sopravvivere e a proliferare. Alla luce di questa scoperta, il nostro obiettivo è stato subito quello di trovare il modo per bloccare temporaneamente questi meccanismi di riparazione del Dna, in modo da rendere il tumore più vulnerabile alle terapie».
Le ricerche di Lindahl hanno già portato i primi frutti, una nuova classe di “super farmaci” antitumorali che stanno dando risultati molto positivi, sia contro il tumore dell’ovaio che quello della mammella. «E questo è solo l’inizio», afferma Vincenzo Costanzo, ricercatori Ifom da poco rientrato in Italia dopo aver lavorato tra Stati Uniti e Gran Bretagna al fianco di Tomas Lindahl e di un altro premio Nobel per la medicina, Tim Hunt. «Il tumore è più intelligente di quanto pensiamo e per sconfiggerlo serve un approccio integrato», spiega Costanzo, che proprio grazie ai fondi AIRC sta studiando la risposta delle cellule alla chemio e alla radioterapia. «Se riuscissimo a bloccare la riparazione del Dna solo nelle cellule tumorali, con molecole simili a quelle scoperte da Lindahl, potremmo aumentare l’efficacia della radioterapia, riducendo il bisogno di ricorrere alla chemio che è più tossica e meno selettiva. Se a queste terapie aggiungessimo poi l’utilizzo di anticorpi mirati, per potenziare la risposta immunologica dell’organismo, potremmo ripulire ed eliminare tutte le cellule tumorali».
Certo, pensare di sconfiggere definitivamente il nemico cancro «è un sogno magnifico, ma difficilmente realizzabile», ammette Lindahl. «Quello che molto più probabilmente riusciremo a fare nei prossimi anni – prosegue il premio Nobel – è trasformare il cancro da una grave malattia potenzialmente letale in una malattia cronica legata all’invecchiamento, un po’ come oggi il diabete di tipo 2. Per conviverci saremo costretti ad assumere farmaci, ma questo non ci impedirà di condurre una vita tutto sommato normale».
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