Mi ritrovo spesso, quando visito una nuova città, a osservare le finestre delle case e a provare un forte desiderio di valicare quelle mura. No, tranquilli. Non sono una ladra, né una curiosa patologica o una voyeur!
Cerco di spiegarmi meglio. In una città, sia essa italiana o estera, dopo aver passeggiato in lungo e in largo alla scoperta dei luoghi caratteristici, monumenti, musei, ristoranti e locali consigliati mi capita di sentire il forte desiderio di entrare in una casa, sedermi in cucina con la padrona di casa e, tra una chiacchiera e l’altra, preparare insieme un piatto locale. Adorerei farmi raccontare dove preferisce andare a comprare gli ingredienti e perché, se è un piatto legato alla storia del territorio, se ha una ricetta che gelosamente è stata tramandata per generazioni, chi glielo ha insegnato. Mi piacerebbe andare a comprare gli ingredienti e poi prepararlo con lei, proprio come lo farebbe per cena in un giorno qualsiasi.
Per me, come per tanti appassionati di cibo, la scoperta di un luogo passa anche attraverso la sua storia gastronomica, e molte volte ho sentito la mancanza di una presa di contatto diretta con qualcuno del luogo che me la raccontasse.
Ricordo bene che, nei casi più fortunati, in cui mi è capitato di trovare un ristorante poco affollato e lo chef con il tempo e la voglia di uscire fuori a fare due chiacchiere, ho portato a casa con me la bella sensazione di essere andata oltre quella che può essere la semplice scoperta e la degustazione di un ottimo piatto. Ho riportato in valigia con me l’emozione di essere veramente entrata in contatto con il luogo, invece che esserne rimasta solo in superficie.
Quando Elena di Foody mi ha invitata a incontrare un gruppetto di ospiti stranieri in visita in Italia per una convention (Oppi) per insegnare loro a fare la pasta fresca e raccontare della tradizione italiana in merito, mi sono per un attimo messa nei loro panni e ho immaginato quella voglia di “mettere le mani in pasta” insieme a una persona del luogo.
Quella mattina sono andata a H Farm, dove li avrei incontrati, un po’ emozionata perché volevo mettercela tutta per lasciar loro un ricordo piacevole e autentico di questa esperienza.
Mi è piaciuto vederli così attenti e incuriositi quando raccontavo loro dei diversi tipi di grano che coltiviamo in Italia, del perché al sud si prepara maggiormente la pasta fresca con la semola di grano duro e al nord quella con la farina di grano tenero e uova; di come si forma la maglia glutinica, dei trucchetti da utilizzare per impastare a mano senza stancarsi troppo e così via.
Eravamo partiti con l’intenzione di fare le orecchiette ma l’entusiasmo era tanto che, quasi come per gioco, siamo finiti a fare fusilli, strascinati e anche qualche nuovo formato inventato da uno dei partecipanti pieno di fantasia!
I momenti di pausa sono stati l’occasione per continuare il racconto delle nostre tradizioni.
Le ore trascorse insieme sono volate, creando nel gruppo quell’atmosfera di allegra complicità che penso solo il cibo riesce a creare così facilmente.
Ma scopriamo insieme i dettagli di questo bellissimo progetto facendoceli raccontare direttamente da Elena, CEO e Co-Founder di Foody:
In poche parole Elena, cosa è Foody?
L’Airbnb delle food and wine experiences! Foody è la prima piattaforma che permette ai viaggiatori di organizzare, prenotare e vivere esperienze turistico enogastronomiche al 100% locali insieme a chi locale lo è davvero!
Raccontaci come e da chi è nata l’idea di questo progetto?
Io e Michele (CTO e Co-Founder) ci siamo conosciuti a Milano. All’epoca mi ero interessata al mondo delle startup grazie ad un corso di imprenditoria giovanile InnovAction Lab (www.innovactionlab.org) mentre Michele lavorava come Web Designer per una startup nel settore food. L’idea nasce una sera davanti ad un piatto di pasta, dalla volontà di creare qualcosa che potesse dare la possibilità a tutte le persone di scoprire e gustare i piatti delle nostre regioni. Come si sa si parte sempre da un’idea e da una visione comune, ma l’idea non basta bisogna essere uniti e nonostante gli alti e bassi crederci sempre e non mollare mai. Chi ha riposto fiducia in noi è stata anche una grande realtà del panorama startup italiano, H-Farm (www.h-farm.com), che ha selezionato Foody tra 600 progetti provenienti da tutta Europa. A ottobre 2015 è iniziata la nostra avventura nel programma di accelerazione. Esperienza incredibile, non solo da un punto di vista formativo e professionale ma anche dal punto di vista umano, una vera e propria immersione in un ambiente innovativo, dinamico e stimolante.
Avete già un piano per accrescere il numero dei “local host” e dei “viaggiatori”? In pratica come far conoscere questa piattaforma in Italia e all’estero?
Per quanto riguarda lo sviluppo di questa parte del business di Foody sarà molto importante la figura di quella che ci piace chiamare il “Foody Ambassador“.
Avrà l’opportunità di farsi portatore dell’identità dell’azienda, di poter creare a sua volta contenuto rappresentando il suo territorio e le diverse esperienze enogastronomiche che nel suo territorio si possono vivere. L’ Ambassador può essere una figura chiave sia per reclutare nuovi local host sia viaggiatori. In aggiunta sarà importante il coinvolgimento di Food e Travel blogger italiani e stranieri sia per un discorso di notorietà che di affidabilità e fiducia che i loro followers ripongono in loro. Per il primo anno di vita infatti il nostro obiettivo è quello di posizionarci nel modo piu completo possibile sul territorio italiano per poi iniziare l’espansione anche all’estero.
Elena, come farete a valutare, e quindi assicurare un alto standard di qualità dei “local host” ?
La “Foody validation“, come la chiamiamo noi, è un elemento fondamentale che sarà presente come informazione all’interno del profilo dell’utente. Si valuta la persona da un punto di vista di dati, come avviene anche nelle altre piattaforme, quindi nulla di nuovo, ma anche in questa fase sarà sempre più utile la figura del Foody Ambassador locale, una persona di nostra fiducia, che come un talent scout si occuperà di selezionare e validare i local host che si iscrivono su Foody.
In ogni caso il Team di Foody è sempre presente a sostegno dei local host che, dopo aver effettuato l’iscrizione in modo gratuito sulla nostra piattaforma, decideranno di pubblicare la propria offerta. Ultimo ma non per importanza è il sistema di feedback e votazioni che gli utenti si potranno dare e ricevere a vicenda. Questo è il sistema su cui si basa la sharing economy, la possibilità di poter creare una reputazione online all’interno della community. Sarà un elemento centrale della piattaforma di Foody.
Ci sono dei limiti normativi per le persone che vorranno iscriversi come “local host”? Devono poter emettere delle ricevute o avere una assicurazione particolare?
I local host non dovranno emettere ricevute, a questo ci pensiamo noi. Come per tutte le piattaforme che basano il loro business sulla sharing economy ad oggi c’è un limite massimo di 5 mila euro oltre i quali bisognerà avere una partita iva in quanto superato tale ammontare si ritiene che l’attività non è più occasionale. Ad oggi è presente in parlamento una proposta di legge relativa alla sharing economy che vuole innalzare tale limite massimo dai 5 mila euro di oggi a un ammontare di 10 mila euro.
Dovessi descrivere l’unicità di questo progetto rispetto ad altri che offrono più o meno le stesse opportunità, cosa evidenzieresti?
Ad oggi nel mercato, nello specifico, non ci sono piattaforme di turismo enogastronomico che aggregano domanda e offerta di questo tipo nel modo che vogliamo fare noi, ci sono invece piattaforme che si occupano di turismo esperienziale in senso lato al cui interno rientra anche un’offerta food. Quello che manca è proprio un punto di riferimento online per le persone che vogliono organizzare e prenotare in modo semplice e veloce esperienze enogastronomiche, un aggregatore quindi della domanda e dell’offerta che se solo pensiamo all’italia è molta ma disaggregata e non omogenea. Mi riferisco già a tutte quelle persone che nel proprio territorio organizzano in modo autonomo e indipendente esperienze o tour enogastronomici per esempio. Grazie a Foody avrebbero anch’essi un punto di riferimento e una vetrina autorevole online, proprio come succede oggi con Airbnb.
Esiste qualche “case history” di successo all’estero di un progetto simile che vorresti raccontare?
Di realtà estere che si occupano di turismo esperienziale una su tutte è Withlocals. E’ una bella realtà che mi piace sempre prendere a esempio, è stata la pioniera nel settore ed è ramificata sopratutto nel territorio del sud est asiatico. Nasce in Olanda e ad oggi dopo una serie di investimenti si è trasferita a San Francisco come molti fanno. Ad oggi anche Airbnb sulla falsa riga di Withocals si sta lanciando a offrire un servizio aggiuntivo di turismo esperienziale. Io penso che Foody però ha un grande vantaggio competitivo che è quello di partire da un grande mercato di eccellenza se si parla di turismo e di enogastronomia che è proprio l’italia. W l’italia paese amato e sognato da tutti! E’ nostro compito essere fieri delle nostre origini per questo partiamo da qua.
Un progetto che mi piace molto e che spero aiuterà a divulgare ancora di più il nostro immenso patrimonio enogastronomico!
Quindi un grosso in bocca al lupo Foody! (crepi il lupo…)
L’articolo La mia “Foody Experience” a H-Farm: la gioia di raccontare le nostre tradizioni con le mani in pasta sembra essere il primo su Taccuino di cucina.