Ma si può additare a due tre personaggi la storia millenaria della cucina italiana?
Da contributo a fondatore ci passa un abisso, ma oggi conta di più il marketing e una tendenza egocentrica mai vista nel corso della storia. Scuole di pensiero personalizzate vorrebbero trasformare la cucina italiana alla modernità. Sicuramente è cambiato il modo di nutrirsi e forse ci avvieremo a mangiare quadri di cibo dove l’estetica ci sazierà e conterà più della sostanza. Oggi la cucina si divide in due grandi categorie, lo Chef da spettacolo e il cuoco da cucina, il secondo è quello che si fa il mazzo e vive per lo più nell’anonimato, privilegiando i sapori l’artigianalità e il territorio; il primo invece è quella figura che compare in televisione, sa tutto e cerca di condizionare l’utenza anche grazie al marketing di grandi gruppi. L’etica iniziale? Contano più i soldi..
Tra questi due pensieri ci si inserisce la figura del lecchino che non capendo un tubo di tutto ciò cerca di riflesso di avere anche popolarità o qualche tornaconto personale, siamo in ordine di merce di poco valore che va contro la logica etica e della buona alimentazione. Questa figura è sempre al servizio delle lobby e dei poteri forti.
Voglio condividere con voi quest’articolo uscito su Marcianise digest dell’amico Gianni Di Dio, dove l’autore fa una bella panoramica su questo tema prendendo in riferimento il canto XXXVIII dell’Inferno di Dante Alighieri.
Dante e i lecchini.
I leccaculo sono sempre esistiti e oggi hanno raggiunto una vetta molto elevata. Ovunque ci sia una gerarchia, gli uomini, infatti, di scartarla con tecniche, atteggiamenti e strategie più o meno scorrette. Tra queste l’adulazione è infallibilmente vincente. Più che i forti e gli arroganti, l’evoluzione ha favorito i servili e gli ipocriti Henry Kissinger, che se ne intendeva sosteneva, infatti, che il potere è l’afrodisiaco supremo. Dante Alighieri li collocò nella merda. Nel suo canto diciottesimo dell’Inferno, che si svolge nella prima e nella seconda bolgia dell’ottavo cerchio, sono puniti rispettivamente i ruffiani e seduttori e gli adulatori; siamo nel mattino del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo del 1300. Per Dante, l’adulazione è il grande di tutte le forme di violenza, omicidio compreso, ed è superato solo dal tradimento. Tra gli adulatori Dante colloca il lucchese Alessio Interminelli, morte forse dopo il 1295 e il cui peccato di adulazione è poco noto alle cronache contemporanee. E’ Dante a riconoscerlo, dopo aver osservato che il dannato ha il capo talmente pino di sterco.
Già eravam là ‘ve lo stretto calle con l’argine secondo s’incrocicchia, e fa di quello ad un altr’arco spalle. Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia. Le ripe eran grommate d’una muffa, per l’alito di giù che vi s’appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa. Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso. E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parea s’era laico o cherco. Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo, già t’ho veduto coi capelli asciutti, e se’ Alessio Interminei da Lucca: però t’adocchio più che li altri tutti». Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond’io non ebbi mai la lingua stucca». Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante. Taide è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse “Ho io grazie grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”. E quinci sien le nostre viste sazie».
Vasta è la categoria di lecchini, ma in comune hanno l’obiettivo di ottenere qualcosa…visto le loro scarse capacità.