Ultimamente sto adottando un modo di vivere decisamente più “slow” e tenero; un metodo che possa portarmi a fine giornata senza stress, ma soprattutto, con il sorriso di chi le sue ventiquattro ore se le è proprio godute. Un saper vivere che possa ogni giorno portare un pizzico di emozione in più, un battito di cuore pieno di meraviglia, che possa portarmi ad essere sempre soddisfatta di me! Per arrivare fino a qui, che sia punto di arrivo o di una nuova partenza chissà?!; sono dovuti passare anni di sensi di colpa, per la mia agenda sempre piena che non riusciva ad incastrare tutti gli impegni giornalieri, di pianti isterici perché avevo mille idee che mi frullavano in mente, ma che con il poco tempo ( di una disorganizzata cronica come me,aggiungerei) non riuscivano a trovare una collocazione nello spazio temporale e tutto ciò che la fretta lasciava, non era che una manciata di caos nella mano destra.
Come stavo dicendo, ho avuto un passato pieno di nervi a fior di pelle e “scatole piene” perché sentivo che nulla andava mai come io volessi che fosse. Partendo dalla mia vita. Ed ora che mi ritrovo, con una tazza di caffe nero e lungo in mano, a guardarmi un po’ indietro, alla soglia dei miei ventuno anni; capisco che in tutto il quadro generale forse un po’ sbagliata ero io. Mi sono sempre abituata a chiudermi con una corazza dalla realtà che mi circondava, non volevo che essa potesse scalfire me, che avevo altri sogni, che avevo bisogno nuove emozioni totalmente diverse da quelle il sole illuminava davanti a me ogni giorno. Nella mia biografia del blog scrivo: “….sogno la quotidianità in città!” ; ed è questo che ho sempre desiderato fin da bambina. Cercare altrove, nuovi orizzonti, nuovi modi di vivere, sognando e continuando a desiderare, provando e continuare a sbagliare; senza che potessi aprirmi veramente alla realtà che mi circondava, che tutto ora mi circonda ogni singolo giorno, ogni singolo momento.
. Non so bene cosa sia successo, ma un bel giorno ho ripreso ad osservarmi intorno. Vicino, accorgendomi piano piano di piccole sfumature che il mio occhio miope non è riuscito a notare troppo nettamente. Ho iniziato a riscoprire i sapori vecchi, a descrivere ode su odi alle abitudine familiari di tutti i giorni, ho iniziato a riconoscermi tra le piccole quattro mura di casa, nella campagna circostante, nella amica fidata di ogni venerdì sera. Ho riscoperto la magia di tenere un po’ di tempo per se, per rilassarsi in un vasca piena d’acqua bollente la sera o con una tazza di tè agli agrumi. O ancora tra le pagine consunte di libri ormai vecchi, che siano ricettari e non. Sto riscoprendo cosa significa avere cura di qualcosa, persona o gatto che sia. Sto riscoprendo la magia dell’impastare lento e prestare attenzione.
Mi sono guardata un po’ alle spalle, tra i ricordi della mia infanzia, quando la mamma una sera a settimana si prendeva del tempo per se in cucina, per poter sfornare con amore meraviglie che potevano essere inzuppate nel latte caldo l’indomani, da me e mia sorella. Quelle torte altissime e morbidissime, comunemente chiamate “torte da credenza” ma che da mamma Cristina venivano soprannominate (e tutto ora) “dolci per il caffè”. Perché se insieme alle uova maneggiava con cura i sentimenti verso di noi, così che il pomeriggio dopo potevamo sporcare le grandi fette con una spalmata di nutella; é anche vero che al momento di aggiungere la buccia grattugiata di limone fresca , la sua essenza preferita, si ricordava con uno sguardo tenero di mio padre e del suo momento preferito, quello dello inzuppo nel caffè, mentre lentamente con una notizia dal telegiornale e uno sguardo fuori dalla finestra, iniziava la sua nuova giornata. E ricordando tutte quelle sere passate a infornare e osservando oggigiorno le stesse medesime mosse per portare a tavola le stesse medesime torte, beh qualcosa mi si è rotto dentro e una lacrimuccia è scesa a rigar la guancia. Una nuova consapevolezza è sbocciata in me, questo posto è casa mia e la biografia prima o poi la cambierò, perché quei desideri di bambina non mi stanno più bene addosso. Sto diventando donna, con nuovi pensieri e nuove prese di posizione. Sto crescendo quando mi ritrovo nei gesti di mia madre per poter portare in tavola di un giorno comune qualcosa che con pochi ingredienti, semplici e bio, possa rendere la vita un po’ più straordinaria di quello che è. La mia torta da credenza è pronta per essere inzuppata nel caffè, che ormai sono cresciuta e il latte non mi basta più. La torta margherita al cacao. La ricetta è per voi. Leggete, condividete, cucinate.
|TORTA MARGHERITA
*4 uova
*150 g di zucchero di canna
*70 g di burro fuso freddo
*mezzo bicchiere di latte
*150 g di farina 00 bianca
*60 g di fecola di patate
*60 g di cacao amaro in polvere
*una bustina di lievito per dolci
*un cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
*la buccia grattugiata di un limone fresco
*zucchero a velo per finire
Per prima cosa montiamo a neve ben ferma gli albumi con metà della dose consigliata di zucchero di canna . In un’altra boule, invece, montiamo i tuorli e il restante zucchero; finché non risulta un composto leggero e spumoso. Successivamente uniamo alle uova l’estratto naturale di vaniglia e la buccia grattugiata di un limone fresco insieme al burro fuso freddo, continuando a montare il composto. Versiamo mezzo bicchiere di latte e incorporiamo poco alla volta i componenti solidi: farina, lievito, cacao e fecola di patate. Infine, pensiamo agli albumi montati a neve. Mescoliamo il tutto e versiamo il composto in uno stampo, io scelto a forma di ciambella, e mettiamo in forno a circa 180 ° per circa 55 minuti. Una volta cotto, sforniamo e lasciamo raffreddare. Cospargiamo l’intera superficie di zucchero a velo .
**Post basato su una ricetta vera di Pane, Burro e Alici**