Sulla tavola a San Martino ieri e oggi maiale, manzo, oca e vino

Sulla tavola a San Martino
ieri e oggi
maiale, manzo, oca e vino

Così come i Celti festeggiavano il “Samuin” banchettando, il giorno di San Martino trascorreva anche nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio. Perciò, tuttora, la figura del Santo è sinonimo di abbondanza: “Ce sta lu sante Martino”, dicono ad esempio in Abruzzo quando in una casa non mancano le provviste. Sulla tavola per questa ricorrenza non deve mancare il vino, il novello in particolare, che viene stappato dappertutto proprio in questi giorni. Il vino nuovo ha un sapore che cambia di anno in anno, ma consente comunque di gustare al meglio le ricette dei piatti di carne di manzo, maiale, agnello, oca. La carne è infatti il must di questa festività: preferibilmente preparata arrosto. In alternativa all’arrosto, tipico della stagione è il maiale lesso, molto presente nelle sagre d’autunno, che può essere cucinato nelle sue differenti parti, dalla polpa alla pancetta. Qualcuno, nel menù di carne di San Martino ci aggiunge anche della salsiccia da cucinare arrosto. Infine, non si può prescindere dalle castagne, da preparare in casa con la padella bucata, ma anche come ripieno interno alle carni e ai dolci, o semplicemente sbucciate e avvolte nel cioccolato fuso.
Con il vino gli abitanti delle terre che una volta era la “Gallia Cisalpina” e che oggi alcuni chiamano Padania, consigliano di mangiare le castagne e l’oca: “Per San Martino castagne, oca e vino!”. Un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare per avere fortuna, come ci ricordano i Veneti: “Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!”.
Ma perché l’oca viene mangiata per la Festa di San Martino? 

La tradizione si ispirerebbe a una leggenda medievale sulla vita del Santo.
Era l’anno 371 quando san Martino venne eletto per acclamazione vescovo di Tours in Francia, lui però si nascose in campagna perché preferiva continuare a vivere come semplice monaco. Ma le strida di un storno di oche rivelò agli inseguitori il nascondiglio del santo, che dovette accettare e diventare il grande vescovo che è stato.
Un’altra interpretazione più accorta afferma invece che siccome le oche selvatiche migrano verso sud all’approssimarsi dell’inverno, ai primi di novembre è facile cacciarle e dopo, naturalmente, cucinarle. Forse perciò si afferma che: “Oca e vino tieni tutto per San Martino”.
In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del “Samuin” Celtico: l’oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’aldilà.
L’oca, che è un animale intelligentissimo (perciò quando si dice di una donna che è un’oca in realtà è un complimento) simboleggiava addirittura la dea Grande Madre dell’universo e dei viventi. E un eco di questa credenza è rimasta in un gioco di origine celtica, il “Gioco dell’Oca”, che ha al suo centro, come meta finale, proprio quest’animale.
L’oca è stata per secoli considerata come il “porcellino dei poveri”perché di essa non si buttava via nulla. Oltre alla carne, forniva una grande quantità di grasso, piume per le trapunte da letto, stuzzicadenti e penne per scrivere o da mettere sul cappello.
E come riporta Giuseppe Maffioli in “La cucina Trevigiana” a pagina 171: “Quando in famiglia nasceva un ragazzo un poco tardo di comprendonio, non si imprecava al destino […] ma si ringraziava la Provvidenza per aver un ragazzo con futura mansione di guardiano di oche.”
A parte l’eco lontano delle credenze popolari, questo è il mese giusto per gustare l’oca, perché “matura” proprio tra Novembre e Dicembre, quando, pingue – come direbbe l’Artusi – «si presenta animale fecondo e festoso». L’oca si può cucinare in arrosto, lardellata o ripiena di castagne e di prugne, lessata con il rafano, in umido e con la sua carne si può farne dei gustosi salami o degli aristocratici prosciutti mentre con il fegato grasso il famoso paté in terrina. In Boemia, non solo si mangia l’oca per San Martino, ma se ne traggono le previsioni per l’inverno: se le ossa spolpate sono bianche, l’inverno sarà breve e mite; se scure è segno di pioggia, neve e freddo. Gli svizzeri la mangiano l’11 novembre ripiena di fette finissime di mele; mentre in Germania la si riempie di artemisia profumata, mele, marroni glassati col miele, uva passita e le stesse interiora dell’animale.
In Italia i pranzi a base d’oca nei giorni di San Martino, sono tipici soprattutto del nord, Friuli, Veneto, Lombardia e Romagna. In provincia di Pavia c’è addirittura la città di Mortara detta “la città dell’oca”, famosa appunto per i salumi d’oca. 
(Contributo di Fabio Magri della Macelleria “Bruno Magri” di Chiuduno. Info: www.macelleriamagri.com)

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