Questi giorni di forzata reclusione portano con sé una innegabile emancipazione dai mille impegni del mondo di ieri. Ho impastato un pane, dopo un’ infinità di tempo. Condivido la ricetta. Condivido uno scritto, che racconta, tra le altre cose, i giorni che noi, abitanti del Pianeta, stiamo vivendo.
Lettera dalla trincea
“Al direttore”
Sono un medico della prima divisione di Malattie infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano, fino a ieri esperto di terapia antiretrovirale con 650 pazienti sieropositivi per Hiv, catapultato poi come tutti in reparto Covid.
Oggi ho un attimo di pausa e le scrivo per condividere i pensieri che mi affollavano la testa questa mattina mentre guidavo per venire in ospedale.
Il primo pensiero era stridente rispetto al forzato ottimismo che vedo in giro in questi giorni, gli applausi, la nuova idolatria per la classe medica e infermieristica. Sono, a mio parere, tutti comprensibili tentativi di esorcizzare una umanissima paura, ma deboli quanto al contenuto. Ce la faremo, infatti, cosa significa? Che dobbiamo guardare solo alla fine dell’epidemia saltando la drammaticità del presente? E poi: chi ce la faremo? Io e lei che ci scriviamo? Il popolo italiano inteso astrattamente? Tutto questo mi convince poco e mi lascia francamente perplesso. Secondo pensiero. Noto, e trovo che sia un sintomo molto importante, la scomparsa quasi totale del lamento. I miei pazienti invece di lamentarsi mi mandano ogni giorni messaggi per chiedermi come sto e anche per partecipare dell’esperienza incredibile ed eccezionale che sto vivendo. E questa è la vera ragione per cui ho deciso di scriverle.
In effetti quello che io sto vivendo, ma credo sia esperienza anche di molti altri, è l’avverarsi di un fenomeno che non di rado noi medici vediamo in chi è scampato a un pericolo potenzialmente mortale: l’esperienza di aprire gli occhi e accorgersi che nulla è più scontato. Ossia che tutto è dono, dal risveglio del mattino, dal saluto ai propri cari a ogni piccola piega di un quotidiano che per alcuni è tutto da riempire, per altri come me è diventato, se mai era pensabile, più vorticoso di prima.
La grazia di questa nuova coscienza di sé trasforma radicalmente ciò che facciamo, genera stupore, amicizia, ci si guarda e ci si dice: oggi non ci possiamo abbracciare ma un sorriso ci dice ancora di più di quanto potrebbe dire un abbraccio. Questa consapevolezza ci fa diventare partecipi del dramma dei nostri pazienti e non è assolutamente un caso che i miei colleghi mi chiedano di pregare non solo per i loro cari ma anche per i loro pazienti, come non era mai successo prima. E anche questo è contagioso. Ieri mi ha chiamato una signora di Crema per sentire notizie della nonna, ricoverata al Sacco, che è molto grave. Mi ha riferito dell’altra nonna, morta di Covid, e della mamma, in rianimazione a Crema, poi mi ha detto: “Vede dottore, all’ inizio io pregavo, ora non prego nemmeno più”. Io le ho risposto: “La capisco, signora, non si preoccupi, pregherò io per lei”. Al sentirlo ha avuto un sobbalzo e ha risposto: “No, dottore, se lo fa lei lo faccio anche io. E anche per la mia mamma, preghiamo insieme”.
Tutto questo è ricchezza, grazia, che se più gente ne prendesse coscienza potrebbe a mio parere avere anche un grande valore civile: riconoscere che siamo fragili e che tutto ci è donato, a partire dal respiro, oggi così poco scontato, appianerebbe tante divergenze e discussioni inutili.
L’ultimo pensiero è andato al dopo: esperienza comune è che dopo un periodo di grande entusiasmo con il tempo tutto si spegne e i vecchi vizi riemergono, come già lamentava Dante Alighieri rispetto al secolo che lo aveva preceduto. Cosa ci può salvare da questa prevedibile iattura? Per quello che ne capisco io è necessario che questa gratitudine diventi un giudizio riflesso su quello che sta succedendo, che è bene espresso dalla domanda e dalla curiosità che tutti ci facciamo in questi giorni e che ci mette insieme: qual è, al fondo, l’origine di tutto ciò? Perché improvvisamente i nostri occhi si sono aperti e abbiamo iniziato a intravedere il fondo reale delle cose? Dove ci può portare questa esperienza? Dove ritrovare questo sguardo così umano gli uni verso gli altri che in questi giorni vediamo in tante situazioni? Chi ci può aiutare?
Per me l’esperienza dell’irrompere dello stupore nella vita, per cui nulla è mai scontato e tutto è dato, è iniziata molti anni fa, e quando riaccade è come una ripartenza che rinnova in me la certezza dell’origine. Per altri sarà un cammino nuovo. Io non posso e non voglio dare risposte precostituite perché ognuno potrà capire, come me, solo facendone esperienza. Ma posso suggerire la domanda, perché nulla cada nella scontatezza e nella riduzione, estetica o cervellotica.
Poi sono arrivato in ospedale”.
Amedeo Capetti infettivologo e consulente dell’OMS
Pane impastato a mano con lievito madre.
400 g.di farina medio forte 12/13 proteine w 260/320 possibilmente 0 o 00 per almeno 80/85% , il restante 20/15% piu debole
280/320 g acqua naturale t.a dipende dall’ assorbimento della farina.
120g licoli oppure 180 di madre solida e togli 60 g di farina dal totale
Per il poolish 60 g di farina , 60 g di acqua e 2 g di ldb fresco
8g sale
Servirà una ciotola in vetro tipo frigoverre o pentola in pirex sarà piu facile impastare a mano in quella.
Contenitore pareti dritte
Lametta
Farina di riso per spolvero
Ore12 rinfresca il licoli o la pasta madre o crea la poolish
0re 13 autolisi per 3 ore a t.a di tutta la farina con quasi tutta l acqua, lascia 20,30g da parte
Ore 16 si comincia ad impastare.
Ogni 40 minuti fai le pieghe in ciotola per 4 volte
Ore18.40 lascia l’ impasto tranquillo circa 2/3 ore a t.a. dovrà essere cresciuto del 80 %,
se è indietro attendi il momento giusto.
Ore 21.30 Preforma con piega a 3 e riposo di 30 minuti
Ore 22 forma il pane e metti nel cestino con un canovaccio.
Passa direttamente in frigo a 4° dove potrà rimanere 9/12 ore
Il giorno successivo alle 9.30
Passa il pane il freezer e scalda il forno a 250 per 30/40 minuti
Dopo 30 minuti togli il pane dal freezer e incidilo
Fare attenzione che sia cresciuto poco, se è tanto gonfio non va inciso, va messo in freezer e poi subito in forno.
Verso le ore 10 cuoci il pane, a 250 statico per 20′ con un pentolino d’acqua che toglierai passati i 20 minuti. Poi 200 per 20′, 180 per 15′, 160 ventilato per 15′, gli ultimi 5′ a spiffero.
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