Oggi voglio inaugurare la mia nuova rubrica: “News, food & wine” con una notizia che da “cicciottella” mi ha particolarmente colpito e che credo possa essere una fonte di ispirazione ed un punto di forza per molte persone. Ormai l’ossessione per il cibo e la ricerca del corpo perfetto come canone di bellezza è la routine quotidiana ma, non è così. Questo fenomeno ha creato e sta continuando a creare molti danni soprattutto nei givanissimi ma queste olimpiadi oltre ai fisici statuari degli atleti come se fosse una gara per vincere mister o miss universo anzichè essere una competizione sportiva, ci ha regalato anche fortunatamente aggiungo, la possibilità di vedere che essere bravi nello sport non vuol dire avere un corpo statuario o degli addominali scolpiti. Un ringraziamento va al trio italiano di tiro con l’arco “Guendalina Sartori, Claudia Mandia e Lucilla Boari” ma anche al portiere della nazionale di palla a mano dell’Angola “Teresa Almeida” che con la sua autoironia ha dimostrato di essere la portabandiera di tutte le persone che con qualche chilo in più amano loro stesse ed il loro corpo.
RIO DE JANEIRO – Teresa riempie l’Olimpiade con un’idea enorme: ogni corpo conta perché è il tuo. Grasso, magro, alto, basso, che importanza ha. Teresa Almeida con i suoi 98 chili, scesa da un quadro di Botero per occupare la porta dell’Angola, torneo di pallamano, ma soprattutto per fare a pezzi i pregiudizi (anche sportivi, soprattutto sportivi) del fisico perfetto e scolpito, disegnato dalle diete e dalle rinunce, vessato dalle proteine e dai frullati di carota, martoriato dalla palestra, tormentato dai pesi e dall’idea malata che tante vittime sta mietendo tra le ragazze: vali e sei bella soltanto se sei magra. Pericolosissima fesseria.
“Ci sono tanti modi diversi di essere atlete, di essere donne e anche di essere belle”, dice la psicologa Anna Oliverio Ferraris. Il messaggio di Teresa la intriga: “Il modello contemporaneo di bellezza in stile pubblicitario è alle corde e ha prodotto non pochi danni. Quello che conta è sentirsi bene dentro se stessi, e questo non lo stabilisce una bilancia. Lungi da me, ovviamente, l’elogio dell’obesità che può diventare una malattia sociale, però è altrettanto sbagliato demonizzare qualche chilo in più”. È l’eterno dibattito tra forma e contenuto. Dove, nello sport, molto spesso la forma è contenuto, o almeno una buona parte di questo. Ma l’idea che soltanto un tipo di corpo possa essere vincente è sbagliatissima. “Fino al 1997, nelle isole Fiji non esisteva la televisione e le ragazze credevano che la bellezza fosse essere più grasse che magre. Poi si sono confrontate con le immagini della tv americana e tutto è cambiato”, racconta la psicologa. “Certo, lo sport è un mondo strano: da un lato può rafforzare discriminazioni e pregiudizi, dall’altro può abbatterli con il suo messaggio globale. L’area di ambiguità resta notevole: i preconcetti fanno male, però fanno male anche troppe merendine”.Ma Teresa vola più alto dei dibattiti, pensa alle sue partite e alla sua grande occasione. “Sono nata a Luanda nel 1988, gioco a pallamano a questi livelli da tre stagioni e mi considero già una veterana, con 34 presente in nazionale”. È una forza della natura, come sanno bene i tifosi della sua squadra, l’Atletico Petroleos, e come si sono accorte montenegrine e romene, compresa la campionessa Cristina Neagu che proprio non sapeva dove infilare quella palla, non c’era un solo millimetro libero, ogni parte di Teresa faceva diga e lei ci scherza: “Posso parare anche restando immobile”. È spiritosa, questa eroina del “phisically incorrect” che dalle Olimpiadi lancia un’idea a suo modo rivoluzionaria: si può essere campioni in tanti modi, e con tanti diversi tipi di corpo. “Ma dopo Rio mi metto a dieta, altrimenti a dicembre come entro nel vestito da sposa?”. Tranquilla, Teresa, è più difficile che la palla entri in porta