L’altro giorno mi sono trovata a fare una considerazione su quanto poco in realtà ci siamo evoluti nel non categorizzare e generalizzare. Faccio una lunga premessa.
Provengo da una famiglia che si è sempre definita anarchico-borghese, in realtà borghese al 100%.
Mio padre era per certi versi un alternativo, ma per altri legato al proprio status fin nelle midolla. Per noi figli non ci sono mai state alternative: o l’università o niente. Ma anche sulla scelta della facoltà non è che fossimo liberissimi. Dopo la maturità decisi di iscrivermi a medicina. Per lui non era proprio cosa da femmine e fece di tutto per farmi smettere, il risultato lo ottenne definitivamente quando decise di farmi passare l’estate del primo anno in sala operatoria con lui a vedere cancri alle mammelle e al colon….che diciamocela: non sono proprio il massimo. Entravo in sala operatoria e tempo 10 minuti ne dovevo uscire. Abbandonai medicina e mi iscrissi a lettere: facoltà da donna, che però non portò a nulla. Non vi tedio ulteriormente con tutto il mio percorso formativo, fatto sta che ora come ora sono in cucina. Non in pianta stabile, almeno per ora, ma come cuoca a domicilio.
Penso al tempo sprecato, ma non sono una da rimpianti: credo che ogni passo sia servito al successivo. Tutta questa premessa per dirvi che ai miei non avrei mai potuto prospettare l’ipotesi di diventare cuoca.
Ora gli chef sono diventati personaggi mediatici, con cui farsi il selfie o da cui farsi rilasciare un autografo. Ma la percezione del singolo è tanto cambiata rispetto a quella dei miei genitori? Quando entro nelle case dei privati la prima cosa che mi chiedono è se sono straniera e non immaginano assolutamente la mia formazione o il mio passato. Per i più sono una semplice dipendente a cui rilasciare delle direttive. Tutta questa riflessione è frutto di un episodio di qualche giorno fa. A casa di clienti mi ritrovo in cucina con la coppia filippina che per la prima mezzora si rivolge a me come noi possiamo rivolgerci a degli stranieri: “Sapere tu usare forno?…Essere tu capace accendere gas?” e così via fino a quando alla domanda: “Essere tu moldava? Ucraina?” scoprono che sono italianissima e l’atteggiamento cambia e allora mi chiedo: possibile che il razzismo e le generalizzazioni sociali non siano cosa solo nostra?
Scusami Chiara se ho attaccato tutto questo “pippone” in un post a te dedicato, ma a breve ne arriverà un altro e di te parlerò. Il The Recipe-tionist è meraviglioso per tanti motivi, uno tra questi è la possibilità di vedere come noi singole blogger ci siamo evolute nel tempo e la prossima ricetta, sempre che ci riesca, lo dimostra pienamente. Ho scelto questo Cake perché ho notato che le pesche sono un tuo must di stagione: sempre presenti anche col passare degli anni. Il dolce è perfetto: che te lo dico a fa??
Ingredienti per 1 persona golosa (oh ma quanto golosa sei?????? Noi l’abbiamo mangiata in 6, stampo da 21 cm bella alta)
200 g di amaretti
100 g di farina 00
80 g di burro
70 g di zucchero
3 pesche
2 uova
1 bustina di lievito
1 dl di latte
Sbucciare le pesche e tagliarle a spicchi. Montare le uova con lo zucchero, unire gli amaretti, precedentemente tritati fino a diventare polvere (lasciarne 4 interi) e il burro fuso lasciato raffreddare.
Incorporare la farina, il lievito e il latte e amalgamare bene tutti gli ingredienti.
Aggiungere infine le pesche e mescolare.
Rivestire uno stampo da plum cake con carta da forno bagnata e strizzata, versare il composto e guarnire la superficie con 4 amaretti interi.
Infornare per 40/45 minuti a 180°.