La tradizione strizza l’occhio al gourmet

La tradizione è un bene che va via via scomparendo e noi italiani, si sa, di tradizioni ne abbiamo tante da riempire intere enciclopedie. Naturalmente parliamo di cucina e di ricette regionali che, come molte mode, dopo essere un po’ messe da parte, ricompaiono.

Alcuni tratti restano comuni a tutte le realtà, senza distinzione tra il nord ed il sud. Tra questi ricordiamo l’uso di ingredienti poveri, di materie prime del territorio (oggi diremmo a chilometro zero) di prodotti semplici, magari di riciclo. Se l’acciugaio rendeva di facile reperibilità le acciughe, ingrediente basilare per la Bagna cauda piemontese, allo stesso modo semplici piante dell’orto, colte all’ultimo momento da un soldato spagnolo rimasto con la dispensa vuota, diedero vita alla Cassoeula lombarda.

Gli esempi si sprecano ed hanno stessa valenza per il centro e per il Sud del Bel Paese. Piatti nati poveri ma che, come in un romanzo cortese, da ranocchi divengono splendidi principi della gastronomia, nei sapori…. e nei prezzi.

Roma. Città di bellezze per gli occhi e per il palato

Alcuni dei piatti tipici della città eterna sono a base di frattaglie ovvero degli organi e dei tessuti ritenuti meno nobili degli animali da macello: agnelli, manzo, maiale, pollame. Chi non ha mai sentito parlare della pajata? La pagliata (romanizzata in pajata) nasce da una forte esigenza: utilizzare parte del salario non monetario. E sì, perchè tutto inizia a Testaccio, storico quartiere romano, e nel suo Mattatoio (oggi ex mattatoio, poichè convertito a spazio di creatività culturale) in cui gli scortichini, abili lavoratori delle carni da macello, ricevevano in paga giornaliera, accanto al misero salario, una dose di scarti. Queste parti, decisamente meno pregiate e non destinate al consumo di aristocrazia e classi abbienti, erano lingua, zampe ed interiora, quello che oggi, con artifici letterari, viene chiamato quinto-quarto. Le famiglie degli scortichini dovevano creare pietanze di recupero con quel po’ che avevano rimediato, in modo da conservare o usare diversamente il gruzzoletto in denaro. Delle interiora, il secondo tratto intestinale dei vitelli da latte (il digiuno) era tra i più saporiti: veniva lavato, ben pulito ma preservato il chilo, una sostanza simile al latte conservata nei vasi del tratto intestinale. Rosolata in padella con il classico trito, alla pajata viene aggiunta la salsa di pomodoro (in versione moderna) ed il pecorino romano. Un piatto da leccarsi davvero i baffi.

 

Lo sapevi?

Per un periodo lungo quasi 15 anni la pajata è divenuta un piatto proibito per le vicende legate alla mucca pazza. Le interiora di manzo furono sostituite da quello di agnello ma finalmente, nel 2015, la ricetta originale è stata riabilitata e riconsegnata ai romani e a tutti i turisti che tanto cercano questo piatto

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