Nella mia grande Calabria , l’aria è diversa è più intensa, è calda , ti racconta già tante storie di territori e odori lontani. In primavera puoi assaggiare al meglio questa meravigliosa terra , quando le giornate si allungano inesorabilmente, il sole che ti riscalda la pelle è irrefrenabile e sei istintivamente spronato a cercare qualcosa che possa saziarti e rinfrescarti. Mi piazzavo sotto gli alberi da frutto per ore, nessuno mi cercava perché sapevano che per tutto l’anno avevo sognato di addentare quei scrigni di nettare dolce. Mi piaceva stare lì in quel prato, in quella grande distesa di terra e coccinelle, ispiravo profondamente e sentivo tutti gli odori della primavera. Sentivo l’odore dell’erba appena tagliata e della terra ancora umida e dei cespugli di origano. Con attenzione e silenzio potevo ascoltare il suono dei frutteti che tentavano di fiorire nonostante ancora arrivassero dalla Sila delle folate di vento freddo di soppiatto. Avvertivo il profumo della legna che ardeva nei bracieri che riunivano vecchi e nuovi amici per condividere momenti di divertimento. Avevo voglia di assaggiare le primizie dell’estate ma era ancora presto, dovevo far tacere quel desiderio. Potevo accontentare il mio palato con qualche frutto di primavera che mi potesse cullare nell'attesa dei sapori più caldi.
Ma quando finalmente
scoppiava quell'apoteosi di luce, di colori invitanti e succulenti, di operanti
api in festa, tutta la mia aspettativa veniva ripagata. C’erano ceste, ai miei
occhi, enormi ceste, ricoperte da grandi foglie scabre, oblunghe, di un verde
intenso nella parte superiore, rugose e spesse. Scostavo la prima foglia per
trovare la risposta a tutte le mie voglie più intense. Come dono abbondante di
Dioniso e Cerere, anche senza usare gli occhi potevo capire cosa avrei
assaporato poco dopo. Allungavo una mano, con calma reverenziale, quasi
intimorita di fronte a tanta generosità e sentivo una tesa, liscia e soffice
buccia, una confezione verde perfettamente chiusa a goccia su di un cuore
violaceo, morbido e polposo, con un
piccolo rivolo viscoso di miele fuoriuscire dal frutto. Un frutto così perfetto e delicato da poter
essere distrutto con la piccola pressione di una mano vorace. Il fico, apice
ineguagliabile dell’ambrosia divina. Gusto perfetto, umami fatto frutto,
appagamento totale di tutti i sensi.
Anche
in Calabria le merende erano frugali ma non tanto parche. Con pochi ingredienti
avevi all’attivo quelle centinaia di calorie che potevano bastarti per la
maratona alle olimpiadi Greche. Come
prima adepta nel culto del Fico, sarei potuta vivere di pane, fichi e
prosciutto. Non mi bastava mai, ne ero avida e golosa. La fresca dolcezza
leggermente acidula del fico si sposava perfettamente con la stagionatura
sapida e fibrosa del prosciutto. La mollica del pane assorbiva tutti i succhi e
i tanti piccoli acheni del cuore del frutto ti solleticavano la lingua. La
polpa carnosa e succulenta ti riempiva la bocca e il pane faceva solo da
cofanetto a cotanta bontà.
Non puoi parlare della maggior rappresentante della Magna Grecia senza chiamare in causa un bellissimo mondo dalle mille sfaccettature e dai molteplici aromi e sapori, l’universo del fritto. Ebbene si a merenda ma non solo. A Natale ma non solo.Non fate gli schizzinosi, lo so che al giorno d’oggi non sono politicamente e nutrizionalmente corretta. Ma se parli di calorie in Calabria ti potrebbero chiedere se senti caldo, diciamo che per una dieta sana e corretta devi avere le salsicce secche immerse nelle’olio e non puoi fare un ciambellone soffice e morbido se non usi lo strutto. Quindi può anche succedere che nel mese più caldo dell’estate , con quei 40’ all'ombra di un ciliegio e ancora in piena digestione post prandiale tu decida di affrontare una passeggiata della disperazione, forse in preda a qualche allucinazione per i troppi peperoni ripieni del pranzo. Sei tu, il caldo che surriscalda anche i mitocondri assonnati, e l’inconsapevolezza della tua meta. Giravo , vagavo con le mie cugine, passavo a salutare lo zio che aveva sempre le caramelle “friccicherelle” e qualche strana cingomma dall'impronunciabile nome e poi quando ormai avevi esaurito l’ultima scorta idrica del tuo corpo e anche la saliva non riusciva più a bagnare le labbra arrivavi a casa della sempre dolce e sorridente Commare. Davanti alla porta di casa vicino alla fonte c’era una panca in granito nascosta al sole. Ti veniva a salutare il cane, due gatti, 7 galline, 13 nipotini e alla fine la figlia di Marietta ti invitava ad entrare per una gazzosa fresca. DIO salvi Commare Marietta.
All’incirca
erano le 15, ti aspettavi un dolcetto, al massimo un gelatino dell’unico
negozio del paese, ma sarebbe stato troppo semplice e scontato. Eri la figlia
di Albiuzzo, la nordica delle marche che non vedeva mai, poteva offrirti un
tristissimo gelato comprato in fretta e furia ? Non sia mai, “Pare Brigogna”.
Allora
Cominciavi a sentire un odore sospetto, Marietta improvvisamente spariva, si
dissolveva, come la fatina cicciottella della bella addormentata nel bosco,
pareva avesse qualche magica bacchetta che poteva trasformare qualunque oggetto,
anche noi stesse, in delle prelibate e succulente leccornie. E così in un
attimo la vedevi sull'uscio della cucina entrare nel buio della stanza tipo
apparizione divina, potevi distinguere solo i contorni tanta era la luce
dell’esterno,ma nettamente capivi che ti stava portando dei doni. Oro, incenso
e Mirra, potevano essere le metafisiche e auliche metafore di tutto quella
bontà. Se ognuno di noi potesse avere sempre a disposizione come kit di
sopravvivenza, un vassoio di così tante invidiabili bontà tali da creare
dipendenza e assuefazione potremmo affrontare ogni male, ogni nefandezza e
crudeltà terrena. Li portava per alleviare i tuoi dolori e le tue pene, ma tu
al solo pensiero di avvicinare qualcosa alla bocca che non fosse un ghiacciolo
alla menta, una limonata fredda o il cuore pulsante di un ardente cocomero,
cominciavi a rimpiangere le 20 versioni di greco che dovevi fare per le
vacanze. Ma nulla poteva fermare quella Donna, lei aveva dei poteri di
persuasione ipnotici, ti guardava con le ciglia lunghe e gli occhi felici e tu
cominciavi automaticamente a masticare tipo robot radiocomandato. Ti venivano
infilati in bocca senza che tu te ne accorgessi bombe ad orologeria dal
peso specifico del piombo ,
l’esplosione di sapore che avveniva in bocca era inversamente proporzionale
allo spazio rimanente nel tuo stomaco dopo una settimana ostaggio delle zie. Era
oggettivamente una goduria, una guantiera di fritti caldi caldi , croccanti,
asciutti, soffici e fragranti ti riempivano la gola e lo stomaco già stava
esultando ancora prima che tu finissi di masticare. Ma chi se ne frega del
caldo, di cibi sani freschi e leggeri per non appesantire il nostro organismo.
Il mio metabolismo stava ballando la rumba e il cervello era andato in ferie
per affidarsi solo al piacere infinito che le piccole papille gustative gli
stava inviando in loop.
I Cuddrurieddi
Ho provato questa storica ricetta con un assistente molto speciale che ha reso tutto più gustoso.
Versate l'acqua tiepida in una ciotola, unite il sale e mescolate. Aggiungete il lievito sbriciolato e mescolate ancora Versate questo liquido all'interno delle patate e mescolate con un cucchiaio fino ad ottenere una sorta di crema non troppo liscia. Aggiungete tutta la farina in un colpo e iniziate ad impastare con le mani ,
trasferite poi il composto su un piano e lavorate ancora fino ad ottenere un composto omogeneo Utilizzando un tarocco o un coltello ricavate dei pezzi da circa 140 g e aiutandovi con le mani formate delle palline .
Man mano ponetele su un vassoio dove avrete posizionato un canovaccio, distanziandole tra loro . Coprite con un altro canovaccio e lasciate lievitare per circa 30 minuti .
A questo punto versate l'olio di semi in un tegame e scaldatelo fino a raggiungere la temperatura di 170°. A questo punto sollevate la prima pallina e infilando le dita al centro, create il foro allargandole leggermente. Se dovessero appiccicare troppo potete inumidirvi le mani. Immergete la prima ciambella nell'olio caldo e muovetela aiutandovi con un mestolo. Inserendo la parte posteriore del mestolo all'interno del buco della ciambella, riuscirete ad allargarla ulteriormente.
Cuocete per circa 2-3 minuti girando la ciambella di tanto in tanto fino a che non sarà ben dorata. Scolatela dall'olio e trasferite su un vassoio foderato con carta da cucina . Procedete in questo modo fino a cuocere tutti i cuddrurieddri e serviteli ancora caldi !
Possono essere mangiati sia dolci con lo zucchero che salati farciti con salumi e formaggi
Buon Appetito e Buona Calabria!
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